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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Un’architettura per l’uomo

di Antonio Stanca

Francesco Erbani, della redazione culturale di Repubblica, ha tenuto una lunga conversazione con Leonardo Benevolo, famoso studioso di Storia dell’Architettura, autore di molte opere, e ne è scaturito il volume La fine della città (Laterza, Bari 2011, pagg. 150, € 12,00). In esso il Benevolo, quasi novantenne, ha ripercorso, rispondendo alle domande dell’Erbani, tutte le vicende che l’architettura privata e pubblica, l’urbanistica, hanno attraversato in Italia durante lo scorso mezzo secolo. Dall’Italia del dopoguerra è giunto a quella d’oggi passando attraverso le sue principali città, confrontandole con quelle di altri paesi europei, ricordando i tempi, i luoghi, i personaggi, le opere e tutto quanto ha contribuito da noi a fare di quello urbanistico un problema quanto mai complicato. Rispetto alle altre nazioni, dice il Benevolo, in Italia c’è confusione, disordine riguardo all’edilizia pubblica poiché non è lo Stato a regolarla, controllarla, ma sono i privati ed i loro sempre crescenti interessi economici. Allo Stato questi si sono sostituiti e le conseguenze sono gravissime. Tra le prime vanno menzionate l’espansione incontrollata delle città, l’occupazione di vaste aree intorno ad esse mediante costruzioni ad uso privato e pubblico e, quindi, «la fine della città» come luogo definito, compreso entro limiti precisati. Le campagne sono sempre più invase da fabbricati di vario genere, spesso abusivi, ed il paesaggio ne ha fortemente risentito. Molta parte di esso è andata perduta insieme alla storia, alla cultura, alle tradizioni che vi erano legate.

All’interno delle città ad essere guastati se non distrutti sono stati i loro centri storici poiché spesso si è proceduto unicamente verso il nuovo e non si è cercato di creare una continuità tra quanto esisteva e quanto veniva costruito. Inoltre non si è edificato tenendo conto delle esigenze, delle richieste della collettività ma solo di quelle dei pochi, politici, proprietari terrieri, imprenditori, che promuovevano e attuavano le costruzioni. Non al servizio di tutti è stata l’architettura italiana nella seconda metà del ‘900. Questa maniera continua ancora oggi ed è l’argomento sul quale lo studioso, nel libro, si sofferma molte volte poiché ha vissuto personalmente il problema, lo ha sofferto, lo ha spesso denunciato.

Benevolo, nato ad Orta San Giulio (Novara) nel 1923, è un architetto, un urbanista ed uno studioso di architettura. E’ stato docente universitario di Storia dell’Architettura, ha collaborato, nel 1957, alla fondazione della Società di Architettura e Urbanistica (SAU), ha progettato e realizzato importanti opere pubbliche in alcune città italiane e nelle polemiche che si sono verificate nell’Italia del dopoguerra circa l’urbanistica la sua posizione si è sempre ispirata ai principi del razionalismo e del funzionalismo. Come urbanista ha operato in modo da far coesistere il vecchio col nuovo, da attuare un passaggio che non annullasse il primo elemento ma lo comprendesse e gli permettesse di continuare a valere. Come architetto ha pensato a quanto serviva all’uomo, agli spazi necessari per la sua vita, la sua famiglia, è stato mosso da propositi di carattere democratico, popolare. Molti problemi gli hanno procurato queste convinzioni ma ha continuato a sostenerle. Il clima, s’è detto, era quello che favoriva i pochi, i privati, i ricchi mentre Benevolo stava dalla parte dell’uomo comune, degli umili, dei poveri. La sua è stata un’architettura a dimensione d’uomo poiché è rimasta concreta, reale, non è mai diventata appariscente, maestosa, non ha seguito le mode. Uomo tra gli uomini è stato Benevolo architetto e urbanista: per questo ha sofferto e lottato, per questo non ha ceduto ai tanti richiami, alle tante attrazioni che la modernità offriva e tra le quali si è persa tanta attività architettonica.


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