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Un successo, un messaggio

di Antonio Stanca

Nata in Normandia a Bayeux nel 1969, docente universitaria di Filosofia presso l’IUFM di Saint-Lô, Muriel Barbery ha esordito come scrittrice nel 2006 con questo ampio romanzo “L’eleganza del riccio”, pubblicato da Gallimard. Nel 2007 l’opera è risultata per la Francia un caso letterario, ha avuto molte ristampe e sono state vendute centinaia di migliaia di copie. Anche questa attuale delle edizioni e/o è una ristampa della prima edizione italiana comparsa nel 2007 sempre per conto della e/o e diffusasi pure in Italia.

Molti sono stati i riconoscimenti che la scrittrice francese ha ottenuto e, in verità, la sua opera sorprende perché originale nelle situazioni che propone, diversa dal contesto contemporaneo, semplice, chiara nei modi espressivi che usa e nei significati che persegue.

Ai nostri giorni in un condominio di una zona centrale di Parigi, abitato da famiglie distinte per la loro condizione sociale, per le funzioni professionali, politiche, economiche che gli uomini svolgono, per gli incarichi che questi hanno quali esponenti dell’alta borghesia se non dell’aristocrazia, la Barbery colloca il suo romanzo. Questo consiste in due lunghe narrazioni condotte una dalla matura portinaia Renée, l’altra dalla giovanissima Paloma. Renée proviene da una famiglia povera, ha cinquantaquattro anni, è vedova da molto tempo, non si cura dell’aspetto, del vestire, del vivere, rimane quasi sempre nella guardiola che le è stata assegnata e fa della  televisione uno dei motivi principali della sua esistenza. Paloma è una dodicenne, è figlia di un ministro che abita nel palazzo, non condivide per niente l’ambiente della sua famiglia, i modi, i discorsi del padre, della madre, della sorella maggiore.

A Renée e Paloma sono dedicati, in maniera alterna, i capitoli del romanzo, in essi ognuna ha una propria voce, dice delle proprie cose e solo alla fine le due s’incontrano, si conoscono, si ritrovano, stanno insieme mentre prima, per tutto il corso dell’opera, ognuna rimane con le proprie confessioni. Le due hanno, naturalmente, esperienze diverse data la loro diversa condizione sociale ma vicine si mostrano nei problemi, nei pensieri, nei sentimenti, nelle aspirazioni.

Pur essendo una portinaia e pur mancando di una regolare istruzione Renée ha letto e legge moltissimo, è un’autodidatta, ha vasta conoscenza in ambito artistico, filosofico, musicale, ammira la cultura giapponese. Tutto ciò che vede, le vicende alle quali assiste o delle quali partecipa le rivelano che i valori dello spirito oggi sono entrati in crisi, difficile è divenuto, per chi li nutre, essere corrisposto e non gli rimane che ritrarsi in se stesso per poterli coltivare. Così ha fatto Renée perché le fosse possibile continuare a credere in quegli ideali di vita che le erano provenuti dalla sua cultura. Rispetto ad essi, che vanno al di là di ogni contingenza, di ogni limite materiale, tutte le manifestazioni della vita attuale sembrano a Renée una contraddizione, le constata contrarie a quella spiritualità che negli anni ha acquisito, alla quale si è formata da sola e, perciò, le rifiuta appena possibile. Appena i doveri di portinaia glielo permettono fugge l’esterno per rifugiarsi nel suo animo, nei suoi pensieri. Preferisce stare sola perché così sente di salvarsi dagli altri e da tutto ciò che fanno, preferisce vivere d’idee, inseguirle e coglierle quando, qualche volta, succede grazie ad un’immagine, un colore, un suono. Dato il suo lavoro, il suo aspetto, nessuno la crederebbe una persona così sensibile, così delicata e neanche di Paloma si potrebbe sospettare che sia una ragazza scontenta della famiglia, della vita. Lei rifiuta tutti i decori, di persone e cose, che le stanno intorno, non vuole il posto dove è nata, è un’insoddisfatta convinta di non poter risolvere il suo problema neanche all’esterno. Aspira a ciò che non c’è, non si vede, a quanto proviene dall’animo, è proprio, autentico dell’uomo liberato da tutte le apparenze, i conformismi ai quali i tempi hanno portato. La scrittura ha offerto un rifugio ai suoi continui, interminabili disagi,  sta scrivendo un diario ma non ha rinunciato all’idea di suicidarsi il giorno del suo tredicesimo compleanno.

Due esistenze disperate, quelle di Renée e Paloma, due esperienze senza via d’uscita. Pur provenendo da diverse situazioni le loro vite si sono incontrate perché entrambe deluse, entrambe impegnate nella ricerca di quanto non avviene. Tutto ormai si è conformato a regole nuove e completamente diverse dalle loro richieste. Di fronte a tanto danno una ha scelto la solitudine, il silenzio, l’altra la morte.

Arriva, però, nel palazzo un nuovo residente, il ricco giapponese Kakuro Ozu, che saprà apprezzare quanto distingue le due donne. Il rapporto con l’Ozu rappresenterà la loro salvezza, la fine dell’isolamento per una e la rinuncia al suicidio per l’altra. Per i loro pensieri significherà che hanno valore, che pur in un mondo completamente diverso possono trovare corrispondenza. Una rivelazione, una scoperta sarà il giapponese per entrambe, tramite lui sapranno che in una vita, una società quali le attuali c’è ancora posto per i valori dell’anima, dello spirito. Nel suo ampio romanzo la Barbery per rendere più vera tale scoperta ha lasciato parlare le due protagoniste, è scomparsa dietro di esse. Non costruita, non elaborata dal suo autore appare così l’opera ma naturale come le esperienze che vengono narrate. In tal modo anche l’esposizione è risultata semplice, agevole perché vicina alle due donne, al loro modo d’intendere, di parlare. E che la scoperta finale sia stata fatta da esse trasforma la loro in una possibilità da estendere a qualunque condizione sociale, vale come un messaggio di cui tener conto in tempi così difficili.


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