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Non di solo presente

 di Antonio Stanca

Da Einaudi è stato pubblicato il breve volume “Rimuovere i classici?” (Cultura classica e società contemporanea), che, curato da Franco Montanari, raccoglie alcuni degli interventi di noti studiosi confrontatisi, il giorno 8 Giugno dell’anno 2002 presso la sede dell’Università Normale di Pisa, su un problema ormai divenuto sempre più attuale ed importante per la scuola italiana: continuare o smettere o modificare il rapporto con la cultura classica?

Diversa è stata, in quella circostanza, la posizione degli esperti anche se nel complesso si può dire che nessuno è arrivato a sancire l’esclusione definitiva dello studio della lingua e cultura greche e latine dai programmi della nostra scuola. Ci si è soffermati, naturalmente, sul difficile rapporto che, oggi, s’è creato, in ambito scolastico, tra cultura classica e moderne discipline, tra un’antichità vista come statica, immobile ed una modernità in continuo movimento e rinnovamento.

Come si può pensare di far coesistere l’astronave, i satelliti artificiali, i voli interplanetari, Internet, il telefono cellulare con lo studio del greco e del latino? Quanto può servire questo quando le aspirazioni più diffuse, presso i giovani, sono quelle di partecipare del ritmo, del dinamismo che contraddistinguono la moderna condizione sociale, d’inserirsi nella funzionalità, precisione, rapidità dei suoi servizi? Perché studiare lingue antiche, trascorse da secoli, in un momento, in un mondo che richiede linguaggi nuovissimi, adeguati ai nuovi sistemi di comunicazione, linguaggi cifrati, stranieri, sovranazionali? In effetti sembra un controsenso dedicarsi all’antico in un ambiente che si rinnova ad ogni istante, che esige sempre nuove specializzazioni e che ha imposto alla vita il passo di una corsa interminabile. In tale situazione sono sorte scuole che preparano i giovani esclusivamente per un futuro immediato, sicuro e remunerativo. Si tratta di scuole soltanto tecniche che hanno bandito ogni traccia d’istruzione classica e che muovono a riflettere, fanno pensare a come parleranno, scriveranno, vivranno i giovani prodotti dalla tecnica e di tecnica produttori. Dall’antichità, infatti, dalla sua cultura, dai suoi testi in versi e in prosa, filosofici e scientifici, ci sono giunti non solo i modi di parlare, scrivere e calcolare ma anche quelli di pensare, fare e vivere. Se la civiltà occidentale si distingue da quella orientale e dalle altre d’oltreoceano succede perché diversa è l’eredità culturale ed umana della quale ha usufruito. Non avremmo, oggi nell’Occidente europeo, le nostre lingue, letterature, filosofie, scienze se non ci fossero state quelle greche e latine, non sarebbero tali i nostri usi e costumi senza quei precedenti. Pertanto eliminare dalla scuola lo studio dei classici significherebbe annullare la possibilità di riconoscersi, perdere la propria identità in nome di nessun’altra, negare, come ormai è divenuto di moda, tutto ciò che non è vicino, immediato, credendo di poter vivere solo e sempre di presente. Ma se già questo, nella nostra nazione, è composto da tanti e tali livelli di cultura ed espressione orale e scritta da far pensare di unificarli sottoponendo a prove d’italiano, scritto e parlato, larghe fasce della popolazione ed in particolare di quella poco o per niente istruita, quale barbarie linguistica si verificherebbe in futuro se i classici fossero eliminati dalla scuola? Sarebbe un grave errore ed auspicabile sarebbe, invece, una riduzione della loro posizione primaria, un loro adattamento alle circostanze attuali, alle richieste della scuola moderna. Confrontare, integrare il greco e il latino con le conoscenze oggi necessarie per i giovani, è l’unico modo per continuarli e farli valere oltre che per riconoscersi e formarsi come cittadini dell’Occidente europeo.


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