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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Il romanzo di una notte

di Antonio Stanca

 

Scritto nel 1935, tradotto in italiano nel 1938, edito da Adelphi nel 2002, comparso nella prima edizione de “Gli Adelphi” del 2007 e nella seconda del 2010 con la traduzione di Laura Sgarioto, il romanzo “Divorzio a Buda” è dello scrittore ungherese Sándor Márai nato a Kassa, Slovacchia, nel 1900 e morto a San Diego, California, nel 1989. Si tratta di una delle prime opere narrative di un autore che scrisse pure poesie e saggi, che visse esiliato in Europa ed infine in America perché contrario ai sistemi di governo, comunismo, fascismo, che in quegli anni si verificavano nella sua nazione, che per questo è rimasto sconosciuto per molto tempo, che è morto suicida dopo aver perso la moglie e due figli e che una volta scoperto è stato ed è tradotto in molte lingue ed ormai viene considerato uno dei maggiori scrittori mitteleuropei del secolo scorso.

Soprattutto narratore è stato Márai e suoi capolavori sono i romanzi “Braci” e “L’eredità di Eszter”. Di pochi anni li precede “Divorzio a Buda” e anticipa quei temi e modi che saranno anche loro e dell’intera ampia produzione narrativa del Márai. Ridotti sono in essa i tempi e gli spazi, gli esterni, poiché attento si mostra l’autore soprattutto a quanto avviene nell’anima, nella memoria, nella coscienza, nell’interiorità dei personaggi presentati. Essi sono partecipi, protagonisti di una vicenda che è la causa, il riflesso, la conseguenza della loro condizione spirituale. Tante sono le sfumature che dall’azione, dal movimento dello spirito lo scrittore riesce a cogliere da coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine, da legarlo subito alla pluralità dei sentimenti, degli stati d’animo rilevati.

E’ uno spirito in crisi quello di Márai e dei suoi personaggi poiché tutti soffrono della grave situazione verificatasi in Europa a partire dagli inizi del secolo scorso quando i valori dell’idea furono messi da parte per i sopraggiunti valori della realtà. Era un momento di passaggio, di trasformazione, aggravato dalle due guerre mondiali e difficile risultò per gli artisti resistere ai fenomeni di autoritarismo, bellicismo, capitalismo, industrializzazione. Successe che ne evadessero, che preferissero la solitudine della propria anima e della propria opera alla partecipazione con quanto stava avvenendo. Márai è uno di questi autori, è tra quelli che fanno dell’arte l’unico, vero fine della propria vita, la difendono fino all’estremo, nel suo caso anche con la morte.

Pure nei modi, nello stile Márai si mostra capace di molto, riesce, cioè, a rendere in maniera semplice, chiara gli interminabili passaggi del pensiero, del sentimento, dei quali scrive. Non risulta mai complicata la sua scrittura nonostante sia caratterizzata da periodi piuttosto ampi.

In “Divorzio a Buda” due sono i protagonisti, un giudice ed un imputato, una notte è il tempo dell’opera, la stanza di una casa il suo luogo. Qui s’incontrano i due la notte prima del processo, sono vecchi compagni di scuola ed entrambi sono in crisi a causa dei tempi che stanno cambiando nell’Ungheria seguita alla prima guerra mondiale. Il giudice si trova diviso tra gli ideali, i principi, le regole, le leggi nelle quali crede fermamente ed unicamente come gli deriva dalla sua formazione e dalla tradizione di una famiglia di magistrati, ed i costumi, gli ambienti nuovi che ormai le mettono in dubbio, soffre di questa situazione indefinita tra passato e presente. L’imputato, che è un medico, deve sostenere una causa di divorzio e vuole chiarire al vecchio amico come sia stato possibile per lui, così attento, così scrupoloso, così deciso nei propri sani propositi e tanto preso dall’amore verso la moglie, giungere a separarsi da lei e addirittura a lasciarla morire ancor prima della sentenza che, quindi, non ci sarà. Gli svela la causa poiché sente il bisogno di farlo, la sua anima glielo ordina poiché in essa si trova. I due uomini si scoprono uniti dal momento che, pur in posizioni  diverse, sono entrambi confusi, disorientati in un contesto che non è  da essi voluto, tra rapporti umani e sociali che non sono da essi cercati. Una pena comune hanno scoperto il giudice e l’imputato nello stare con gli altri, nel vivere in un mondo diverso dalle proprie aspirazioni, cambiato, guastato. Salvare vorrebbero quanto si sta perdendo. I loro sono esempi tra i più suggestivi e significativi dei problemi sofferti personalmente dal Márai e costantemente trasferiti nei suoi personaggi. Abile si mostra lo scrittore a fare, nelle opere, di situazioni, vicende quotidiane motivi di riflessioni così profonde, a svolgere con espressione sempre scorrevole temi così complicati: questo lo distingue fin dall’inizio, lo rivela uno scrittore vero.


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