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Dal caso alla storia

di Antonio Stanca

Nell’ultima pagina del settimanale “L’espresso” si alternano gli interventi di Umberto Eco ed Eugenio Scalfari e da questo dipende il titolo della rubrica che cambia ogni settimana: “La bustina di Minerva” per Eco, “Il vetro soffiato” per Scalfari. Sono due dei nostri maggiori intellettuali nonché autori, uno reduce da un successo clamoroso, eppure diversa è la linea da essi seguita in tali interventi che possono essere considerati la loro espressione più recente, quella che segnala il loro sviluppo in seguito a lunghe esperienze in campo culturale e letterario e come siano ora orientati.

Nelle sue “bustine” Eco spesso ironizza, gioca a volte anche solo con le parole, non s’impegna nella forma e generalmente riduce i contenuti, temi di attualità, confronti tra vecchio e nuovo, tra tradizione e innovazione, esame di opere di letteratura, filosofia, arte, storia, religione, problemi di lingua, ad argomenti facili, li semplifica al punto da farli giungere a chiunque dei lettori spesso divertendolo.

Più complicati sono gli obiettivi perseguiti dallo Scalfari nei suoi “vetri”, più orientati verso la riflessione, la meditazione e diversa è pure l’espressione, la forma usata, poiché non si abbandona ad alcuna leggerezza, si mantiene rigorosa, attenta, studiata fino a riuscire, a volte, di difficile comprensione almeno per i lettori meno provveduti.

Dell’Eco e dello Scalfari di queste pagine si può dire come di due esempi diversi, di due diversi modi di pensare e scrivere nell’attuale nostro ambito culturale. Eco sembra aver accolto i tempi nuovi, come si sono riflessi negli ambienti culturali, quanto a questi hanno richiesto per poterli accogliere e contenere, per permettere loro di continuare ad essere. Una cultura, una lingua che si conformi, si adatti alle nuove condizioni di vita, ai nuovi sistemi di comunicazione, al nuovo pubblico sembra sia oggi diventata l’unica possibile ed Eco si comporta come uno dei suoi interpreti, vuole evitare il rischio, che corre Scalfari, di rimanere escluso, ignorato, per non rinunciare ad essere rigoroso, ineccepibile. In verità procedere come Scalfari significa non tener conto di quanto è cambiato o considerare il proprio come un prodotto superiore ad ogni contingenza e impossibile da modificare pur sapendo che così non può giungere a tutti.

Senza volerlo, senza che ci sia stata o ci sia un’intenzione ben precisa da parte dei due, essi sono giunti, tramite “L’espresso”, a rappresentare quanto avviene oggi non solo nella cultura ma anche nell’arte e non solo in Italia ma ovunque, ad impersonare, cioè, il problema nel quale da tempo in Occidente si trovano intellettuali ed artisti senza sapere come risolverlo. Non si sa, infatti, da parte di chi opera in cultura e ancor più in arte, se ci si debba concedere all’esterno, agli ambienti che sono maturati all’insegna della quotidianità, della contingenza, alle loro richieste di concretezza, immediatezza, se bisogna trascurare l’interiorità o parte di essa per giungere agli altri o se si debba continuare nella propria direzione pur a costo di rimanere sconosciuti o incompresi. Una situazione così incerta, così sospesa, si è delineata contemporaneamente alla formazione di una società quale la moderna che faceva determinanti, unici i suoi bisogni concreti e riduceva la cultura ad un mezzo tra i tanti altri. Dopo la fase d’incertezza avviene ora, in ambito culturale e artistico, che nella maggior parte dei casi ci si concede ai tempi ed alle loro esigenze mentre molto ridotto risulta il numero di chi è rimasto sulle proprie posizioni. Eco è l’esempio della prima tendenza, Scalfari della seconda: il loro è soltanto un caso ma riflette quanto sta avvenendo nella storia della cultura e dell’arte.


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