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Borges: l’uomo infinito (*)
(Tra Spagna e Argentina)

di Antonio Stanca

Quest’estate alla Tate Modern di Londra, ora al Centre Pompidou di Parigi ed in seguito al Moma di New York sono stati e saranno in esposizione capolavori degli artisti Henri Matisse (1869-1954) e Pablo Picasso (1881-1973): i maggiori autori di moderna arte figurativa potranno essere osservati dal pubblico e permetteranno di valutare gli ambienti nei quali si sono formati e le influenze ricevute ed esercitate nell’ambito della pittura e scultura e nel contesto culturale ed artistico del primo Novecento europeo. Questo è stato segnato da molti movimenti d’avanguardia, da una ventata d’innovazione e trasformazione che in quel periodo investì tutti gli aspetti e generi dell’arte e assunse nomi diversi in relazione al paese, luogo,  ambiente ove si verificò. In Spagna produsse l’ultraismo, in Francia il cubismo, il fauvismo e il surrealismo, in Germania e Austria l’espressionismo e la dodecafonia, in Italia il futurismo, in Inghilterra e negli Stati Uniti l’imaginismo, in Russia il cubofuturismo, in Svizzera il dadaismo.

Furono soprattutto dei movimenti poetici e pittorici la cui influenza si fece  sentire in altri campi quali il teatro, la musica, il cinema. Tra essi è facile individuare richiami e collegamenti perché caratteristiche comuni furono l’atteggiamento polemico verso le forme d’arte tradizionali e la tendenza a superare i confini del reale, del visibile per esprimere, rappresentare quello che dalle profondità dell’Io era affiorato alla coscienza e che autori quali Nietzsche, Bergson e Freud avevano già segnalato.

Al movimento spagnolo, sorto a Madrid nel 1919 soprattutto ad opera dei poeti  Cansinos Assens de Torre, Rivas Panedas e Comet, si erano uniti anche artisti ispano-americani quali Pablo Neruda e Jorge Luis Borges. Questi(1899-1986), allora in Spagna, collaborò alla nascita del genere “ultra” e, tornato in Argentina, continuò ad operare in tal senso  anche al fine di diffonderlo. I risultati maggiori, tuttavia, sarebbero stati raggiunti da Borges non  nella poesia ma nella prosa, saggistica e narrativa, ed in particolare nei racconti di Finzioni e L’Aleph.

E’ un caso eccezionale se si pensa alle difficoltà che comporta la realizzazione di una prosa che voglia cercare verità, significati diversi da quelli reali, apparenti,  aderire al mondo dell’inconscio, del sogno, dell’automatismo psichico, della follia, dell’ipnosi e rappresentarlo nella vastità, molteplicità e irregolarità dei suoi aspetti, piani e sequenze. Per dire di fenomeni così privi di logica e obbedienti solo a se stessi generi d’arte come la poesia, la pittura, la musica, il teatro, il cinema si prestano maggiormente poiché più liberi nella forma e più pronti ad accogliere tanto “nonsenso”. Per la prosa, invece, le regole della forma vincolano di più e saltarle per favorire la novità o la particolarità di un contenuto ha fatto sì che molti autori sfociassero nella confusione o nella vanità del tentativo.

Con Borges  non è successo e l’esempio è degno di altissimo rilievo. Nelle sue pagine c’è un mondo, un’umanità, una totalità di persone ed eventi, pensieri ed azioni,  sentimenti e ragioni, che si agitano in continuazione senza che la loro rappresentazione riesca mai tortuosa, confusa. I piani della narrazione, siano essi veri, reali, concreti o immaginari, fantasiosi, ideali, si alternano, si susseguono, s’intrecciano, si sovrappongono in un procedimento  incalzante, ossessivo perchè conciso, pregnante è il periodo borgesiano. Nonostante ciò si riesce sempre a seguire lo sviluppo della vicenda o situazione o problema perchè Borges, scrittore molto colto, tende ad una prosa che non trascura le regole della coordinazione, della consequenzialità. Tramite uno stile attento e ordinato si appiana il grave contrasto che, per uno scrittore di formazione classica, sarebbe sorto tra i richiami della tradizione e l’impegno a rappresentare problemi nuovi e particolari quali l’alienazione, la confusione, lo smarrimento.

Antico e nuovo sussistono in Borges,  divengono la forma e il contenuto della sua opera, si fondono in questa,   si trasformano nella sua arte. In un’arte singolare perché capace di sprofondarsi nel mistero dei pensieri, dei sentimenti più reconditi e riportarli alla luce, d’immergersi nel baratro di quanto è inconsulto, incosciente e  risalire alla superficie, di perdersi nel “labirinto” delle irrealtà e  ritrovarsi vera, reale. E’ una “lucida ossessione”, una “sana follia” quella che Borges ci trasmette tramite le sue narrazioni. In queste i temi del “sogno”, del “labirinto”, della “biblioteca”, degli “scacchi”, degli “specchi” sono ricorrenti perché all’autore sono sembrati i più idonei a rappresentare tale moltiplicazione della realtà,  dilatare lo spazio e il tempo della vicenda trattata,  mostrare l’uomo nelle sue infinite potenzialità. Non solo ciò che esiste, si vede, si tocca ma anche ciò che non esiste, non si vede, non si tocca acquista, con Borges, diritto di essere ed agire: tutta un’ umanità, una storia, una cultura, un’esistenza antica e nuova, lontana e vicina, emergono dalla sua scrittura e giungono alla coscienza dei suoi personaggi creando intorno a loro un’atmosfera di smarrimento, un “labirinto” appunto, nel quale essi vagano alla ricerca dell’attimo, del segnale che possa orientarli.

Per i ricorrenti richiami a personaggi, opere, autori delle tradizioni culturali più diverse, per la relazione che si cerca d’instaurare tra essi e le problematiche rappresentate, per la funzione di esempio che si vuole loro attribuire, per l’ambientazione spesso priva di una precisa indicazione temporale o spaziale, si ha l’impressione che l’uomo di Borges sia di ogni tempo,luogo e cultura, che sia un uomo eterno. Intorno a lui sono insorte tante verità e realtà da non fargli più sapere se è già esistito,  se esisterà anche o solo dopo la morte,  se esiste senza sapere di essere un altro o volendo esserlo. E’ un uomo condannato a cercare e a cercarsi, destinato a vagare tra i meandri di una vita che non è solo realtà, coscienza ma anche sogno, memoria, incoscienza e che improvvisamente gli si sono rivelati.

Quanto sembrava naturale, concreto, quotidiano diviene, con Borges, irreale, immenso, infinito poiché risulta improvvisamente popolato da molte altre presenze passate, presenti e future che lo trasformano in un momento, in un aspetto dell’interminabile processo della storia, della vita dell’umanità, in un attimo d’eternità.

In tale prospettiva il “sogno” acquista lo stesso valore e significato della veglia e questa diviene evanescente come quello, la realtà risulta infinitamente dilatata come da un gioco di “specchi”, la verità si scopre depositata nel minuscolo testo di un’immensa “biblioteca” dove è necessario perdersi prima di trovarlo o senza trovarlo, la vita diviene “una partita a scacchi” interminabile potendo le sue pedine spostarsi senza fine e senza una precisa direzione. E’ questo il “labirinto” nel quale si muove il moderno uomo di Borges: è il vortice dei suoi pensieri, il dramma che gli è derivato dalla constatazione della precarietà di ogni azione, della vanità di ogni decisione, della fragilità di ogni vita, dell’impossibilità di ogni sostegno o riferimento e, quindi, di ogni liberazione da tale stato. Quanto incombeva su di lui e del quale non si era accorto gli viene improvvisamente svelato e tutto ciò che lo circonda si trasforma nella semplice e vana apparenza di tanta altra vita a lui precedente, contemporanea, futura. Egli si scoprirà un frammento di un circolo vastissimo, infinito, nel quale non potrà che perdersi essendo impossibilitato a muoversi, ad agire ed avendo smarrito ogni direzione.

La storia, l’umanità emerse dai sotterranei della coscienza divengono, tramite lo stile pacato e corretto di Borges, una verità indiscutibile. Essa non era fuori dell’uomo ma in lui e, perciò, sono soprattutto interiori gli ostacoli sopravvenuti a fiaccarlo, demolirlo.

Quelle che sembravano acquisizioni importanti per l’uomo moderno, le verità dell’anima, l’attività inconscia, sono finite per catturarlo e annientarlo senza lasciargli la possibilità di una via d’uscita, di un modo per salvarsi da simile dramma. Non solo il presente e il passato ma anche il futuro risulta privato, nella scrittura di Borges, di ognuna di quelle speranze o aspirazioni che ha sempre rappresentato poiché anche queste vengono sacrificate all’interminabile e inarrestabile espansione di quel “labirinto” nel quale l’uomo e lo scrittore si sono avventurati e ne hanno constatato l’infinità.

(*) da “segni e comprensione”- maggio-agosto 2004, Università degli Studi - Lecce


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