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Mishima: l’uomo e l’artista
(La morte come fine)

di Antonio Stanca

"Le ultime parole di Mishima" è il titolo del volume pubblicato da Feltrinelli nella serie "Universale Economica" e tradotto e curato da Emanuele Ciccarella. Il libro contiene le interviste fatte allo scrittore e drammaturgo giapponese Yukio Mishima (Tokyo 1925 – 70) da due critici: Kobayashi Hideo, esponente di rilievo della critica letteraria giapponese, lo intervista nel 1957 mentre Furubayashi Takashi, di tendenza marxista e coetaneo dell’autore, lo fa nel 1970 poco prima che Mishima si togliesse la vita con un suicidio pubblico e rituale (harakiri). Questa intervista precede nel testo l’altra e risulta più completa giacché oltre a problemi prettamente letterari e artistici comprende altri di carattere sociale, politico, storico, oltre all’artista permette di conoscere l’uomo Mishima, la sua vita, il suo pensiero, la sua concezione della società, dello Stato.

Regista, attore, saggista, critico letterario e soprattutto autore di romanzi quali "Confessioni di una maschera", "La voce delle onde", "Il padiglione d’oro", "Il mare della fertilità" e di drammi come "Giovani, rinascete!", "Il tamburo di damasco", è stato Yukio Mishima. I momenti essenziali di sì vasta e varia attività vengono percorsi in tale ampia intervista, analizzati e continuamente rapportati alla vita dell’autore e questa ai suoi tempi e luoghi, il Giappone dopo la seconda guerra mondiale. Un rapporto difficile quello col proprio ambiente per chi aveva già problemi a rapportarsi con la vita, a vivere da artista e da uomo, a conciliare il pensiero con l’azione, "la penna con la spada". Mishima sentiva tanto la dimensione ideale da esserne influenzato non solo nelle convinzioni artistiche ma anche nella condotta privata e pubblica, da tendere verso una vita riportata alle esigenze dello spirito, una realtà, una società, una nazione dirette dall’idea e, perciò, lontane, diverse da quelle giapponesi del momento che si avviavano ad assumere caratteri concreti, immediati come voluto dalle incalzanti società e cultura di massa. In Occidente il fenomeno era già in atto ed aveva confuso, disperso quanto si era sempre inteso per arte ed artista, quanto era manifestazione, espressione isolata, trascendente perchè erano prevalsi interessi collettivi e immanenti.

Mishima si era formato sugli autori del decadentismo europeo e su quelli della Grecia classica e da entrambe le direzioni, oltre che dall’acceso spiritualismo proprio delle tradizioni culturali, artistiche, religiose del proprio paese, erano provenute le componenti fortemente ideali del suo carattere, quelle che non gli facevano distinguere tra storia e mito, realtà e idea, vita ed arte essendo tutto ricondotto a principi e valori estremi, assoluti, unici. Come l’artista farà suoi i temi della forza, della bellezza-violenza, della bellezza-morte, dell’erotismo così l’uomo sarà un acceso nazionalista, fonderà un gruppo politico di estrema destra, l’Associazione degli scudi, come i suoi personaggi così Mishima vivrà d’idee, penserà, parlerà, agirà seguendo lo spirito, aspirerà alla condizione inalterabile, eterna, universale che esso può procurare all’uomo. Inseguendo questi propositi egli abbandonerà la tendenza al classicismo, alla ricerca essenzialmente formale, alla preziosità espressiva, che avevano distinto alcune sue prime opere per impegnarsi, nei successivi romanzi e drammi, nella rappresentazione di situazioni e personaggi maggiormente mossi e volti a superare i limiti della materia, della realtà in nome dello spirito, dell’idea. Sarà così per i protagonisti di "Confessioni di una maschera" che anelano ad una vita assoluta, per il povero giovane storpio che incendia il "padiglione d’oro" non potendo partecipare della bellezza di esso né delle agiatezze di quanti lo visitano, per i due innamorati di "Giovani, rinascete!" che si amano fin quando amore per loro vuol dire anche pericolo, sfida, per l’uomo che si condanna a suonare in eterno un odiato tamburo perché così richiestogli dalla donna alla quale aspira. Sono sempre situazioni conflittuali, persone che si tormentano, lottano per rendere possibile quanto sperato o sognato, per vincere su ciò che ostacola le loro intenzioni, per realizzare le proprie idee, per attingere quell’Assoluto che con queste s’identifica.

Non solo nell’arte, s’è detto , ma anche nella vita si estendeva tale affannosa ricerca di Mishima chè per lui entrambe valevano nella stessa misura. E sorprendente sarà sentirlo dire nella citata intervista: "Sì, sognare di raggiungere l’Assoluto. Sognare, sognare ma poiché questo sogno è romantico non può essere realizzato. L’impossibilità di tale realizzazione è l’arte mentre la sua possibilità è l’azione. Questa è la via della penna e della spada. Il raggiungimento dell’Assoluto… è la morte. Non c’è altra strada. Per l’arte l’idea della morte non è adeguata. L’arte deve vivere, vivere a lungo; altrimenti non si completa, non si raffina. Ma se parliamo di azione, allora si può anche morire a diciotto anni. Solo allora si raggiunge la perfezione…".

Per un instancabile ricercatore dell’Assoluto era avvenuta una scoperta: non in ciò che si continua esso può stare ma solo in ciò che finisce per sempre poiché così svaniscono i suoi contorni, sfumano i limiti spaziali e temporali e si perviene a quella condizione indeterminata che è propria della memoria rimasta presso i posteri e nella quale consiste l’eternità. Se si tiene conto che questi pensieri erano stati da Mishima espressi dopo aver tentato, tramite la regia e la recitazione, di creare linguaggi alternativi a quello artistico e poco prima di darsi la morte, che essi, cioè, sono i suoi ultimi, si deduce che egli era giunto, negli anni ’70, ad uno stato di sfiducia verso quanto prodotto in arte anche se aveva continuato a cercare il modo per attingere quella dimensione superiore all’umana che sentiva come propria.

Ha voluto significare questo con la sua morte? Esemplificare le sue idee? Raggiungere il suo Assoluto? E’ stato, Mishima, uno degli ultimi eredi e difensori di una spiritualità estrema che, partita dalla storia antica, era giunta ai nostri tempi ancora intatta perché propria dell’uomo prima che dell’artista? E’ stato un interprete, tra i più veri, di quella tragedia greca che lo aveva tanto attratto?

Non è facile rispondere a queste domande ma qualunque possa essere la loro spiegazione quello di Mishima rimane un fenomeno senza precedenti e dal fascino unico.


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