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I nuovi autori

di Antonio Stanca

Capita sempre più spesso  di vedere in televisione o di leggere su giornali, quotidiani o settimanali o mensili, di autori, narratori, poeti, musicisti, pittori, registi o altri artisti che partecipano di manifestazioni pubbliche, sono ospiti d’onore di queste oppure sono direttamente interessati per ricevere un premio o diverso riconoscimento. E succede pure che la notizia di un nuovo libro o film o dramma o altro lavoro sia accompagnata da un elenco dei titoli che già l’autore ha ricevuto presso Accademie, Università o altre istituzioni. L’opera, quindi, viene presentata come sicuramente valida senza che di essa si sappia molto o sia ancora conosciuta ma soltanto per il prestigio del quale gode l’autore essendo stato più volte premiato. Ad un’azione di pubblicità simile a tante altre egli assolve in tal modo quando non la compie direttamente comparendo insieme al lavoro nuovo che intende diffondere. E’ questo l’aspetto del fenomeno che maggiormente fa riflettere, la partecipazione degli autori, degli artisti, alla vita mondana, la loro disponibilità a rilasciare interviste, dichiarazioni circa la propria attività, i tempi, i modi che seguono, la vita che conducono, i pensieri, i propositi che nutrono. Si assiste, così, all’esposizione dei processi che un’opera attraversa prima che sia realizzata, alla rivelazione dei pensieri, dei sentimenti che vi sono sottesi. Oggi un autore non solo si fa vedere in pubblico ma si sofferma anche a dire di sé, a confessarsi: questo chiedono i tempi per essere conosciuti, per valere e questo egli fa senza curarsi di rendersi simile ai tanti che cercano fama attraverso la presenza, l’azione, la particolarità del proprio caso.

Non si vuol fare un confronto col passato anche più vicino, metà Novecento inoltrata,  ché oggi molto, tutto è cambiato. Non si vuol dire quanto fino ad allora era stata diversa la condizione di un artista o autore in genere, come segreta, quasi nascosta fosse la sua vita, sconosciuto il suo modo di lavorare e a volte anche il luogo, come egli stesso badasse a mantenere tanto riserbo fino a rendere rare le apparizioni in pubblico. La sua interiorità lo completava tanto da isolarlo anche dalle persone più vicine, dai famigliari, da rendergli difficile la comunicazione, lo scambio con l’esterno, con quanto non rientrava tra le sue cose. Egli giungeva a vivere esclusivamente per la propria opera, a pensare che nient’altro fosse importante. Essa era la sua ricchezza, in essa si riconosceva e non importava che  conducesse una vita da sconosciuto giacché rinviava tutto a dopo e spesso solo dopo la morte veniva scoperto e apprezzato ed in alcuni casi si è dovuto giungere ai giorni nostri per sapere, con grande curiosità e sorpresa, dei particolari della sua vita.

Ora, s’è detto, tutto è diverso ma per quanto si voglia concedere ai tempi si dovrà ammettere che per concepire, produrre un’opera d’arte serve sempre un’intensa interiorità, una spiritualità che si svolge, procede per proprio conto, serve un pensiero che si sviluppa, matura fino a pervenire all’espressione che ritiene più idonea. E’ sempre necessario vivere dell’idea dell’opera prima di concepirla ed attuarla. Ed è difficile spiegare come negli autori d’oggi, quasi continuamente impegnati a comparire in pubblico, avvenga una simile attività interiore dal momento che essa richiede concentrazione, meditazione e la condizione necessaria per ottenerle, cioè la solitudine, l’isolamento. Tanto occorre ad un artista sia nuovo sia vecchio e da esso non si potrà mai prescindere. Se ora non è così significa che le opere d’oggi sono diverse da quelle del passato, che non dell’interno esse dicono ma di quell’esterno che il loro autore vive, che non si propongono o non sono capaci di significati, verità profonde, uniche, che si sono adattate ai tempi, diventate espressioni di mode e come queste rimangono in superficie.

Non a caso si parla e da tempo di fine dell’arte e così sarebbe se non fosse che ancora permangono autori che identificano l’espressione artistica con l’attività dello spirito. Sono pochi e diventano sempre di meno, a stento si conoscono perché vivono lontano dai clamori del mondo come appunto sono convinti che il loro lavoro richieda.


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