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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Uno strano caso di naturalismo

di Antonio Stanca

In una gelida notte d’inverno, in una sperduta zona del Nebraska, tra “l’albergo azzurro” ed un saloon avviene un delitto del quale si parlerà per molto tempo da quelle parti. Ad essere ucciso è un signore svedese che era arrivato col treno nel pomeriggio e che nei due locali si era mostrato ossessionato dal pensiero di essere malvisto, maltrattato se non addirittura ucciso dai presenti. La sua paura, i suoi terrori avevano finito col concentrarsi su alcune persone, il figlio del proprietario nell’albergo e un giocatore di carte nel saloon. Arriverà a scontrarsi con loro e ad essere ucciso dal secondo.

Era tanto spaventato dal mondo che vedeva nemici ovunque. Anche quando non c’erano li creava, li provocava perché quelli erano i suoi pensieri e di essi sarebbe stato vittima.

Questa la trama e la spiegazione del racconto “L’albergo azzurro” dello scrittore americano Stephen Crane. Era comparso nel 1896 ed ora è stato ristampato per conto della “Biblioteca di Repubblica – L’Espresso”, Gruppo Editoriale L’Espresso, S.p.A., Roma 2010. Crane è nato a Newark, nel New Jersey, nel 1871 ed è morto in un sanatorio di Badenweiler, in Germania, nel 1900. E’ vissuto solo ventotto anni ma ha scritto molto: è stato giornalista, narratore, poeta. Ha cominciato a scrivere prestissimo, prima sono venuti alcuni racconti e articoli per giornali, poi due romanzi, “Maggie, ragazza di strada” (1893) e “Il segno rosso del coraggio” (1895) considerato il suo capolavoro, sono seguiti altri racconti, raccolte di versi, altri romanzi rimasti incompiuti, si è intensificata la sua attività giornalistica poiché svolta come corrispondente di guerra durante le vicende messicane (1897), il conflitto tra Grecia e Turchia (1897), tra America e Spagna (1898) e la rivoluzione cubana (1898). Pertanto cambiava spesso residenza e nazione e negli ultimi anni si era trasferito in Inghilterra insieme a quella Cora Taylor che sarà l’ultima sua donna. Lo seguirà fino al ricovero  nel sanatorio tedesco dove morirà di tubercolosi. In Inghilterra si era fatto conoscere negli ambienti culturali frequentati da autori anglo-americani quali Joseph Conrad ed Henry James. Questi avevano apprezzato la sua volontà, la sua capacità di essere presente sia in ambito letterario sia in ambito civile, sociale, politico, sia come autore di racconti, romanzi, versi sia come giornalista, opinionista, osservatore del costume, inviato speciale. Oltre ad aver scritto molto nei pochi anni della sua vita Crane ha pure vissuto molto in posti diversi, situazioni diverse, tra persone diverse. Un’azione continua è stata la sua: è cominciata da quando era un ragazzo che marinava la scuola per giocare a baseball o football o per visitare le periferie dei centri urbani intorno a New York dove i suoi si erano trasferiti e che erano piene di case da gioco o d’appuntamento. Quattordicesimo ed ultimo figlio di una buona famiglia, dopo la morte dei genitori era stato assistito dai fratelli maggiori e ben presto aveva cominciato a scrivere fino a mostrarsi capace di svolgere compiti diversi negli stessi periodi di tempo. Sarebbe stato un personaggio, un autore tra i maggiori nell’America tra ‘800 e ‘900 se il tempo glielo avesse consentito, se avesse avuto la possibilità di attuare i programmi, le opere che in continuazione si proponeva.

Per la narrativa, tuttavia, è considerato, insieme a William Dean Howells e Hemlin Garland, uno dei precursori della letteratura naturalistica americana e nella poesia ha anticipato la corrente dell’imagismo fiorita in America e in Inghilterra durante gli anni della prima guerra mondiale.

Particolare rimane, però, il naturalismo dello scrittore Crane dal momento che non si esaurisce nella descrizione dei dettagli di una situazione ma penetra nell’intimo dei personaggi che la vivono, ne scandaglia lo spirito. Così avviene ne “L’albergo azzurro” dove si narra non solo dei luoghi, dei tempi della vicenda ma anche dei pensieri, dei sentimenti di chi la vive. Riesce, il Crane, a collegare l’esterno, il paesaggio, la casa, la stanza, la luce, il colore, gli oggetti con l’interiorità del personaggio, con i suoi ricordi, le sue emozioni, passioni, sensazioni, ansie, paure, speranze, previsioni. E in uno stile che procede sicuro, rapido quasi corresse verso gli sviluppi finali.

Lo svedese che alla fine viene ucciso in quella notte d’inverno del Nebraska mentre infuria una tormenta di neve, la vicenda che lo vuole protagonista, sono tra i migliori esempi della maniera di Crane: la realtà insieme all’interiorità, quanto circonda l’uomo insieme al suo dramma.

Anche come corrispondente di guerra Crane aveva voluto stare in prima linea per poter cogliere i pensieri dei militari inviati a combattere, spaventati dalla paura della morte. Non si era limitato a dire di quanto avveniva ma anche di chi e di come lo viveva. Un’oggettività che non rimane separata dalla soggettività, un linguaggio  sempre vigile, sempre attento a coglierle insieme.


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