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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
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Non studiare è una libertà? (*)

 di Angelo Gaudio (**)

 

Paola Mastrocola è una simpatica e battagliera professoressa di lettere piemontese di buoni studi e di miglior famiglia, scrittrice di successo che ha pubblicato vari testi narrativi[1] quasi sempre di gradevole lettura e di largo successo, anche mediatico, che le ha consentito in qualche caso anche una qualificata partecipazione a premi letterari fra i più noti.

La Mastrocola ha anche una vena saggistica non meno fortunata editorialmente con testi come La scuola raccontata al mio cane (Guanda, Milano 2004) che è una sorta di versione divulgativa di testi di critica alla scuola dell’autonomia, o forse a una sua caricatura spesso basata su una presunta realtà di cui raramente si citano le fonti precise, che richiama testi più specialistici[2] così come numerosi interventi giornalistici di Giorgio Israel.

L’ultimo libro della Mastrocola[3] è subito schizzato in classifica, anche grazie a vistose segnalazioni di quotidiani e sapienti ospitate televisive. A partire dalla constatazione delle lacune di quelli che vengono descritti come studenti del liceo scientifico (lei stessa insegna lettere in uno di quelli nell’hinterland torinese), se ne diagnosticano le cause non nelle inadeguatezze umane o finanziarie che affliggono le scuole ma nella presunta ispirazione nuovista che avrebbe inquinato la purezza della cultura umanistica ed elitaria con obiettivi spuri a cavallo tra la caricatura del successo formativo e una assai malintesa vulgata della teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Tanto la descrizione quanto la formulazione di proposte sono inserite in una trama narrativa apparentemente autobiografica che ne rende gradevole la lettura anche quando si teorizza la soggezione verso i classici che l’A. aveva da giovane e che dunque allora sarebbe stata universalmente diffusa.

Le idee dell’autrice sono francamente manifestate in affermazioni come: «Chiedersi perché si studia è già smettere di volerlo fare e quindi a quel punto sarebbe meglio non farlo più».[4] Il lettore smaliziato ne rintraccia le matrici culturali nel Nietzsche de L’avvenire delle nostre scuole del 1872 (Adelphi, Milano 1975), negli scritti primo novecenteschi di Gentile e di Salvemini ma soprattutto nel Papini del Chiudiamo le scuole (Luni, Milano1996), originariamente apparsa in «Lacerba» nel 1914 e forse anche nell’Ivan Illich del Descolarizzare la società (Mondadori, Milano 1972).

La critica verso tali tesi ha una tradizione non meno importante, che può essere rintracciata nella linea che va da don Milani[5] a Marzio Barbagli e Marcello Dei[6] per non dimenticare gli scritti del sociologo francese Pierre Bourdieu ai quali forse manca una divulgazione alla loro altezza.

La polemica contro la scuola di massa è una polemica contro la mediocrità e contro la democrazia e si presenta in forma accattivante e se-dicente spregiudicata. Il presunto interlocutore polemico è l’asserita egemonia di una massificazione mediocre che impedisce di studiare veramente ai pochi che vorrebbero studiare cose inutili e anche  ai molti che dovrebbero studiare qualcosa di utile. La ricetta dell’autrice è una tripartizione tra scuola per lo studio, scuola per la comunicazione e scuola per il lavoro, distinzione che si spinge ad auspicare non solo a livello liceale ma anche medio ed elementare. Le assunzioni implicite della proposta appaiono sostanzialmente tre: lo studio umanistico è esclusivamente personale e libresco, lo studio cooperativo e non libresco è funzionale solo ai mestieri della comunicazione, lo studio  immediatamente professionalizzante è proclamato,  a parole, di pari dignità ma ci si guarda bene dal dire come garantire tale pari dignità e soprattutto si mostra di ignorare che una buona scuola professionale ha costi di attrezzature rilevanti.

Chi scrive continua  a pensare che non studiare non sarà mai una libertà ma piuttosto la premessa della schiavitù personale  e politica e che lo studio, scolastico ma non solo, sia un valore universale che avrebbe bisogno di impegno, anche ma non solo finanziario, nonché di rispetto da parte di tutti a partire da coloro che hanno le più alte responsabilità politiche.

 

(*) in “Appunti di cultura e politica”, 2011, 3, 46-47

(**) professore ordinario di Storia della pedagogia, Università degli studi di Udine



[2] Tra gli altri: L. Russo Segmenti e Bastoncini, Dove sta andando la scuola?, Milano Feltrinelli, Milano1998; M. Bontempelli, L’agonia della scuola italiana, CRT, Pistoia 2000.

[3] P. Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sula libertà di non studiare, Guanda, Milano 2011.

[4] P. Mastrocola, Togliamo il disturbo. p. 193.

[5] Lettera a una professoressa, LEF, Firenze 1967

[6] Le vestali della classe media, Il Mulino, Bologna 1969.

 


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