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Calvino e la scrittura
(Si sperimenta ma non si cambia)

di Antonio Stanca

 

Tra i titoli settimanali recentemente editi dal quotidiano "la Repubblica" è comparso anche "Se una notte d’inverno un viaggiatore" dello scrittore italiano Italo Calvino(1923-1985). L’opera, pubblicata la prima volta nel 1979, fa parte dell’ultima produzione dell’autore insieme a "Le cosmicomiche"(1965), "Ti con zero"(1968), "Le città invisibili"(1972), "Il castello dei destini incrociati"(1973), "Palomar"(1983). Sono romanzi nei quali Calvino mostra di essere pervenuto all’uso di particolari tecniche espressive, di saper combinare con grande abilità i contenuti e costruire delle trame che lasciano ammirato e stupefatto il lettore anche per le note qualità stilistiche dello scrittore, per la scioltezza ed eleganza della sua lingua. Ad orientarlo verso la composizione di opere particolarmente articolate erano state l’esperienza francese, la frequentazione a Parigi, dove Calvino si era trasferito nel 1964, di autori quali Roland Barthes e Raymond Queneau, la collaborazione all’Oulipo, laboratorio di scrittura attivo in quegli anni e volto a sperimentare tipi d’espressione scritta che risentissero della letteratura e della scienza, a concepire, creare opere letterarie che non differissero dai sistemi matematici. Tra le parole ed i numeri, le cifre, tra le trame ed i calcoli si potevano cercare combinazioni poiché ovunque si trattava di segni, di strutture.

In "Se una notte d’inverno un viaggiatore" questa maniera raggiunge una delle sue maggiori realizzazioni: per dieci volte si è chiamati ad assistere all’inizio di una narrazione che sistematicamente s’interrompe dopo le prime pagine. Ci sono dieci inizi di romanzo e nessuna conclusione e c’è un lettore che si mette alla ricerca del seguito del primo romanzo iniziato a leggere e, prima di trovarlo, è costretto ad intraprendere la lettura degli altri nove inizi relativi a vicende, personaggi, tempi, luoghi tra i più diversi e lontani, a percorrere tutto il pianeta, a vivere situazioni strane e sorprendenti. Compie questa impresa anche per Ludmilla, sua compagna di quella prima lettura e insieme a lui delusa dell’improvvisa interruzione. Con lei si ritroverà alla fine e come all’inizio i due riprenderanno a leggere rassicurati che quanto da lui scoperto durante l’interminabile viaggio, tutti i titoli degli altri romanzi, continuano quello del primo.

Quando sembrava ormai impossibile fare ordine la situazione si ricompone da sola: non si tratta di tante opere ma di una e la ricerca compiuta dal lettore gli ha permesso di legare a sé la lettrice fino a farla divenire sua moglie né va trascurato il bisogno del libro, della lettura che emerge e che ha animato lui nel difficile percorso e lei nell’attesa. Principi, valori semplicemente umani si ricavano dal libro e ad essi risulta finalizzata la sua ardua costruzione. In questa è successo di tutto, s’è detto di tutto, di spazi, tempi presenti, passati, futuri e tra tanto è rientrato, con insistenza, il tema del difficile rapporto tra letteratura e mondo contemporaneo, tra autori e pubblico, tra produzione in serie ed opere autentiche, tra linguaggi di massa e lingua d’autore. Quanto si agita, ai nostri giorni, in ambito culturale, letterario, artistico, quanto la società industriale, consumistica, i mass-media hanno provocato a livello individuale e collettivo, l’alienazione, la spersonalizzazione, di cui si soffre, rientrano spesso in queste pagine come motivi di discussione, problemi da affrontare e risolvere.

Attualità e suoi aspetti, tempi della storia e della favola, realtà e fantasia, ragione e sentimento, spirito critico ed abbandono lirico, accettazione e rifiuto, letteratura e scienza, arte e vita, soggettività ed oggettività, autore e lettore: tutto questo in "Se una notte d’inverno un viaggiatore" e non solo qui perché ovunque, nei racconti e romanzi di Calvino, è possibile rintracciare se non un movimento così ampio e così abilmente costruito l’interazione tra elementi o motivi diversi od opposti e la loro proiezione verso il recupero di una dimensione umana nella letteratura, nell’arte, nella vita. Non è corretto, pertanto, dividere, come si è soliti fare, la produzione calviniana in fasi e distinguere una prima o neorealistica ("Il sentiero dei nidi di ragno"1947) da collegare con l’esperienza partigiana dell’autore, l’impegno politico, la militanza nel Partito Comunista e la collaborazione a "Il Menabò" di Vittorini e "L’Unità", una seconda o allegorico-fantastica ("Il visconte dimezzato"1952, "Il barone rampante" 1957, "Il cavaliere inesistente" 1959) che si spiegherebbe col rifiuto della politica comunista specie dopo i fatti d’Ungheria ed una terza nella quale sarebbero da collocare le opere sopra dette e che andrebbe dagli anni ’60 in poi. Una scansione simile non regge perchè in Calvino non c’è realtà che non sia attraversata da fantasia nè fantasia che non alluda a ben determinate situazioni individuali o sociali: così in ogni opera dal momento che soltanto così egli era convinto fosse possibile essere scrittore.

Calvino è stato anche un osservatore di fenomeni sociali, un saggista, un critico letterario, un teorico d’arte e questa attività ha accompagnato la sua produzione narrativa fin dall’inizio. Allora aveva polemizzato con la diffusa atmosfera culturale voluta dalla critica marxista e tendente a fare dell’opera letteraria un’espressione concreta, fedele al vissuto compresa la lingua di questo. A tanta oggettività Calvino aveva opposto, nei suoi interventi critici, le ragioni della soggettività artistica che riteneva non potessero essere limitate alla rappresentazione del reale ma dovessero contenere anche elementi ideali, immaginari sì da pervenire ad una sintesi, una combinazione tra le parti ed offrire al lettore motivi di riflessione circa i problemi del suo tempo, sensibilizzarlo a questi, educarlo, formarlo. Per ottenere tali risultati era da evitare, secondo Calvino, anche l’uso di linguaggi regionali o generalmente dialettali poiché riduttivi del pubblico che s’intendeva raggiungere. Ed ancora in quelle circostanze egli s’era opposto alla produzione perseguita dalle numerose avanguardie letterarie, allora diffuse pure in Italia, dal momento che rimaneva in superficie, riguardava essenzialmente la forma dell’opera, limitava questa alle ambizioni, vanità dell’autore ed escludeva i lettori che avrebbero dovuto usufruirne. Questo bisogno di giungere agli altri, questa tendenza a ricavare dalle contrastanti, complicate situazioni di volta in volta presentate nei romanzi elementi, aspetti, valori soprattutto umani in tempi di diffusa disumanizzazione, questo procedimento, comparso nel primo Calvino e teso ad affidare alla letteratura intenti didattici, educativi, caratterizzerà tutte le opere dell’autore, sarà il suo mezzo e il suo fine. Anche nella macchinosa costruzione di "Se una notte d’inverno un viaggiatore", concepita e scritta a distanza di anni dalle prime narrazioni, è possibile rintracciarlo e questo prova che Calvino non è da intendere diviso tra fasi, tendenze, opere ma unito nella sua arte. Cambieranno, nel corso della produzione, le maniere espressive, si cimenterà egli con tante e diverse rivelandosi un inesauribile sperimentatore, animatore, creatore ma uniche saranno le prospettive sempre cercate. E’ stato un grande, coraggioso esempio di umanesimo il suo perché perseguito in tempi e luoghi avversi e continuamente adattato a nuove forme d’espressione. Un interminabile esercizio di scrittura si potrebbe dire delle opere di Calvino, una prova continua che non ha mai perso di vista il tipo di messaggio da elaborare e il destinatario da raggiungere.


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