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A proposito di Moravia

di Antonio Stanca

Si è discusso, di recente, tra autori e critici sul problema se riconoscere al noto scrittore Alberto Moravia, Roma (1907-1990), una presenza o impegno nelle vicende  del suo tempo. Dagli interventi sono emerse posizioni diverse e confuse poiché non è risultato chiaro se l’impegno del Moravia fosse da riferire alla vita, ad un certo periodo di questa o all’opera.

L’impressione suscitata dall’avvenimento oltre che di confusione è stata anche di sorpresa dal momento che si vorrebbe giudicare un autore, dopo la morte e dopo tantissima produzione, senza tener conto della totalità della figura e che l’uomo e lo scrittore avevano tendenze ed aspirazioni affini presso le quali era difficile che l’azione vera e propria trovasse accoglienza. Egli era più disposto ad osservare, a pensare che a fare e nonostante da giovane avesse partecipato ad azioni sovversive del sistema fascista, condiviso la contestazione del ’68, mal sopportato il nostro sistema di governo e documentato, nei viaggi, la vita ed i costumi di popolazioni straniere, con lui non ci troviamo di fronte ad un “uomo d’azione”, ad uno scrittore impegnato. In Moravia prevale lo spettatore che dalla realtà attinge le sue trame e le riduce, le piega alle richieste di una soggettività molto particolare fino a trasformarle in casi eccezionali dei quali passa a cercare la spiegazione, a trovare la ragione. Questa svolge una perenne ed importante opera di mediazione tra realtà e idea e rappresenta, insieme ad esse, la terza componente essenziale dell’universo di Moravia. Spesso la ragione finisce col prevalere e col fare della narrazione un’operazione tecnica. Ha creduto Moravia che la logica potesse supplire l’ispirazione e non si è accorto che, in tal modo, anche quanto delle sue opere sarebbe potuto divenire emblematico, esemplare, veniva ridotto a materiale da laboratorio, sottoposto a spietata osservazione e privato di ogni possibilità di distinzione, originalità e novità: l’eccessiva intellettualizzazione faceva sì che si smarrisse l’autenticità del caso o del personaggio. E’ stato come voler ridurre la realtà, la vita a quella del proprio intelletto ed esse hanno perso le loro naturali e molteplici potenzialità e manifestazioni. Se si aggiunge che in Moravia il tema di fondo spesso ricorre dal momento che quello di una sessualità deviata e delle sue strane conseguenze costituisce il nucleo centrale della sua narrativa, si capisce perché questa sia pervasa da un’atmosfera di generale monotonia e perché un senso di spossatezza,  assenza, “indifferenza” nei confronti della vita, del mondo, caratterizzi i suoi personaggi, presi soltanto dalle proprie vicende e travolti da queste al punto da perdere ogni possibilità di opposizione a quello che sembra un loro inevitabile destino.

Dal momento che si era mostrato libero di dire ciò che era sempre stato difficile o vietato e in uno stile affrancato dalle regole della tradizione Moravia è apparso uno scrittore rivoluzionario. La sua opera risente, invece, di certe mode culturali determinate, in Europa, da fenomeni quali la diffusione della psicanalisi, del  marxismo e attraverso simili ascendenti esprime una coscienza inquieta, torbida, offuscata, che non supera mai la condizione di partenza per costituirsi e proiettarsi in un’ideologia fondamentale, in una finalità unica, capace di riassumere e trascendere il groviglio di pensieri e sentimenti ad essa sottesi e pervenire all’arte. Solo se a Moravia non fosse sembrato sufficiente chiarire tale intrico, dipanarne le fila e avesse cercato una verità, una concezione superiore alla contingenza, si sarebbe potuto dire di lui come di un artista nuovo. Questo non è avvenuto giacché la particolarità  di una vicenda, di un caso, di un personaggio, ha sempre avuto la meglio, nelle sue narrazioni, sulla generalità di un fine, di un’aspirazione, di un concepimento, il bisogno di definire, determinare ha superato quello di estendere, ampliare, la tecnica ha vinto sull’arte, la “noia” sulla vita, sull’azione, sull’impegno.


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