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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Parrella di nuovo sconfitta

 di Antonio Stanca

 

A Settembre del 2011, edito dalla Einaudi di Torino, è comparso il romanzo Lettera di dimissioni della trentasettenne scrittrice napoletana Valeria Parrella. Da quando ha esordito nel 2003 con mosca più balena, romanzo pubblicato dalla minimum fax, la Parrella, che vive a Napoli, ha continuato a produrre opere narrative e teatrali nelle quali ricorrenti sono i temi della sua terra e della condizione femminile ad essa collegata. Quelle della scrittrice sono donne che vivono situazioni difficili perché ai margini delle aree interessate allo sviluppo, al progresso. Sono rimaste nei sobborghi, nelle periferie di un centro quale Napoli e, nonostante le loro aspirazioni ad evadere, ad affermarsi, hanno dovuto accettare una vita di privazioni, di stenti. Un’umanità esclusa trova posto nelle sue opere, una rappresentazione diventa la sua di quanto avviene da tempo in certi luoghi senza che nessuno si curi, di quanta sofferenza, di quanti problemi sono in attesa di soluzione.

Ora, però, in Lettera di dimissioni, quella donna che sempre era stata sconfitta dalle circostanze è riuscita ad emergere, ad inserirsi nel contesto, è divenuta la Clelia che dalla periferia di Napoli è arrivata al centro, nella città che sognava. Ha avuto modo di farsi apprezzare, ha raggiunto posizioni di prestigio, ha ottenuto incarichi di rilievo, ad appena quarant’anni è la nuova direttrice artistica del Teatro Regione Campania. Si libererà di quanto faceva parte della sua vita precedente compreso il ragazzo col quale stava vivendo la prima esperienza amorosa e che tanto la amava. Avrà altri uomini, li cambierà come ogni donna di successo, conoscerà persone importanti del mondo dello spettacolo, della politica, sarà inseguita dai giornalisti, si sposterà all’estero per le rappresentazioni ma non risolverà i problemi economici nei quali versa il suo teatro. Per farlo dovrebbe contravvenire ad ogni principio, ad ogni morale, dovrebbe agire solo per interesse immediato, per calcolo, dovrebbe rinunciare a quanto le è ancora rimasto della sua formazione e non si sente di farlo. Giungerà ad avere problemi, a non essere sicura, a non saper decidere. Sarà invitata a dimettersi, lo farà.

La storia di Clelia era cominciata a metà degli anni Novanta ed era giunta agli ultimi. Attraverso essa la scrittrice ha percorso, ha mostrato quanto in Italia è avvenuto in tale periodo di tempo, la crisi dei valori morali che si è andata sempre più aggravando fino alla loro totale assenza in ogni aspetto della vita privata e pubblica. Se, nella Parrella, le donne di prima erano state sconfitte nelle loro aspirazioni a superare la condizione di escluse, questa, che l’aveva superata, lo era stata dall’ambiente raggiunto poiché in esso si erano definiti modi di pensare, di fare, costumi completamente diversi  da quella coscienza che per lei continuava a valere. E tanto sentite sono le vicende narrate dalla scrittrice, tanto vicine riesce a renderle col suo linguaggio rapido, essenziale da far pensare che siano state sue proprie, che le abbia vissute personalmente, che non si debba distinguere tra lei e la sua protagonista. Un lungo discorso è il romanzo, una donna che ha bisogno di parlare è Clelia, di dire di sé, dei suoi antenati, della sua famiglia, della sua infanzia, della sua maturità, delle sue esperienze. E lo fa con la semplicità, la naturalezza di chi non si propone di protestare per quanto le è accaduto, per il danno che le è derivato ma solo di comunicarlo, di farlo conoscere, convinta che è sufficiente raccontare la propria vita per dire anche del tempo di essa.

Far riflettere vuole stavolta la Parrella, nient’altro!


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