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Una favola non riuscita

di Antonio Stanca

Scritto nel 1977 ed ora nuovamente tradotto per i tipi dell’Einaudi il romanzo “Fuoco sulla montagna” è dell’indiana Anita Desai. La scrittrice ha sessantanove anni, vive tra India, Stati Uniti e Messico ed ha pubblicato altre opere di narrativa. Nel 2005 le è stato assegnato il Premio Internazionale Grinzane Cavour. In “Fuoco sulla montagna” ella ripropone il genere che la distingue nel contesto degli autori contemporanei, quello del racconto fantastico, della favola. Come nelle favole così in “Fuoco sulla montagna” l’ambientazione è quasi irreale, immaginaria, i personaggi sono quasi evanescenti, il bene e il male giungono a confronto ed i significati, le verità si scoprono alla fine. A differenza delle favole, però, nel romanzo lo spazio per l’azione risulta ridotto e la scrittura procede per molto tempo in modo soltanto descrittivo. Questo riesce interessante per i molti particolari relativi  agli ambienti, personaggi, usi, costumi, offerti al lettore e lontani dalle sue conoscenze perché di una civiltà diversa come l’indiana ma non compensa la mancanza di vicende, situazioni, azioni decisive che risultano trasferite nella parte conclusiva dell’opera.

In “Fuoco sulla montagna” fin quando non compare, nella conclusione, la figura di Ila Das, la povera donna che vive di stenti pur provenendo da una famiglia agiata e dignitosa e che non sa come muoversi tra l’antico decoro e le nuove urgenze, fin quando non si scopre che alcune notizie riferite dall’amica Nanda Kaul circa la propria famiglia sono state invenzioni utili a farla vivere nella condizione di solitudine in una valle indiana alle pendici della catena dell’Himalaia ed a farla apparire distinta agli occhi della pronipote Raka, fin quando non avviene la drammatica corsa della Das verso casa dopo che è stata a trovare Nanda e non ha saputo chiederle aiuto, nulla si muove e solo le scorribande di Raka, incuriosita dai posti strani che la zona comprende, permettono di sapere di quanto avviene intorno ai protagonisti dell’opera, del fascino, dell’incantesimo ma anche della paura, dell’orrore che li circondano.

Niente unisce le tre donne se non la loro solitudine, la loro ricerca della solitudine preferita alla vita nel mondo. Non erano arrivate a star sole, erano nate per rinunciare a tutto. La prima era stata Nanda Kaul a fuggire in India, a stabilirvisi sola e per sempre, poi era stata raggiunta dalla pronipote Kaba anch’essa in fuga dalla famiglia, dalla scuola, ed ora era venuta Ila che, per i propri bisogni, aveva dovuto rinunciare a star sola ed in mezzo agli altri aveva trovato la morte.

Di tutto ciò molto si sa alla fine e, tuttavia, non sorprendente, non rivelatrice risulta questa e l’opera può essere considerata meno riuscita di altre della scrittrice giacchè non supera il livello della notizia di una vicenda, della sua cronaca, non si propone altro di quanto rappresentato.

Lo stile agile, scorrevole dispone alla lettura ma fa attendere inutilmente la rivelazione di una verità diversa dalla realtà descritta.

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