Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Austen e “i poveri”

di Antonio Stanca

Tempo fa quando la casa editrice Theoria  cominciò a pubblicare nella collana “classici”, a cura di Malcolm Skey  e con traduzione di Stefania Censi, le opere della scrittrice inglese Jeane  Austen (1775-1817) presso i nostri critici si parlò di riscoperta e rivalutazione finalmente giunte per un’autrice che era stata trascurata. Si disse pure che nelle sue opere potevano essere intravisti i segni precorritori di alcune moderne espressioni artistiche quali la “minimal art” o “arte povera”. Dalla scrittura piana, semplice dell’Austen, dai soggetti delle sue narrazioni  mai costruiti o elaborati  e sempre riconducibili entro i limiti della normalità, della quotidianità, dalla sua vita priva di grossi avvenimenti e improntata ad una condotta modesta e lineare come persona e scrittrice, sarebbero da ricavare alcuni precedenti delle suddette esperienze artistiche giacché neanche per queste valgono le brucianti passioni, personali o sociali, le forti accensioni, gli impegni, gli ideali unici e totali.

Simile ipotesi, in verità, sembrava obbedire ad un’impressione e non ad un’effettiva valutazione del fenomeno, ad un attento esame delle motivazioni di fondo: l’Austen giunse alla scrittura, all’arte per difetto, i moderni “poveri” lo hanno fatto per eccesso, in lei ci furono accettazione, condivisione, in questi rifiuto, negazione, per lei fu un atto spontaneo, naturale, per gli altri un gesto di protesta voluto e cercato.

 La scrittrice visse tra la fine del ‘700 ed i primi dell’800 in un’Inghilterra percorsa da diverse istanze culturali ed artistiche quali la narrativa di genere “gotico” e le prime espressioni della sensibilità romantica che andavano sovrapponendosi e intrecciandosi con la preesistente cultura illuministica. Fin dalle prime prove, alcuni racconti giovanili e i romanzi “Buon senso e sensibilità”, “Orgoglio e pregiudizio”, ella non si era mostrata partecipe di tali nuove e diffuse tendenze ma ancorata ai valori della ragione, della verità, della giustizia: all’irregolarità aveva preferito la norma, la logica, che riescono a chiarire e superare quanto vi è di controverso o antiquato nella vita, nei rapporti umani e sociali. Erano dei valori semplici quelli perseguiti dall’Austen tramite rappresentazioni pure semplici poiché di vita quotidiana. Ella scrisse come visse, fu narratrice come fu donna e nella vita e nell’opera mancarono motivi e modi fortemente individuali. Nei suoi scritti si evidenzia una chiara disposizione verso l’esterno, gli altri e va individuata nella vena di sottile umorismo, di pensosa ironia, che  percorre quasi tutte le vicende da essi contenute. Queste appartengono alla vita che allora si svolgeva nella provincia inglese  e in un ambito dove s’incontravano e scontravano persone di diverso livello sociale, tra le quali vigevano quei pregiudizi che spesso ostacolano rapporti distesi e divengono causa di tensione anche se privata. Nel privato, nel domestico, nel familiare rimane la scrittura dell’Austen, che riflette la sua vita, le sue esperienze e conoscenze iniziate e finite in una famiglia ed in una parte dell’Inghilterra di fine ‘700. Di questi luoghi e tempi e degli umori,  pensieri, azioni, che in essi avvenivano lontano da ciò che allora percorreva la società, la vita, la cultura, l’arte, l’Austen è stata nelle sue opere una delle maggiori testimoni. Sempre sarà possibile scoprire in esse un’affinità di temi e modi anche se nelle ultime, “Emma” e “Persuasione”, l’autrice mostrerà di essere pervenuta ad una visione della vita più pacata, più distaccata senza, però, rinunciare alla già mostrata capacità di osservazione e penetrazione dell’animo umano ed a uno stile svelto e sempre animato. E’ un mondo vero rappresentato da una scrittrice che non ha mai smesso di essere una persona vera, che ha voluto mostrare come per lei la scrittura fosse un’attività pari alle altre della sua vita, come vi si applicasse con la stessa naturalezza.

Risulta molto difficile, pertanto, fare dell’Austen una precorritrice di moderne istanze artistiche quali la “minimal art” o “arte povera” giacché queste sono state perseguite con l’intenzione di opporsi all’artificiosità e contraddittorietà dell’arte moderna. Tramite esse si è voluta esprimere la volontà  di recuperare la semplicità perduta e preferirla alla confusione dilagante. Questi propositi non c’erano nell’Austen ché per lei scrivere era vivere, aderire alla vita, era una necessità, un bisogno di verità più ampia, più estesa di quella che  viveva ogni giorno. I moderni, invece, sono stati mossi da un proposito: la loro “arte povera” è volutamente diversa, è un’altra arte, è cercata più che sentita e segue un programma ben preciso. Non è un fenomeno naturale ma l’espressione di una contestazione e di un gruppo. Tra l’altro la scrittura dell’Austen è intima, privata, mentre quella vuole essere pubblica, sociale. Si tratta di due eventi diversi se non opposti e l’intenzione di collegarli è un errore spiegabile anche con l’ormai diffusa tendenza a scoprire facilmente precedenti di quel che succede ai nostri tempi.


La pagina
- Educazione&Scuola©