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CAMUS: “L’UOMO MEDITERRANEO”

 di Antonio Stanca

Ancora oggi molte sono, in ambito critico, le polemiche esistenti circa una corretta interpretazione e valutazione della figura ed opera di Albert Camus (Mondovi, Algeria, 1913- Villeblevin, Yonne, 1960), circa una loro precisa collocazione nel panorama culturale, letterario, artistico del ‘900.Già in vita l’autore soffrì di gravi incomprensioni¹ né l’assegnazione del premio Nobel, nel 1957, valse a modificare la situazione. In quella circostanza la motivazione ufficiale era stata: "... la sua importante opera letteraria mette in luce, con serietà e penetrazione, i problemi che si pongono oggi alla coscienza dell' uomo...".

  Si parla di opera letteraria ed in effetti Camus si è sempre ritenuto un letterato o meglio un artista e non un filosofo né un romanziere. Le tendenze primarie del suo spirito erano quelle dell'umanista, del nuovo, moderno umanista, attento ai valori interiori ma anche impegnato a confrontarli con la realtà storica. Egli non è stato l'autore di un rigido sistema di idee, non ha sempre riportato alla mente quanto il suo animo sentiva ma spesso si è abbandonato fino a perdersi in coscienza e identità. Non le ragioni dell'intelletto hanno mosso la sua opera bensì gli impulsi istintivi di una spiritualità così variamente articolata da fargli dire: "Io non so quel che cerco, lo nomino con prudenza, ritratto, ripeto, avanzo e mi tiro indietro. Nondimeno mi ingiungono di dire i nomi, o il nome, una volta per sempre. Allora io mi impenno; ciò che ha nome non è già perduto? Posso almeno tentare di dire questo." 2       

  Queste parole, scritte da Camus in una delle sue ultime opere (L’enigma ne L’estate, 1954)* costituiscono un documento importante per l'interpretazione dell'uomo e dell'autore. Egli, dopo aver vissuto e prodotto, dichiarava di non conoscersi ancora, proclamava l'equivocità e la contraddittorietà nelle quali si trovava pur dopo ampia ricerca, faceva del dubbio continuo la regola del suo procedere giacché questo avveniva non nell'ambito determinato della ragione ma nella vastità infinita e irregolare del sentimento.

 Un'indole d’artista, s’è detto, di un artista che non vive solo della sua arte, del suo genio, lontano dal mondo esterno.  Al riguardo dirà nei Discorsi di Svezia (1957): "Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l'ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non mi estrania da nessuno e mi permette di vivere come sono a livello di tutti.

L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti. L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri  si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo essere diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l'artista si forma in questo rapporto perpetuo tra lui e gli altri a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. E’ per questa ragione che i vari artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare: e se essi hanno un partito da prendere in questo mondo non può essere altro che quello di una società in cui, secondo il gran motto di Nietzsche, non regnerà più il giudice ma il creatore sia esso lavoratore o intellettuale". 3  Ed ancora: "Cos'è dunque l'arte? Niente di semplice, questo è certo [...] l'arte, non è nulla senza la realtà, e senza la quale la realtà è poca cosa. Come potrebbe l'arte fare a meno del reale, e come vi si potrebbe sottomettere? L'artista sceglie il suo oggetto ma a sua volta è scelto da quello. L'arte in un certo senso è una rivolta contro il mondo in ciò che v'è di impreciso e di incompiuto: non si propone dunque nient'altro che di dare un'altra forma ad una realtà che è costretta a conservare in sé, in quanto è la fonte stessa della sua emozione. Sotto questo aspetto, siamo tutti realisti e nessuno lo è. L' arte non è né il rifiuto totale né il consenso totale a ciò che esiste: essa è nello stesso tempo rifiuto e consenso e perciò non può essere che uno strazio perpetuamente rinnovato. L' artista si trova sempre in questa ambiguità, incapace di negare il reale e tuttavia  eternamente portato a contestarlo in ciò che v'è di eternamente incompiuto [...]. Noialtri scrittori del xx secolo non saremo mai più soli. Dobbiamo sapere, al contrario, che non possiamo evadere dalla miseria comune e che la nostra sola giustificazione, se ne esiste una, è di parlare, secondo i nostri mezzi, per coloro che non possono farlo [...]. Dir ciò equivale a dire che la rinascita, oggi, dipende dal nostro coraggio e dalla nostra volontà di chiarezza.

  Sì, questa rinascita è nelle nostre mani. Dipende da noi che l'Occidente susciti questi anti-Alessandro che dovrebbero riannodare il nodo gordiano della civiltà troncato dalla forza della spada. Per questo dobbiamo assumerci tutti i rischi e le fatiche della libertà.

  Si tratta di sapere che, senza libertà, non realizzeremo nulla e perderemo ad un tempo,  la  giustizia  futura  e l'antica bellezza. La libertà sola  trae  gli uomini dall'isolamento  mentre  la  schiavitù  non  regna che su  una folla di solitudini. E l' arte, per questa sua libera coscienza che ho cercato di definire, unisce là dove la tirannia separa. Perché stupirsi allora per il fatto che essa sia il nemico designato di tutte le oppressioni? [...]. Ogni grande opera rende più mirabile e ricca la specie umana; ecco il suo segreto. Non bastano migliaia di campi di concentramento e di sbarre e di prigioni per offuscare questa sconvolgente testimonianza di dignità. È per questo che non è vero che si possa, anche provvisoriamente, sospendere la cultura per prepararne una nuova. Non si sospende l'incessante testimonianza dell'uomo sulla sua miseria e sulla sua grandezza così come non si può interrompere di respirare. Non v'è cultura senza eredità  e  non  possiamo    dobbiamo rifiutare nulla della nostra, la cultura dell' Occidente."4

  Quando dice questo Camus ha scritto le maggiori sue opere e, tuttavia, sembra avere ancora un programma da attuare. Egli, infatti, aveva progettato allora, come era solito, un ciclo di opere da intitolare Némésis, al quale sarebbe  seguito un altro sull'amore. Ma le sue parole  provocano tale sensazione soprattutto per la novità della concezione enunciata in quanto individuano nell'arte del singolo i segni della storia, della tradizione, della vita di un popolo, di un continente e ne traggono un proposito di diffuso rinnovamento materiale e morale: la sofferta condizione spirituale dell’ artista è compensata dalla speranza di una vittoria utile all’umanità!5

  Di fronte all'assunzione di un compito così vasto Camus si sentiva   immerso nella ricerca dei mezzi idonei a realizzarlo. Ogni momento, ogni pensiero, ogni prodotto sarebbe stato per lui sempre un nuovo inizio. Un artista che vuole completare le mancanze rinvenute nella creazione non può non sentirsi sempre pronto a cominciare nonostante il già fatto. Egli avrebbe cercato tra le ombre la via per quella luce che una volta l' aveva abbagliato.

   Nel 1958, nella prefazione ad un'opera già composta  (Il rovescio e il diritto, 1937) avrebbe detto: "un'opera umana non è nient'altro che questo lungo cammino per ritrovare con i sotterfugi dell'arte, le due o tre immagini semplici e grandi sulle quali una prima volta il cuore si è aperto. Ecco perché, forse, dopo vent'anni di lavoro e di attività, io continuo a vivere con l'idea che la mia opera non sia nemmeno cominciata".6  Alla chiarezza delle precedenti intenzioni subentravano ora i dubbi sul modo di perseguirle e realizzarle e Camus confermava come quella da lui intrapresa fosse una ricerca dalle fasi incerte e destinata, forse, a non concludersi . 7 Nè poteva essere diversamente per un artista incline ad impegnarsi "tutto in questo mondo", ad amare il mondo tanto da non volerlo diverso se non nella vita che in esso avveniva. E cambiare la vita non significava, per Camus, rifiutare quella esistente, reale, per un'altra astratta, ideale ma accogliere in un'unica visione la realtà e l'idealità. Non si voleva sovvertire quanto già c’era ma  integrarlo in una dimensione umana che fosse individuale ed anche sociale,  fare dell'uomo "solitaire" un uomo "solidaire",  combinare lo spirito con il corpo, l'arte con la vita, l'artisticità con l'umanità. Era un compito molto arduo  per la sua novità e complessità e per gli innumerevoli ostacoli che si sarebbero frapposti.8  Camus, tuttavia, avrebbe perseguito i suoi intenti: non erano tanto importanti i risultati quanto gli sviluppi dell'operazione giacché riflettevano quelli del suo pensiero, i movimenti inesausti e spesso irregolari del suo spirito.  Per aver voluto procedere in tal modo egli si sarebbe trovato tra contestazioni di ogni tipo, sarebbe stato accusato di incoerenza, di asistematicità, le sue sarebbero state considerate  velleità  di un riformatore dei costumi  smarritosi tra i propri pensieri,9 non si sarebbe capito come era possibile accogliere la realtà in tutte le sue manifestazioni se tra queste c'erano anche la fame, la guerra, lo sterminio. Ne sarebbe scaturita una situazione di continuo contrasto tra l'opera e la sua valutazione. Tale fenomeno, pur avendo amareggiato l'autore per tutta la vita, non lo distolse dall’impegno ed  a volte fu da lui accolto come un altro aspetto di quel più ampio dissidio tra luce ed ombra che sembrava ormai divenuto il destino dell'uomo e dell'artista.

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  Nato povero e cresciuto in ambienti particolarmente suggestivi per naturalità e bellezza, la sua sensibilità aveva contratto da tali due motivi quelle componenti che sempre la distingueranno: la tristezza e la gioia, la malinconia e l'entusiasmo, l'abbandono e lo slancio, la debolezza e la forza. Questi aspetti, prima inconsci, diverranno poi tipici della personalità e saranno fondamentali per il pensiero. La loro prima formulazione avverrà ne Il rovescio e il diritto,10 l'opera dell’esordio letterario. Qui l'autore riconoscerà sempre la sorgente della sua ispirazione ed attività se nella già citata prefazione, scritta a distanza di anni, dirà: "In fondo a se stesso, ogni artista custodisce in tal modo un'unica sorgente che nel corso della vita alimenta quel ch'egli è e quello che dice [...]. Quanto a me, so che la sorgente è ne Il rovescio e il diritto,11 in questo mondo di povertà e di luce, dove sono vissuto a lungo e il cui ricordo mi preserva ancora da due opposti pericoli che minacciano ogni artista, il risentimento e la soddisfazione.

  La povertà intanto non è mai stata una disgrazia per me: la luce vi spandeva le sue ricchezze. Persino le mie rivolte ne sono state illuminate. Quasi sempre, credo di poterlo dire senza barare, furono rivolte per tutti e perché la vita di tutti fosse elevata nella luce. Non è certo che il mio cuore fosse disposto per natura a questa sorta di amore. Ma le circostanze mi hanno aiutato. Per correggere una indifferenza naturale venni messo a mezza strada fra la miseria e il sole. La miseria mi impedì di credere che tutto sia bene sotto il sole e nella storia; il sole mi insegnò che la storia non è tutto.

  Cambiare la vita, sì, ma non il mondo di cui facevo la mia divinità. È certamente così che mi accinsi a questa carriera scomoda in cui sono [...]. In altre parole, divenni artista se è vero che non v'è arte senza rifiuto né senza consenso".12

 Questo scriveva Camus prima di morire e le sue parole confermavano  gli impulsi primari della sua vita ed opera. Ed ancora: "Non c'è amore del vivere senza disperazione di vivere, ho scritto, non senza enfasi, in queste pagine. Allora non sapevo fino a che punto fossi nel vero; non ero ancora passato attraverso i tempi della vera disperazione. Quei tempi sono venuti ed hanno potuto distruggere tutto in me, meno, appunto, il disordinato appetito di vivere. Io soffro ancora di questa passione, al tempo stesso feconda e distruttiva, che risplende persino nelle pagine più cupe de Il rovescio e il diritto".13 Sempre in tale prefazione, che è soprattutto una riflessione, confessione, valutazione operata su se stesso dopo vent'anni di attività letteraria, Camus dirà che i veri motivi per i quali non aveva fino ad allora ristampato Il rovescio e il diritto14 stavano in un segreto: i contenuti di quella prima opera rappresentavano per lui il fulcro della sua ispirazione ed egli, non riprendendoli, aveva voluto  tenerli nascosti fino al momento in cui si sarebbe sentito tanto maturo da poterli investire di quella nuova e più ampia luce capace di trasformarli nell'opera sempre sognata. E poiché per Camus ogni artista ha un unico fulcro ed ogni grande opera d'arte muove da qui, egli sentiva di  accostarsi adesso a quel fulcro e di dovergli rimanere vicino poiché era giunto il momento della grande opera. Per lui si trattava di tornare indietro, di ritrovare "quella patria tranquilla in cui anche la morte è un silenzio felice" e proiettarla nella superiore dimensione che una spiritualità più temprata e sicura poteva procurarle. Anche se tali propositi rimarranno inattuati a causa della prematura morte, va notato che ora Camus si è ancor più rivolto a se stesso, alla propria interiorità e gli si sono chiarite le opere da compiere: una avrebbe trattato del giusto mezzo, della misura, un'altra "di una certa forma d'amore" e sarebbe stata "alla ricerca di una giustizia o di un amore che equilibra la sofferenza". Némésis e Déjanire sarebbero stati i rispettivi titoli: si sarebbe detto prima dell'equilibrio poi dell'amore che equilibra. In questi temi egli riconosceva la centralità del suo sentire e tra essi voleva rientrare simile ad un viaggiatore, che, affranto dalle insidie del viaggio, cerca il calore di un rifugio.

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  Già da tempo, però,  Camus, si era avvicinato ai temi che ora diceva di riscoprire come l'origine prima della sua sensibilità artistica ed attività letteraria. L'opera, che adesso sentiva come improrogabile, era, in effetti, già cominciata e molti erano stati i segni premonitori. Tra questi va inserita  la ristampa de Il rovescio e il diritto15 (1954) e prima ancora l'ampia ed erudita panoramica di carattere storico, filosofico, letterario, artistico, contenuta ne L'uomo in rivolta16 (1951), si era conclusa quasi liricamente, cioè con la proposta del “pensiero meridiano" quale alternativa di vita e di cultura. Inoltre ne L'estate17  (1954), La caduta18 (1956) e L’esilio e il regno19 (1957) egli aveva detto, anche se  tra contenuti diversi,  del mondo mediterraneo ed in particolare di quello ellenico come di un "paradiso" che l'umanità aveva perduto e che doveva recuperare se voleva salvare la sua più vera eredità e promuovere e diffondere un più sano senso e modo di sentire,  vivere,  essere.  Già nel 1951, quindi, di fronte ad un mondo reduce ed ancora vittima dei disastri di una tragica guerra,  al diffuso conformismo e condizionamento intellettuale, all'asservimento delle masse, Camus aveva proclamato, nella sua opera più ampia e più discussa, la necessità per l'uomo di rivoltarsi contro la storia e la cultura che lo avevano preceduto, di rifiutare le precedenti rivoluzioni poiché, da qualunque parte fossero provenute, erano sfociate irrimediabilmente nel totalitarismo, aveva asserito il bisogno di contrastare la rigida ideologia nordeuropea in nome del più aperto spirito mediterraneo.20 Per  Camus il moderno uomo occidentale, immiserito e avvilito nel corpo e nell'anima, privato della sua realtà umana, avrebbe dovuto avvertire tale condizione come di tutti e rivoltarsi contro quanto l'aveva provocata. La rivolta gli avrebbe fatto scoprire di non essere solo e di voler essere con gli altri in un altro  modo,  di   non   voler   separare  l'idealità  dalla  realtà,  l'interiorità dall'esteriorità, la luce dalle tenebre, il bene dal male, la natura dalla storia, di non  voler "escludere nulla" né  giudicare né  essere Dio ma soltanto uomo anche a costo di non acquietarsi mai e rimanere perennemente in equilibrio tra tanti opposti. Al fine di migliorarsi dalla barbarie del moderno costume di vita e di pensiero, l'umanità doveva recuperare la sua vera dimensione, la sua misura, la sua giovinezza che,  per Camus, "… si trova ancora intorno alle stesse sponde...”21 , quelle mediterranee. E quando egli parla di Mediterraneo, di "uomo mediterraneo", di razza mediterranea, intende riferirsi non alla civiltà latino - romana bensì a quella greca ed a volte alla orientale. Tuttavia ne L'uomo in rivolta 22  il tema della mediterraneità rientra nel contesto di una più ampia elaborazione filosofica, è un elemento di pensiero nonostante venga trattato con i toni lirici che  esprimono l'accensione e la tristezza mostrate dall'autore quando dice dell'argomento. Tali modi espressivi, che avevano contraddistinto le primissime opere quali Il rovescio e il diritto23 e Nozze24 (1939), dove tanto è concesso alla descrizione del paesaggio naturale ed alle relative emozioni, sarebbero comparsi carichi della stessa tensione ne L'estate25 e diversi ne La caduta26 e L’ esilio e il regno27. Fondamentali sono stati, quindi, per Camus e la sua opera l’elemento naturale e gli uniti stati d’animo: sono tante le possibilità di rintracciarli  in essa che possono essere ritenuti costitutivi della personalità umana e artistica!

 I luoghi della sua nascita e adolescenza, con la loro bellezza e suggestività, avevano corrisposto alle esigenze del suo spirito libero e sognatore al punto da farlo innamorare della vita in ogni  aspetto e da fargli accettare tutto di essa fino a sentirsi un elemento della natura, destinato a stare accanto ai tanti altri ed alle loro più  varie manifestazioni senza possibilità di distinguersi e distinguere.28 Pertanto neanche la povertà della sua condizione famigliare gli era sembrata una disgrazia perché rientrava in quella globalità,  in quella vita dell'universo infinita, eterna, verso la quale si sentiva proiettato ed al cui cospetto ogni singolo fenomeno si riduceva, diveniva un frammento dell'immensa composizione. Questa sarebbe stata sempre incorrotta, inalterata mentre le sue parti si sarebbero alterate.  Ta1e  constatazione avrebbe adombrato quel primo sorriso "solare" di Camus, la sua precedente, immensa gioia di comunicare con l'infinità ed eternità della natura. Egli, che si era sentito parte dell'infinito, sarebbe stato costretto a verificare i limiti e il dolore della condizione umana, a riconoscersi finito. E tuttavia anche questo dramma poteva essere risolto se l'uomo, presa coscienza di sé, non avesse scelto tra il contingente e l'eterno e si fosse impegnato a viverli entrambi, se non avesse preferito "il diritto" al "rovescio" o viceversa ed avesse pensato a padroneggiarli in una continua, anche se tormentata, volontà di equilibrio.29

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E’ oltremodo suggestivo pensare che il Mediterraneo sia stato all'origine del pensiero di Camus come era stato per la sua vita, che l’essere nato sulle coste mediterranee dell'Africa abbia determinato in lui una concezione così singolare³º. Va notato, tuttavia, che nell’arco di tempo compreso tra l’iniziale ed istintiva elaborazione del “pensiero solare” e la finale e più matura formulazione del "pensiero meridiano",  egli si dedicò ad  altre prove ed opere, le quali,  pur non guastando tale  linea di sviluppo, 1a offuscarono fino a farla soltanto trasparire. Per un artista  come lui, che voleva "il suo impegno tutto di questo mondo", l'abbandono estatico e la liricità dell'espressione celebranti le "nozze" tra l' uomo e la natura non erano sempre possibili giacché altri richiami giungevano alla sua mente e la impegnavano nella elaborazione di altri contenuti e mezzi espressivi. Dal momento che l'opera doveva seguire la vita sarebbe accaduto ben presto che la prima visione "solare"  si oscurasse, che al "diritto" sopraggiungesse il "rovescio" e poiché che non vi era tendenza a risolvere il dissidio nell'evasione o nella distaccata contemplazione, Camus sarebbe rimasto fino alla fine della vita e dell' opera in bilico tra i due termini. Si può dire, pertanto, che quello avvertito  nella primissima opera sarebbe divenuto il problema della sua esistenza, l'avrebbe caratterizzata, si sarebbe incarnato in essa e diramato in tutte le altre opere anche se con articolazioni diverse  ed a volte irregolari. Non poteva, del resto, svolgersi con regolarità un cammino intrapreso all'insegna di un'eterna alternanza tra gli opposti ed in nome di una convinta accettazione della loro convivenza. Da qui anche quell'asistematicità, di cui tante opere sono state accusate senza considerare che si trattava quasi di una necessità. Per Camus è stato come scoprire gradualmente ciò che cercava, come parlarne e convincersi al momento stesso della scoperta. Si è trattato  di una continua, instancabile approssimazione a quanto sarebbe rimasto sempre segreto perché estremamente difficile a dirsi e possibile solo avvertire in particolari circostanze o stati dell'animo. Un chiaro riflesso di tale procedere sta nello stile particolarissimo dell’autore: non il periodo e la sua   maggiore o minore ampiezza ma le parole e la loro pregnanza ed incisività contano  e al punto che da sole possono costituire delle immagini, delle scene, delle situazioni complete.  Ne risulta una scrittura molto animata, una serie interminabile di illuminazioni, che investono da più parti il problema, il pensiero, il sentimento espresso e  costituiscono gli infiniti tentativi fatti da Camus nel suo interminabile cammino verso la verità.

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Egli inizierà, quindi, la sua ricerca, progetterà  delle fasi e queste saranno come delle improvvise rivelazioni nella tenebrosa avventura intrapresa  più in nome dell'umanità che della letteratura o dell' arte.Dopo le prime opere, di cui s'è detto e tra le quali rientra anche il romanzo, incompiuto e postumo, La morte felice31  (interrotto nel 1937 e pubblicato nel 1971), l'uomo e l'artista Camus avrebbero scoperto e rappresentato quanto negava la vita e ancora dopo sarebbero pervenuti a quanto l'affermava.

   Non si pensi, tuttavia, al complesso della vita e della produzione camusiane come ad una serie eterogenea di azioni, pensieri, opere, anche se a volte è stato lo stesso autore, con le sue varie intenzioni programmatiche, a provocare simili giudizi presso la critica.Molte sono, invece, le corrispondenze tra le opere di Camus: esse contengono lo sviluppo e la maturazione del suo pensiero, che, pur presentando dei cambiamenti o interruzioni o contraddizioni, trova sempre una propria continuità.  È stato come in un procedimento naturale e non artefatto: se Camus ha pensato e scritto come è vissuto era necessario che l’opera risentisse di quei movimenti che seguono una maturazione avvenuta non sulle orme di una dottrina astratta o prestabilita ma tramite il confronto tra i propri impulsi e le tante situazioni del mondo esterno. Si può dire anzi che, nonostante tale processo sia stato per lui abbastanza vario, intatta o quasi è rimasta l’ interiorità morale dalla quale s'era iniziato ed alla quale sarebbe tornato dopo l'esplorazione compiuta.  I tanti percorsi che Camus aveva tentato prima che il cerchio si chiudesse su se stesso non gli avevano fatto smarrire il primo ed anche se da questo, a volte, l'avevano allontanato in definitiva erano serviti a sostanziarlo di altra ampiezza e coscienza. Egli sarebbe rientrato nella "misura" e nella "solarità", primamente sentite e vissute, con una convinzione maggiore per averle preferite nel confronto con le altre situazioni che la vita e l'opera gli avevano riservato. Queste dapprima gli faranno scoprire che la concezione vitalistica, che lo aveva animato nella composizione di Nozze32 e  gli aveva fatto ritenere anche la morte "felice", era destinata ad infrangersi, che l'equilibrato connubio con la natura sarebbe stato rotto dalla vita. Una vita  sopravvenuta a spegnere quella felicità, a rivelare la tragicità della morte e a dimostrarsi assurda per chi aveva creduto nella sua interminabile gioia e bellezza. Tuttavia   Meursault (Lo straniero, 1942) e Caligola (Caligola, 1944) continueranno a non rassegnarsi al dolore di tale scoperta e a difendere il diritto dell'uomo ad una vita totale. Il primo rimarrà sempre "straniero" a quanto accade pur nei suoi riguardi e ritroverà, infine, la sua primaria condizione naturale nella comunione con gli altri elementi del creato;  il  secondo cercherà, anche a costo del delitto, di rendere possibile l'impossibile, di "far zampillare il riso dalla pena", di purificare e trasformare il mondo fino a gridare "sono ancora vivo" mentre la morte si abbatte su di lui. L'equilibrio rotto si ristabilisce ma solo per il singolo, per chi si è sentito di liberarsi del "rovescio" e di agire nel "diritto", di contrastare la tirannia del vivere quotidiano scegliendo la libertà del corpo e dello spirito, di rifiutare i doveri del suo "essere sociale" per conservare i diritti di quello "naturale", di respingere la vita del mondo per la propria, la storia per la natura. Simili aspirazioni a vivere la totalità dell'essere saranno anche quelle che indurranno la Martha de Il malinteso33  (1944) a ripetere il gesto del Mersault de La morte felice34 pur se con conseguenze  diverse. Anche ne  Il mito di Sisifo35 (1942) l'uomo scoprirà quanto della vita soffoca il suo desiderio di felicità, "l'assurdità" della sua condizione e penserà di rivoltarsi  mediante il suicidio. Ma a fargli superare tale stato sarà l'acquisizione della coscienza dell'infelicità che lo condurrà, come Sisifo, ad accettare la sua esistenza sebbene "assurda" e ad essere "felice" nell'infelicità.

   Camus, dunque, ha constatato l'”assurdo” della vita ma questo non è stato per lui, come per tanti autori moderni, un atto conclusivo nello svolgimento del  proprio pensiero bensì il punto dal quale muovere verso più ampie esplorazioni. La rivelazione di "Sisifo felice" è, difatti, solo la prima conquista di un'azione di rivolta appena iniziata. Si trattava di un risultato piuttosto limitato perché riguardava il singolo e non la collettività: poteva acquisirlo soltanto chi si fosse accorto dell’”assurdo” e vi si fosse opposto. Non era una diffusa condizione morale.  Questa sarebbe stata raggiunta in seguito ne La peste36 (1947): il male di vivere avrebbe riguardato tutti anche chi, come il giornalista Rambert, avrebbe potuto considerarsi estraneo. I cittadini di Orano, colpiti dal morbo, avrebbero rappresentato, per opera di Camus, tutti gli uomini del mondo che di fronte all'assurdo della vita reagiscono ognuno a suo modo.Tra tanti diversi comportamenti uno sarebbe risaltato perché più sentito dall'autore, quello del dottor Rieux, ostinato a resistere e a far resistere al flagello trovandovi la forza necessaria e la convinzione nell'impegno quotidiano. La "certezza era nel lavoro di ogni giorno. Il resto era appeso a fili e movimenti insignificanti, non ci si poteva fermare. L'essenziale era fare bene il proprio mestiere".37

   Camus ha voluto rappresentare nell’opera la pluralità dei casi umani di fronte alla constatazione dell' “assurdo” nella vita e indicare l’atteggiamento da seguire, visto che "il bacillo della peste non muore né scompare mai", nel valore della coscienza e della ragione opposto  al dilagante disagio.L’estensione del problema rappresenta uno sviluppo nel processo avviato dalle opere di Camus ed un altro va visto nella posizione assunta dal dottor Rieux e nel suo sforzo di convincere  all'idea di rifiutare, di fronte al pericolo, ogni riferimento o aiuto non riconducibile ai valori di una ragione che verifichi e respinga la morte e la paura.38 Agli stessi principi della consapevolezza e del coraggio da opporre alla violenza della vita, si richiamano i drammi di questo periodo e cioè Lo stato d'assedio39 (1948) e I giusti40 (1950). In quest'ultimo accanto a tali valori ci sono  quelli della giustizia perseguita con sistemi rivoluzionari e scontata con l'accettazione della morte da parte di chi ha colpito nonostante abbia la possibilità di sfuggire alla pena e sia attratto  dalla vita tramite l'amore. Come lo "straniero" Meursault anche il “giusto” Kaliajev è l'essere "naturale" amato da Camus, quello che dalla natura trae la sua morale e l'interesse per la vita, la bellezza, la felicità. Ma, a differenza dello "straniero", egli ha ucciso per una giustizia collettiva, per un bene comune anche se futuro e per giustizia non può sottrarsi alla morte: come in natura così in Kaliajev gli opposti devono conciliarsi oltre ogni resistenza.

   È chiaro, adesso, quale sia la figura di eroe prediletta da Camus, quella dell'uomo che vive fuori dalla storia, dell'essere naturale che, se prima si era sentito "straniero" al mondo ed aveva agito solo per sé, ora difende la propria "naturalità" in seno al mondo ed anche in nome degli altri. In Camus Meursault è divenuto Rieux e poi Kaliajev mediante un processo che non ha negato ma continuato e rafforzato il suo avvio: sono tutti "stranieri" al mondo ed alla storia ma gli ultimi hanno acquisito coscienza di tale condizione e, sorretti dalla nuova forza, procedono pur tra ostacoli maggiori nella speranza di un prossimo, anche se indefinito, rinnovamento. Le loro sono le aspirazioni di Camus che muovono da un ambito personale e si rivolgono agli altri, a tutti, in vista di una vita migliorata dal proprio coraggioso e, a volte, drammatico esempio.Un’eroica, tragica individualità che tende a perdere i propri limiti per trasformarsi in un invito a che tutti assumano una nuova, diversa posizione di fronte alla vita, per divenire la voce di un'estesa condizione umana e morale quale quella dell'uomo dell' Occidente europeo. Quest'altro sviluppo avverrà nell'ampio saggio L'uomo in rivolta,4! che concluderà la cosiddetta seconda fase dell'attività di Camus. Qui la constatazione dell'assurdo nel mondo, dell'ingiustizia e incomprensibilità della vita, porterà ancora l'uomo a rivoltarsi, a rifiutare ma non a rinunciare perché sorretto da valori anteriori alla crisi anche se non trascendenti, valori soltanto umani che rivendicano "l'ordine in mezzo al caos e l'unità al cuore stesso di ciò che fugge e scompare". Quell'uomo accetterà di rimanere in un stato di eterna, inquieta oscillazione tra quanto rifiutato e quanto non rinunciato. "L'uomo in rivolta è l'uomo situato prima o dopo l'universo sacro, e si adopera a rivendicare un ordine umano in cui tutte le risposte siano umane, cioè razionalmente formulate. Da quell'istante ogni interrogazione, ogni parola è rivolta, mentre nel mondo religioso, ogni parola è rendimento di grazie. Sarebbe possibile mostrare così come non vi possono essere per uno spirito umano che due soli universi possibili, l'universo religioso (o per parlare il linguaggio cristiano, della grazia), e quello della rivolta. La scomparsa dell'uno equivale alla comparsa dell'altro, sebbene questa comparsa possa avvenire in forme sconcertanti [...]. L'attualità del problema della rivolta deriva solo dal fatto che oggi intere società hanno voluto assumere una posizione di distanza rispetto ad ogni universo sacro. Viviamo una storia sconsacrata. L'uomo, certo, non si riassume nell'insurrezione. Ma la storia di oggi, con le sue contestazioni ci costringe a dire che la rivolta è una delle dimensioni essenziali. E’ la nostra realtà storica. A meno di fuggire la realtà, dobbiamo trovare in essa i nostri valori. Si può, lungi dall'universo religioso e dai suoi valori assoluti, trovare una regola di condotta? È questa la domanda posta dalla rivolta". 42

   Intanto si può dire che lo spirito di rivolta farà compiere uno sviluppo all'uomo giacché gli farà superare lo stato iniziale di solitudine e lo unirà agli altri. “Il primo progresso di uno spirito intimamente estraniato sta dunque nel riconoscere che questo suo sentirsi straniero lo condivide con tutti gli uomini, e che la realtà umana, nella sua totalità, soffre di questa distanza rispetto a se stessa e al mondo. I1 male che un solo uomo provava diviene peste collettiva. In quella che è la nostra prova quotidiana, la rivolta svolge la stessa funzione del "cogito" nell'ordine del pensiero: è la prima evidenza. Ma questa evidenza trae l'individuo dalla sua solitudine. È un luogo comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto, dunque siamo".43 Per rispettare poi tale scoperta solidarietà la rivolta dell'uomo di Camus non potrà mai varcare i limiti che esistono in  se stessa ed entro i quali gli uomini, una volta raggiuntisi, "cominciano ad essere", ma dovrà "rimanere fedele alla sua primitiva nobiltà e non trasformarsi in "assenso omicida". I1 superamento del limite aveva fatto fallire le precedenti rivolte fossero state metafisiche o storiche, di destra o di sinistra o di centro. Con esse l'uomo aveva voluto sostituire Dio con Cesare ed instaurare il regno della storia fatto di violenza e soppressione e generalmente risoltosi nell'annientamento della vita, nel nichilismo. Quelle rivolte avevano prospettato una futura condizione migliore e non s'erano accorte di annullare quanto di umano c'è nella vita degli uomini. Avevano tradito lo spirito della vera rivolta, che pure le aveva mosse, ed avevano rinviato ancora a dopo ciò che era da fare subito, avevano ucciso in vista di come l'uomo sarebbe dovuto essere senza dargli quel che già poteva essere. Esse andavano distinte dall'unica rivolta giacché erano tutte sfociate in ciò che questa vuole soprattutto combattere, l'annullamento fisico e morale dell'uomo ad opera di una o di un'altra ideologia.

   Quale, dunque, la soluzione per un mondo ed una vita dove imperversano il crimine e la sua crudele giustificazione? Dove avrebbe potuto rivolgersi lo spirito di quella primaria rivolta quando ormai era stato così gravemente deviato o utilizzato? Cosa fare perché l'umanità sentisse la terra come l'unico e migliore ambiente per attuarsi durante la sua permanenza presente e futura?

   Bisognava vivere ed agire per questo: se l'uomo voleva realizzarsi era necessario che non oltrepassasse i limiti che la natura gli aveva assegnato, che non si sostituisse a Dio, che conservasse sempre la sua misura.44  Soltanto così avrebbe creato una terra a sua immagine anche se questo equilibrio gli sarebbe costato una tensione perpetua, quella propria dello spirito di rivolta, che "rifiuta ma non rinuncia'' e si destina a vivere perpetuamente tra il no e il sì, il male e il bene, la morte e la vita, la terra e il cielo, la realtà e l'idealità, la ragione e il sentimento, gli altri e sé, la storia e la natura.

   Procedendo per estensione Camus crede di poter raffigurare tale antinomia nei due poli del continente europeo, nella loro vita e cultura: il nord, pervaso dall'ideologia storicista di formazione tedesca e il sud dallo spirito mediterraneo. Nel primo egli vede rappresentata la "dismisura", nel secondo la "misura", le quali si sono contrastate in un processo iniziatosi anticamente e durato fino ai nostri giorni. "Comune contro stato, società concreta contro società assolutista, libertà riflessiva contro tirannia razionale, l'individualismo altruista infine contro la colonizzazione delle masse, sono allora le antinomie che traducono, una volta di più, il lungo affrontarsi di misura e dismisura che anima la storia dell'Occidente dall'antichità classica in poi".45

   Anche il cristianesimo, per Camus, ha finito, dopo il suo avvio, col "rivendicare la potenza temporale e il dinamismo storico" a danno della natura. Anch'esso, se fosse privato del suo Dio, sarebbe simile all'ideologia tedesca, sarebbe "conquista e tirannia". "Ma l' assolutismo storicista, nonostante i suoi trionfi non ha mai cessato di cozzare contro un'esigenza invincibile della natura umana di cui il Mediterraneo, dove l'intelligenza è sorella della luce cruda, serba il segreto. Le concezioni fedeli alla rivolta, quella del Comune, del sindacalismo rivoluzionario, non hanno cessato di gridare tale esigenza sia di fronte al nichilismo borghese, sia di fronte all'assolutismo cesareo. Con l'aiuto di tre guerre e grazie alla distruzione fisica di una èlite di rivoltosi, il pensiero autoritario ha sommerso questa tradizione libertaria. Ma questa povera vittoria è provvisoria, il combattimento dura ancora, l'Europa non è mai stata altrimenti che in questa lotta tra meriggio e mezzanotte. Non si è degradata se non disertando questa lotta, eclissando il giorno con la notte. La distruzione di questo equilibrio dà oggi i più bei frutti. Privi delle nostre mediazioni, esiliati dalla bellezza naturale siamo di nuovo nel mondo dell'Antico Testamento, costretti tra Faraoni crudeli e un cielo implacabile.Nella miseria comune, rinasce allora l'antica esigenza: di nuovo la natura si erge di fronte alla storia. Beninteso, non si tratta di disprezzare nulla, né di esaltare una civiltà contro un'altra, ma semplicemente di dire che esiste un pensiero cui il mondo di oggi non potrà più a lungo rinunciare. Certo nel popolo russo esiste di che dare una forza di sacrificio all'Europa, nell'America una necessaria potenza costruttiva. Ma la giovinezza del mondo si trova ancora intorno alle stesse sponde. Gettati nell'ignobile Europa ove muore, priva di bellezza e d'amicizia, la più orgogliosa tra le razze, noi mediterranei viviamo sempre della stessa luce. In cuore alla notte europea, il pensiero solare, la civiltà dal duplice volto, attende la sua aurora. Ma già questa rischiara le vie di una vera Signoria".46

   Con queste pagine de Il pensiero meridiano Camus conclude liricamente l'ampia indagine di carattere storico e filosofico condotta ne L'uomo in rivolta47. Egli sembra ora decisamente rientrato nella dimensione sua tipica peraltro  sempre affiorata nel corso dell'attività, quella dell'uomo mediterraneo che nella compresenza e interazione degli opposti intravede la sola via perché l'umanità recuperi il suo vero essere e continui ad esistere. La rivolta di Camus era approdata alla conferma e proclamazione di un necessario senso di misura e si concludeva in un appello accorato a che l'uomo ne divenisse il migliore interprete. "La misura non è il contrario della rivolta. La rivolta è essa stessa misura: essa la ordina, la difende e la ricrea attraverso la storia e i suoi disordini. L'origine di questo valore ci garantisce che esso non può essere intimamente lacerato. La misura nata dalla rivolta, non può viversi se non mediante la rivolta. È costante conflitto, perpetuamente suscitato e signoreggiato dall'intelligenza. Non trionfa dell'impossibile né dell'abisso. Si adegua ad essi. Qualunque cosa facciamo, la dismisura serberà sempre il suo posto entro il cuore dell'uomo, nel luogo della solitudine. Tutti portiamo in noi il nostro ergastolo, i nostri delitti e le nostre devastazioni. Ma il nostro compito non è quello di scatenarli attraverso il mondo; sta nel combatterli in noi e negli altri. La rivolta, la secolare volontà di non subire, [...] ancor oggi è al principio di questo combattimento. Madre delle forme, sorgente di vita vera, ci tiene sempre ritti nel moto informe e furioso della storia".48

   Rivolta e misura, misura e dimensione umana, dimensione umana e naturalità e solarità e mediterraneità.

   Non è un ritorno all'antico, all'età dell'oro, quello che Camus persegue bensì un recupero, nell'uomo moderno, degli elementi naturali che anticamente lo componevano.Egli crede che soltanto il loro reinserimento nell'attualità possa procurare agli uomini quell'equilibrio tra passato e presente, tra natura e storia, quella dimensione morale che avrebbe permesso loro di riconoscersi entro i propri confini, di fare della vita un regno a propria immagine e misura, di vivere e far vivere da uomini nel presente e non da dei nel futuro. Non nella storia, sacra o profana, l'uomo doveva cercare gli stimoli per essere ed agire ma in sé, nel ripristino della sua umanità e nella propagazione di questa, nel recupero ed ampliamento della sua coscienza ottenuti mediante il moto di rivolta. Valeva più l'uomo che la storia, più l'azione nel presente che le tante altre passate o future: di questo ci si doveva accorgere e da qui bisognava trarre alimento per un'operazione di rivolta da estendersi fino ai confini dell'umanità. Quel che tanto si chiedeva da parte di una spiritualità in crisi, la soluzione dei gravi e incombenti problemi morali, non stava in una delle dottrine che l'intelletto aveva formulato nel tempo bensì nell' uomo, non nelle astratte complicazioni del pensiero ma nella concreta semplicità della vita, non fuori dall'umanità ma in essa. Per ridiventare se stesso l'uomo doveva soltanto riconoscersi come tale. E se c'era un modello da perseguire e attuare l'uomo mediterraneo poteva rappresentarlo giacché in esso s'erano sempre conciliati quegli opposti di cui si chiedeva ora l'unione. Soltanto ispirandosi a tale esempio e finalità l'uomo avrebbe ritrovato in sé il modo per liberarsi dai vincoli che si erano formati nei secoli, avrebbe riacquistato la sua funzione di motore della storia e si sarebbe sentito di nuovo libero ed unito ai suoi simili.

   In sé e per sé l'uomo moderno, sulle tracce dell'antico, avrebbe dovuto cercare i mezzi per liberarsi ed unirsi ad un'umanità pur essa liberatasi.

   Questo doveva avvenire all'insegna di una rivolta illuminata da quella luce mediterranea, nella quale egli avrebbe ritrovato i suoi eterni ed inconfondibili contorni. Come agli albori l'antica umanità così ora la moderna era chiamata a trarre dal Mediterraneo la sua origine, libertà ed unità nella diffusa coscienza della propria "misura".

   Tali conclusioni de L'uomo in rivolta 49 completavano il processo da Camus vissuto nelle opere insieme ai suoi personaggi ed esprimevano i risultati ultimi della sua maturazione: l'eroe solitario, ribelle, sovvertitore, era divenuto esempio da imitare e diffondere, aveva scoperto un'origine, un'identità, una patria, aveva ormai una storia, alla quale era possibile riferirsi con chiarezza e fiducia. Tra le devastazioni della guerra e degli assolutismi ideologici e politici, tra un'umanità brancolante nel buio della storia europea per avervi smarrito il corpo e lo spirito, rinasceva l'uomo dal nuovo corpo e spirito e Camus ne era il banditore non dall'alto di un sistema intellettuale, non in nome di una qualunque trascendenza umana o divina ma richiamandosi a ciò che sempre era stato suo e che, perciò, gli doveva essere restituito. Non si trattava, tuttavia,di una visione o concezione idilliaca ché nascere ai furori moderni dall'antica quiete del Mediterraneo significava assumersi un compito piuttosto arduo, accettare di vivere la perenne tensione comportata dal continuo rinnovarsi del conflitto tra vecchio e nuovo, tra natura e storia50. L'uomo nuovo, che nasceva con Camus, era libero, unito ma anche inquieto per tutto ciò che la storia aveva sovrapposto alle sue componenti primarie e che non poteva essere completamente rifiutato51. Pertanto la nuova umanità e la nuova vita, storia e cultura sarebbero esistite a condizione di saper resistere nello stato di sospensione proveniente loro dall'essersi assunto il compito di equilibrare "le vestigia degli antichi padri" con le moderne e contrastanti situazioni e condizioni. Questo era, però, l´unico modo perché l'uomo riportasse la terra a sua somiglianza, l'unica possibilità perché vincesse e con mezzi umili dove nient'altro e nessun altro v'era riuscito. Soltanto così la sua rivolta non sarebbe fallita come tante altre volte nella storia ma avrebbe vinto e ci si sarebbe potuti gloriare perché tutto ciò che sempre aveva fatto dell'uomo la sua verità, giustizia e bellezza, sarebbe stato di nuovo suo malgrado i pericoli corsi. .

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   Questa sarà la conquista maggiore nel processo umano e intellettuale vissuto da Camus. La sua iniziale, vaga rivolta di pensiero aveva acquistato contorni più precisi, si era concretizzata e consolidata nella riscoperta e rivalutazione dell'uomo mediterraneo e della sua opera di redenzione da1l'assurdo della vita. "L'uomo in rivolta" era divenuto l'uomo mediterraneo ed in questo aveva trovato quella "misura" sempre cercata e qualche volta intravista. Allora si era trattato di un appagamento momentaneo e individuale ed intenso era rimasto l'anelito per una conquista più duratura ed estesa. In tale ricerca il Mediterraneo non aveva mai smesso di agire per Camus. Un elemento, un motivo della vita, della fantasia e della sensibilità di un bambino, erano destinati a divenire la nota sempre sottesa alla formazione e produzione di un autore, a fare della sua "una vocazione mediterranea". Questa era maturata in Camus col tempo e tra tanti disagi. L'avvio era avvenuto durante la giovinezza ad Algeri grazie alla suggestione dei luoghi e dei pensieri della sua prima vita e all'influenza su di lui esercitata da Jean Grenier, suo professore di filosofia. Questi invitava gli allievi a considerarsi favoriti dalla sorte poiché potevano godere del sole e del mare del Mediterraneo pur sapendo che la morte li avrebbe privati di tale felicità. Di "spirito mediterraneo" parlerà ancora Paul Valéry in una sua conferenza ad Algeri e di "giovinezza del Mediterraneo" Gabriel Audisio, scrittore che avrebbe avuto una notevole influenza sugli intellettuali algerini. In tale atmosfera si forma il giovane Camus, quello de La casa di fronte aI mondo 52 (1933), dell'inno Mediterraneo 53 (1933) e delle pagine di quel primissimo manoscritto intitolato Le voci del quartiere povero, 54 dall'autore datato nel 1934. Nel 1937, poi, Camus sarà, ad Algeri, tra i promotori di quella "Casa della Cultura" impegnata nel recupero, affermazione e diffusione della cultura mediterranea, che in precedenza era stata oscurata o utilizzata per finalità lontane dal suo vero spirito. L'impronta che lo scrittore riconosceva a questa cultura era più greca che latina perché soprattutto nella grecità storica e mitologica egli vedeva la matrice di quel clima umano, morale, culturale, sociale, che aveva aleggiato e aleggiava sulle coste orientali del Mediterraneo e che poteva costituire per il moderno mondo europeo l'alternativa, il modello di vita e di pensiero da opporre a quello di nordica estrazione e formazione. Nella civiltà, nella letteratura, nella mitologia dell'antico mondo greco Camus pensava che avessero trovato la loro espressione quell'equilibrio e quella misura necessari a regolare l'azione dell'uomo ed a farne un modello di compostezza interiore ed esteriore. L'uomo greco, vissuto tra una natura ed una divinità animate dai suoi stessi sentimenti e pensieri, ne aveva rappresentato, più d'ogni altro, l'unione, la sintesi, aveva composto in sè ciò che era suo, di Dio e del mondo. Egli aveva potuto muoversi libero, giusto e vero tra le sue passioni  ed azioni perché non erano distinte da quelle divine ed anzi con esse si combinavano, spiegavano e giustificavano traendovi premio o castigo. Aveva, insomma, fatto della vita l'ambiente a lui più congeniale dal momento che tutto di essa era riconducibile a livello umano. Tutto, anche la morte, apparteneva alla vita dell'uomo e faceva di questa una continua, eterna presenza ed unione.

   Tale l'umanità verso la quale Camus si sente primamente attratto anche perché suggestionato dagli ambienti africani, che rappresentano per lui un'estensione dell'antico ambiente greco. In Africa, come nella vecchia Grecia, la vita dell'uomo s'identificava con quella della natura e della divinità fino a dividere con queste il bene e il male nel sentimento di un'immensa, cosmica comunità.

   Poi sarebbero venuti per lo scrittore altri luoghi, altri ambienti, tra i quali quelli parigini, che, insieme alla coscienza di una realtà diversa, gli avrebbero procurato quella della necessità di ridurre il suo istintivo, naturale entusiasmo per far posto alle ombre che andavano profilandosi. E come i primi fervori anche le seguenti scoperte e delusioni avrebbero trovato espressione nell’opera di Camus, che, perciò, si presenta alquanto composita nell’articolazione e si spiega  col faticoso processo compiuto dal pensiero dell'autore. Tra l'altro volendo essa rivolgersi all'uomo e comunicargli le vie della salvezza, non poteva esimersi dall'assumere, trattare e valutare elementi esterni alla soggettività di chi vi attendeva. Ed ecco Camus rivangare la storia ed i personaggi del passato, giudicare gli avvenimenti e le personalità più recenti, trarre dalla realtà spunti per la sua immaginazione e per la costruzione delle tante situazioni tese a convalidare le sue idee: operazioni che, a volte, risultano  forzate e mostrano i loro limiti.

   Tuttavia quel che più interessa è seguire l’autore nel complesso sviluppo del pensiero e dell'opera, notare come ogni argomentazione, vera o presunta, ritorni a lui, ai suoi umori, come quel che più gli preme non siano gli altri ma quanto egli ha da dire loro e per loro. Egli sente di recare in sé un messaggio valido per tutti e di esserne venuto in possesso non per predestinazione o per ispirazione ma solo per aver acquisito la coscienza del turbine che lo stava travolgendo insieme agli altri. Non sa se questi lo seguiranno né sa quanto di sicuro potrà dire loro e, tuttavia, non desiste dall’impresa, non smette di perseguire l’idea di una comunicazione tra gli uomini, che, avviata da lui, dovrebbe estendersi all'infinito.

   La sua non è una filosofia né una letteratura ma l'espressione di un'interiorità artistica, che egli crede sia da scoprire in ogni uomo e di cui intanto s'è fatto il portavoce.

   Camus, s’è detto, concluderà la sua breve vita ed opera rientrando nell’iniziale dimensione lirica e questo prova la sua congenialità a certi temi e toni. Anche quando aveva parlato di avvenimenti e personaggi storici, passati o presenti, non aveva mostrato di credere alla storia ed alle sue ideologie ma solo a quello spirito umano che sopra di esse ha sempre aleggiato e che, una volta disperso, necessita di recupero e  nuova affermazione. Era stato questo spirito a muoverlo fin dai primi passi ed egli avrebbe poi creduto di poterlo identificare con quello della cultura e dell'umanità mediterranee, dell'uomo mediterraneo sospeso tra i contrari e pur arbitro di essi, diviso eppur unito, dell'uomo che vive una dimensione aperta ad ogni diversità, che è il luogo migliore ove passione e ragione, natura e storia s’incontrino, perdano i propri confini e si fondano divenendone il suo corpo e il suo spirito, creandone e determinandone la vita.

   Non l'uomo storico interessa Camus ma l’”homo naturalis", ricostruito sull'esempio antico in ambito moderno e con una moderna coscienza venutagli da quella rivolta che gli aveva fatto riacquistare la  dignità perduta.

   Dalle prime giovanili espressioni di vita immediata a questa matura, consapevole elaborazione corre l'opera di Camus. Attraverso tale percorso si è venuto formando il suo uomo e ad ogni passo sono rinvenibili i segni dello spirito che ha animato la faticosa creazione. Si pensi, ad esempio, come lo "straniero" Meursault non troverebbe alcuna spiegazione alle sue azioni se non lo si considerasse nell'ottica del suo predecessore Mersault ed entrambi in quella dell'uomo mediterraneo, che per concedersi alla vita si oppone a quanto glielo impedisce. Né ci sarebbe giustificazione per il delirio omicida di Caligola, per la dissennatezza di Martha, per l'assurdità accettata e vissuta da Sisifo, se non venissero inseriti in una concezione dell'esistenza ove gli opposti si compongono quale appunto quella  della civiltà mediterranea. In tale dimensione,  semplice e complessa, trovano la loro collocazione le altre situazioni e figure prodotte da Camus: l'umanità e la sua "peste", l'uomo Rieux e il giovane Diego entrambi impegnati ad accettare e combattere il male, la tensione dei "giusti" per un equilibrio individuale e sociale .55

   Sono tante le voci che Camus innalza a testimonianza, dimostrazione e affermazione di un senso della vita che deve essere restituito all'uomo. L'uomo in rivolta 56 concluderà l'operazione tesa a ricomporre l'umanità nel pensiero ed azione, a conciliare la sua antichità con una modernità pur diversa ed opposta mediante la rivolta contro ciò che vorrebbe impedire la nuova ricongiunzione e soprattutto mediante la coscienza della rivolta.

   Verrà, poi, il tempo delle aspre polemiche intorno all'opera di Camus e dei gravi disagi e smarrimenti patiti dallo scrittore. Sarà allora, nelle ultime opere, che la mediterraneità perderà quei contorni che sembrava aver acquisito e tornerà ad essere, come agli inizi, soltanto un’emozione,  un’aspirazione. La bellezza di Elena, che  è quella della sua terra, sarà immensa e splendente nello splendore dell’estate mediterranea ma anch'essa, come il Clemence de La caduta, 57 sarà ormai esiliata dal mondo. Per innalzarla di nuovo al valore di esempio ed alla funzione di guida, Camus programmerà un ciclo di opere dal titolo Némésis, che, per lui come per i greci, era la dea della misura, ed un altro di cui il romanzo d’amore Déjanire  sarebbe stato l’opera maggiore. In un immediato futuro sarebbero ricomparsi quei segni che momentaneamente sembravano svaniti e che erano i soli capaci di dare un'identità ai pensieri sempre contrastanti di un autore quale Camus.

  Questa conferma non sarebbe avvenuta come s’è  detto, non si sarebbero aggiunti altri motivi a  quelli  già espressi, non ci  sarebbero stati  per la critica nuovi elementi di giudizio e non sarebbe rimasto che riconoscere Camus nella ormai nota aspirazione a ricostituire quei tratti immortali che fanno dell'umanità antica e moderna un'unità totale, a  recuperare "l'antica bellezza" smarrita nei meandri della storia e farne il simbolo di quell'unità.          

Un’opera impegnata in questo  rischia di non essere compresa del tutto poiché sfugge ad ogni schema essendo l’espressione di un senso della vita, di un umore, di un modo, di uno stato dell’animo. Pertanto la disposizione necessaria per accedere al mondo di Camus dovrebbe essere quella di intuirlo, percepirlo dal momento che ad esprimersi non è un pensiero ma un sentimento.

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 Tenendo conto che l’inclinazione più naturale di Camus era quella di animare ogni pensiero ed azione dei suoi personaggi, di immetterli nella scena del mondo alla ricerca di ciò che potesse spiegare e risolvere la loro assurda condizione, si potrebbe dire di tutta la sua opera come di una grande rappresentazione scenica. Sembra di assistere ad una serie di quadri, che vivono ognuno di vita propria e che risultano difficili da collegare e chiarire. In questo non aiuta neppure lo stile di Camus  spesso franto e scarsamente discorsivo, attento più a registrare le emozioni e le situazioni vissute dai personaggi che ad ordinarle e spiegarle. Perciò soprattutto un sensitivo, un passionale, un artista Camus come, del resto, egli amava definirsi e come conferma tale maniera di procedere volta a suggerire, a proporre e non  ad illustrare. Ed artista Camus anche perché la sua opera è innanzitutto un moto dell'animo che vuole coinvolgere  prima di convincere58. In tal modo riesce suggestivo  anche un messaggio che intende  rinnovare la coscienza del vivere, sentire ed agire quale quello dell’uomo mediterraneo. È Camus il primo nuovo uomo mediterraneo, nel quale passato e presente, antico e moderno si sono incontrati ed hanno promosso un nuovo modello umano conscio di avere in sé il segreto del proprio ed altrui equilibrio.

    Un uomo, un pensiero, una vita erano divenuti, con Camus, una concezione, un'umanità, una civiltà: l'uno si era tradotto in tanti, in tutti e li aveva riuniti nella scoperta della loro verità e necessità. Dal Mediterraneo rinasceva una razza, un'Europa, un'anima nuova, che avrebbe dovuto rinnovare il mondo nella rinnovata coscienza della sua dimensione umana.

  E’ il caso di un autore particolare e completamente nuovo59 perché difficile risulta distinguere quanto della sua opera appartenga a lui, quanto alla vicenda rappresentata e quanto alla vita, quanto del suo pensiero sia semplice e quanto complesso, quale del suo messaggio sia l’ultima parola. A volte sembra che soltanto compiendo un atto di fede ed entrando nel circolo delle sue idee, spesso pure sensazioni, si possa cogliere il loro vero significato. E forse a ciò tendeva la sua affannosa ricerca, ad avviare tra sé e gli altri una corrispondenza spirituale volta ad instaurare quella comunione morale, quell’unità di mente e d’animo necessarie alla formazione di una nuova vita ed umanità.

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* La data indicata tra parentesi accanto al titolo di ogni opera si riferisce alla prima edizione di questa in francese.

NOTE

1 C.Bo in Letteratura francese: Camus, Abellio, Thibaudet, "L'approdo letterario", IX, 1693, n. 21 (genn.- marzo), pp. 136 -138, osserva che la situazione di Camus dal punto di vista critico è difficile tanto che non si può stabilire "fino a che punto si tratti di un aumento della verità critica o piuttosto di un rigurgito di veleni polemici”.

 2 A. Camus, L'enigma in A. Camus, Opere (Romanzi, racconti, saggi), a cura e con introduzione di R. Grenier, apparati di M. T. Giaveri e R. Grenier, Milano, Bompiani, 1988, p. 997.

3 A. Camus, Discorsi di Svezia in A. Camus, Opere, cit., p. 1240.

 4 Ibidem, pp. 1259, 1261, 1263.

5 "Camus ci offre una nuova misura di letteratura, una letteratura responsabile che mira alla piena intelligenza dell'uomo e supera i dati e i motivi della bellezza pura e del piacere e per questa evoluzione da origini nettamente decadentistiche ad una sempre piu marcata posizione di pura responsabilità umana, egli è divenuto uno degli spiriti centrali, vivi del nostro tempo e, se si può usare un'espressione abusata, una delle coscienze del dopoguerra" (C. Bo, Albert Camus, "La Nuova Stampa", XIII, 1957, n. 247 - 17 ottobre - p. 3).

6 A. Camus, Prefazione a Il rovescio e il diritto in A. Camus, Opere cit., p. 14.

7 Qui il Quilliot crede di poter individuare l'originalità di Camus, che per il critico starebbe in "una chiara affermazione delle sue contraddizioni, e il segreto del suo ragionamento nell'essersi mantenuto a eguale distanza da un umanesimo intenso e dalle comodità della mistica, in un equilibrio che è perpetuo rischio". (R. Quilliot, La Mer et les prisons. Essai sur Albert Camus, Paris, Gallimard, 1956, pp. 279).

8 A tal proposito cfr. Jean- Claude Brisville, che nel volume Camus, Paris, Gallimard, 1959, nota: "Rispondere, come ha sempre fatto, al richiamo dell'evento, non è domandare una parte; come prendere la propria parte delle servitù dell'epoca, non è rinunziare ad una felicità individuale. La volontà di vivere senza rifiutar nulla della vita, che Camus dice di onorare più di tutte, lui solo sa fino a che punto abbia potuto esercitarla"; ed ancora sull'argomento cfr. Charles Moeller, che nella sua Littérature du XX siècle et Christianisme. Silence de Dieu, Toumai - Paris, Casterman, 1953, conclude dicendo "come non amare un uomo che in mezzo al nostro mondo di disprezzo per l'uomo, di nausea, ha scritto: vi sono nell' uomo più cose da ammirare che cose da disprezzare?"

9 In particolare la pubblicazione de L'uomo in rivolta, nel 1951, scatenerà numerosissime polemiche e, tra l’altro, provocherà la rottura con Jean Paul Sartre e gli intellettuali di sinistra, dei quali questi si era fatto portavoce nel noto editoriale su "Les Temps Modernes": Réponse a Albert Camus, VIII, 1952, n. 82 (agosto), pp. 334 - 353.

10 A. Camus, ll rovescio e il diritto in A. Camus, Opere, cit.

11A. Camus, Il rovescio e il diritto, cit.

12 A. Camus, Prefazione a  Il rovescio e il diritto, cit., p. 6.

13 Ibidem, p. 12.

14 A. Camus, Il rovescio e il diritto, cit.

15 A. Camus, Il rovescio e il diritto, cit.

16 A. Camus, L'uomo in rivolta in A. Camus, Opere, cit.

17 A. Camus, L'estate in A.. Camus, Opere cit.

18 A. Camus, La caduta in A. Camus, Opere, cit.

19 A Camus, L'esiIio e il regno in A. Camus, Opere, cit.

20 A questo riguardo vanno segnalati i contributi di: G. Audisio, Le génie de l'Afrique du Nord, de Saint Augustin à Camus, "Annales du centre universitaire méditerranéen", VII, 1953 - 1954, pp. 151-162 e L' Algérien, La Nouvelle Revue Francaise", VIII, 1960, n. 37 (marzo), Hommage à Albert Camus: 1913 - 1960, pp. 437 - 439; A. Maquet, che, in Albert Camus ou l'invincible été. Essai, Paris, Nouvelles Éditions Debresse, 1956, pp. 128, crede di individuare le costanti del pensiero camusiano nell'africanità, nel senso della dualità, dell'ambivalenza, proprio del pensiero mediterraneo e attuato mediante una meditazione che procede in maniera antitetica; N. Kohlttase, che, in Dichtung und politische Moral. Eine Gegenueber stelIung von Brecht und Camus, Munchen, Numphenburger Verlagshandlung, 1965, pp. 285, parla del pensiero mediterraneo di Camus distinguendolo da quello dialettico di Brecht; F. Di Pilla, che in La vita e l'opera di Albert Camus (in Albert Camus "L' intelligenza e il patibolo"), Milano, Fabbri, 1968, pp. 27 - 262, soffermandosi sulla formazione umana e letteraria dello scrittore, evidenzia l'incidenza del contesto storico - sociale e propone una chiave di lettura nell’algérienité; P. Nguyen - Van - Huy, che, in La Métaphysique du bonheur chez Albert  Camus, Neuchâtel, La Bacconière, 1962, pp. 248, nota "l'atteggiamento antifaustiano, antinordico, antiattivistico, di Camus"; C. Rosso, che, in Trittico per una teodicea: Sarasa, Maistre, Camus (in Saggi e ricerche di letteratura francese), vol. X, Pisa, Libreria Goliardica, 1969, pp. 121 -148, segnala il "meridionalismo raffinato, atarassico e peisithànatos" di Camus.

21 A. Camus, L'uomo in rivolta, cit., p. 946.

22 A.Camus, L'uomo in rivoIta, cit.

23 A. Camus, Il rovescio e il diritto, cit.

24 A. Camus, Nozze in A. Camus, Opere, cit.

25 A.Camus, L'estate, cit.

26 A.Camus, La caduta, cit.

27 A. Camus, L‘esilio e il regno, cit.

28 R. Jonescu in Paysage et psychologie dans l'oeuvre de Camus,"La Revue des Sciences Humaines", XXIV, 1969, n.134 (aprile - giugno), pp.317-330, pone l'attenzione sugli originari dati mediterranei, ambientali e climatologici del temperamento camusiano e li traduce nel paesaggio psicologico dello scrittore.

29 C.Bo in Albert Camus è morto ieri in una sciagura automobilistica, "La Stampa", XCIV, 1960, n. 4 (5 genn. 9, p.3, osserva che: "Nel giro di vent'anni, Camus non fece altro che cercare una nuova misura all'uomo: tentare di trovargli una terra, una famiglia, la possibilità della confessione e della partecipazione [...]. Nessuno ha anity, The secular City, New York, Mac Millan Company, 1965, pp. 70 - restituito con tanta lealtà questo compito di obbedienza alla vita [...] il moralista meno sospetto del nostro tempo."; inoltre H. Cox in AIbert Camus and prof78, parla della "santità laica" di Camus e la collega alla coscienza cantemporanea, cioè al problema "di come vivere con un orientamento e con integrità in un mondo senza Dio".

30 Circa l'argomento cfr.: Audisio, Le génie de l'Afrique du Nord, de Saint Augustin à Camus, cit., studio inteso a ricercare, tra l'altro, le linee di una continuità ideale nella cultura nord - africana pure alla luce delle influenze esercitate dall'ambiente geografico; A. Rigobello, Albert Camus, Napoli, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, 1961, pp. 123: esame della funzione svolta dalla filosofia di Plotino e di Sant'Agostino nella formazione di Camus; D. Papamalamis, Camus et la pensée grecque, Université de Nancy, Publications du Centre Européen Universitaire, Nancy - Saint - Nicolas - du - Port, Imprimerie V. Idoux, 1965, pp. 89: indagine sul rapporto ellenismo - cristianesimo dall'autore ritenuto importante per comprendere il pensiero di Camus; gli articoli di: A. A. Devaux, Camus devant le christianisme et les chrétiens, "Sciences et Esprit", XX, 1968, n. 1 (genn. -apr.), pp. 9-30, e J. Hardré, Camus’s thoughts ou Christian metaphysics and neoplatonism,  “Studies in Philology" LXIV, 1967, n. 1 (genn), pp. 97-108.

31 A. Camus, La morte felice, a cura di Jean Sarocchi e con introduzione di Giovanni Bogliolo, Milano, Rizzoli, 1975.

32 A. Camus Nozze, cit.

33 A. Camus, Le malentendu, Parigi, Gallimard, 1944.

3 4 A. CAMUS, La morte felice, cit.

35 A. Camus, II mito di Sisifo in A. Camus, Opere, cit.

36 A. CAMUS, La peste in A. Camus, Opere, cit.

37 Ibidem. p. 403

38 “ È già abbastanza per Camus che l'umanità sfugga allo stato di peste:la peste che, come nelle tirannie, divide l'uno dall'altro e nel terrore del contagio scava l'esilio dentro di noi, e fa che prigionieri ed esiliati vivano in una memoria che non serve a nulla ".( G. MACCHIA, II mito di Parigi, Torino, Einaudi, 1965, pp. 268-272).

39 A. CAMUS, L'état de siège, Paris, Gallimard, 1948.

40 A.CAMUS, Les justes, Paris, Gallimard, 1950.

41 A. CAMUS, L' uomo in rivolta, cit.

42 A. CAMUS, L' uomo in rivolta, cit., pp. 641- 642.

43 Ibidem, pp. 642-643.

44 E. BALMAS in Situazioni e profili: Gide, Sartre, Jouhandeau, Gracq, Camus, Milano - Varese, Istituto editoriale Cisalpini,  1960, pp. 147 - 234, sostiene che " rivolta e innocenza finiscono con l' essere la stessa cosa: la prima porta verso la seconda, ci si identifica ".

45 A. CAMUS, L’uomo in rivolta, cit., p. 944.

46 Ibidem, pp. 945- 946.

47 A. CAMUS, L’uomo in rivolta, cit.

48 Ibidem, p. 947.

49 A.CAMUS, L'uomo in rivolta, cit.

50 “Vi è in lui il bisogno logico di andare sino al limite ed il timore greco di trasgredire...". GAETAN PICON, Panorama de la Nouvelle littérature francaise, Paris, Gallimard, 1960, pp. 115-121.

51 G. MACCHIA in Camus, “Il Mondo", XII, 1960, n. 3 (19 gen.), p.8, indica il messaggio lasciato da Camus nel "rifiuto di tutti i mezzi che servono per dimenticare: dalla follia della tecnica che assorbe l'uomo e lo stritola, alla speranza che sia fuori del nostro royanne [...]. Anche l'arte era per lui un mezzo, per non dimenticare".

52 A. CAMUS, La casa di fronte al mondo in A.Camus, Le voci del quartiere povero e altri scritti giovanili, Milano, Rizzoli, 1974.

53 A.CAMUS, Mediterraneo in A.Camus, Le voci del quartiere povero e altri scritti giovanili, cit.

54 A. CAMUS, Le voci del quartiere povero e  altri scritti giovanili, cit .

55 Cfr. A.CAMUS, La peste, cit., L'état de siège, cit., Les justes,cit.

56 A.CAMUS, L’uomo in rivolta, cit.

57 A. CAMUS, La caduta, cit.

58 Per tale aspetto della sua produzione e per avervi individuato dei "prestiti ideologici" spesso Camus è stato accostato ad autori quali F.Nietzsche o F. Dostoevskj (G.Ungarelli, Alla ricerca della felicità, "Paese Sera", XXII, 1971, n. 352-23, dic., p. ll) oppure F. Kafka (Ph. H. Rhein, The Urgeto live. Acomparative study of Franz  Kafka's  "Der Prozess" and Albert Camus's "L'Étranger", Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 1964, pp.124).

   Un nuovo e singolare accostamento è stato quello con C. Pèguy, operato da: J. Hardrè, sostenitore, in Charles Péguy et Albert Camus: esquisse d'un parallèle, "The french Review", XL, 1967, n. 4 (febbr.), pp. 471- 484, di analogie di tipo biografico, politico e morale tra i due autori; Y.Rey-Herme, attento, in Péguy et Camus, "Le Francais dans le Monde", IV, 1965, n. 34 (lugl-ago.), pp. 21-24, alla componente lirica delle due personalità ed a trarne motivo di collegamento; F. Grbod, che, in Péguy et Camus, "L'amitié Charles Péguy (Bulletin d'Information et de Recherches), n. 37 (Janvier-Mars), 1987, accanto alle differenze evidenzia numerose affinità tra i due autori riferendole, in particolar modo, alla loro formazione umana e culturale nonché alle loro idealità antistoriche ed improntate ad un recupero dell'“originaria innocenza” dell'uomo; J. Guérin, disposto, in Péguy/Camus, "L'amitié Charles Péguy",  cit., n. 47 (Juillet-Septembre), 1989, a riconoscere delle diversità tra i due e, tuttavia, a soffermarsi maggiormente nell'esame di quanto li unisce: entrambi non hanno prodotto trattati politici, non hanno ricercato una verità assoluta bensì parziale, entrambi hanno sofferto di povertà e di malattia e da qui sarebbe derivato loro "un souci de l'ici et du maintenant", entrambi  hanno avversato ogni totalitarismo o dogmatismo o autoritarismo, fosse politico o ideologico, in nome di una filosofia sentita e vissuta in senso mistico, morale.

59 Cfr. JEAN SAROCCHI, Camus, Paris, PUF, 1968, dove si dice che l’attualità di Camus starebbe nel "dono di mantenere aperta, proprio sul filo delle utopie contemporanee, la questione del destino e dell'uomo".


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