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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Ricordare è vivere

di Antonio Stanca

Nel 2008, quando aveva novantunanni, l’inglese Diana Athill ha pubblicato “Da qualche parte verso la fine”, un racconto della sua vita che ora è comparso in Italia per i tipi della BUR, Scrittori Contemporanei, e con la traduzione di Giovanna Scocchera. Fino a settant’anni inoltrati l’Athill, nata nel 1917 e vissuta sempre a Londra, ha lavorato nell’editoria presso una nota casa editrice inglese, è venuta a contatto con autori importanti quali Philip Roth, Norman Mailer, Simone de Beauvoir, Vidiadhur Surajpasad Naipaul, ha scritto romanzi brevi, racconti su sollecitazione di amici e compagni di lavoro ed ha ottenuto alcuni riconoscimenti. Anche “Da qualche parte verso la fine” è stato scritto dietro suggerimento del suo editore ed anche questa narrazione è stata premiata nel 2009 con il National Book Critics Circle Award in Autobiography. E’ il primo lavoro dell’Athill tradotto in italiano e quello che più di ogni altro fa conoscere l’autrice, la sua vita, il suo carattere, le sue convinzioni, le sue esperienze. Semplice, chiaro è il linguaggio col quale l’Athill, ormai vecchia, ripercorre il suo passato di donna vissuta senza marito, senza figli ma non rammaricata di questo né d’altro. Non c’è posto per rimpianti tra i suoi pensieri di adesso. Ha avuto i suoi problemi ma li ha fatti rientrare in quella dimensione quotidiana che per lei è la più importante. Non ha nutrito grosse aspirazioni, non ha pensato di avere qualità eccezionali, dice sempre che scrittrice è diventata su richiesta poiché non possiede “l’energia immaginativa” degli scrittori veri, quella che nasce insieme a loro. Soprattutto una donna è stata Diana Athill, una donna che tra poco, se ancora sarà in vita, avrà percorso un secolo durante il quale tanto è avvenuto nella vita, nel costume, nella letteratura, nell’arte, nella scienza, nella società, nella storia. Tra tutto questo lei è passata ma nel libro lo fa soltanto trasparire poiché di sé, della sua vita ha intenzione di dire. E ne emerge il ritratto di una donna che, una volta liberatasi dalla famiglia d’origine, una volta pervenuta ad una certa autonomia, è vissuta secondo le sue volontà, le sue scelte. Particolare è stato il rapporto con il sesso, non mariti, non figli ma molti uomini ha avuto, e così con la religione, nessun impegno, nessuna fede. Anche il tempo libero ha impiegato nelle attività che più le piacevano o le riuscivano utili, anche la scrittura, i brevi romanzi e i racconti venuti prima di questo libro di ricordi, è stata vissuta non come una disciplina ma come un diversivo, una scoperta casuale da attribuire agli altri più che a se stessa. Senza vincoli, senza regole ha proceduto l’Athill tranne quelle richieste dal suo lavoro in editoria ed ora, più che novantenne e con qualche acciacco, ha ceduto all’invito di narrare la sua vita. Lo ha fatto mostrandosi felice, contenta di dire quel che è avvenuto e poco rattristata per quel che non c’è stato. Più importante di tutto è per lei quanto è successo, il suo lavoro, le sue amicizie, i suoi amori, i piaceri del suo spirito e del suo corpo. Sono state queste esperienze a renderla una vecchia serena, tranquilla, a volte ironica, non tormentata dal pensiero della morte ma in attesa di essa come della conclusione naturale di un movimento che è durato tanto e tanto ha compreso. Ha visto, ha sentito, ha conosciuto, ha detto, ha fatto molto l’Athill, molta passione vi ha messo e questa l’ha spinta a scrivere un libro dal quale risaltano la forza, il coraggio che l’hanno sempre animata. Scrivere di ricordi, ricordare ha significato per lei continuare quella vita, non avere niente da rimproverarsi, non temere la morte poiché giungere deve dopo una “vita immensa”.

 


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