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Montanelli e Bo: unici nel loro genere
(Ancora esempi di umanesimo)

di Antonio Stanca

 

Quando finiscono d’esistere personaggi quali Indro Montanelli o Carlo Bo, come recentemente e quasi contemporaneamente è avvenuto per entrambi, non si dovrebbe parlare di morte bensì di resurrezione giacchè l’evento si trasforma in un richiamo, ridesta l’attenzione eventualmente sopita per la figura e l’opera specie se si tiene conto che la loro lunga vita li ha trasformati negli ultimi, rari esponenti di un’atmosfera sociale, culturale, artistica che non c’è più, di una maniera d’intendere l’impegno intellettuale che ormai ha finito di valere.

Montanelli fu giornalista, storico, scrittore, Bo docente e rettore universitario ma soprattutto critico letterario: in qualunque funzione abbia operato nessuno dei due ha mai rinunciato a se stesso, alle proprie idee, alla propria formazione, nessuno le ha sostituite con le mode correnti pur avendo attraversato quasi un secolo di storia. Entrambi sono stati convinti fino alla fine di rappresentare, pur nelle loro diverse posizioni, un rapporto con il pubblico, Montanelli tramite il giornale, Bo tramite il libro, e di doverlo svolgere come un impegno morale, interiore, in modo, cioè, quanto mai corretto e non deviante, di dover sensibilizzare, educare, formare e non soltanto attirare, informare.

Per Montanelli l’opinione pubblica contava più di tutto e ad essa rivolgeva le maggiori attenzioni: il suo giornalismo tendeva alla verità poiché solo così egli pensava che potesse maturare la capacità di valutazione, lo spirito critico del lettore. Per non rinunciare a simile principio affrontò il carcere, fu espulso da testate importanti come il "Corriere della sera", avviò nuovi giornali ("il Giornale", "la Voce") e, tuttavia, il tempo gli ha dato ragione se si considera che è stato richiamato da chi l’aveva allontanato e che di lui si dice come di un maestro del giornalismo. Anche nell’attività di narratore e di storico pensò prima a chi avrebbe letto le sue opere nel senso che rinunciò alle velleità proprie di ogni autore per assumere una funzione didattica, per far giungere ai più larghi strati della nostra popolazione quanto di storia e di vita nazionale era rimasto sempre sconosciuto o poco noto. Quello dell’incultura del pubblico italiano è un fenomeno tanto diffuso, pensava Montanelli, da poter far parlare, per l’Italia, non di un popolo ma di un’accozzaglia di tradizioni, costumi, culture, lingue. Se da qui si vuole pervenire alla formazione di un’unica nazione o almeno di una coscienza nazionale c’è bisogno di un impegno non solo culturale ma anche umano, morale, civile, sociale quale, appunto, quello da lui profuso qualunque direzione abbia assunto la sua straripante attività.

Anche per il critico letterario Carlo Bo, per ogni fase o tema della sua immensa produzione ha agito un imperativo uguale: non indirizzare i lettori solo verso alcuni autori o testi di letteratura, non determinarne i gusti ma fornire loro le possibilità per capire ed apprezzare, per formare una propria intelligenza letteraria, per partecipare della letteratura come Montanelli lo voleva per la vita e la storia. I due miravano, quindi, a creare la coscienza del nostro popolo, civile per l’uno, letteraria per l’altro, a costituire quella mancata nazione di cui ci si lamenta ancora. A tal fine Montanelli umanizzava il suo giornalismo,la sua storia , le sue narrazioni, Bo la sua letteratura , le riportavano alla dimensione necessaria perché coinvolgessero il maggior numero di persone possibile , le riducevano a misura d’uomo.

Dei due casi si può dire, pertanto, come di un unico esempio di sentito, profondo umanesimo, di un fenomeno, cioè, che affonda le sue radici nel lontano passato della storia e della cultura, che ha resistito alle innumerevoli avversità dei tempi e soprattutto ai pericoli di corruzione comportati dalla modernità e che fino alla fine è rimasto intatto nei suoi elementi costitutivi. Una missione può essere definita quella svolta dai due intellettuali poiché perseguita, come una qualsiasi altra necessità spirituale, nel silenzio dell’anima, di là da ogni fine immediato e senza il timore che generalmente sorge di fronte ad un’impresa così impari quale quella di colmare da soli le lacune della storia e della cultura di un popolo, di educare le masse a non essere più anonime, a sapersi riconoscere in maniera unica e inalterabile.


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