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Rebora: tra vita ed opera
(Un caso singolare)

di Antonio Stanca

Da Editori Riuniti è stato pubblicato il libro "Clemente Rebora nella cultura italiana ed europea" a cura di Beschin, De Santi, Grandesso, pp. XII-480. Contiene gli atti del Convegno di Studi tenutosi anni fa a Rovereto e, in particolare, gli interventi di noti studiosi di Letteratura moderna e contemporanea.

Data la scarsa attenzione dedicata, nel tempo, al Rebora ( Milano 1885- Stresa, Novara, 1957) da parte della nostra critica ufficiale i due eventi vanno ritenuti importanti. Dagli studi raccolti nel volume sono emersi il valore e il significato dell’opera del poeta ed è stato evidenziato, tra l’altro, come la spiegazione e comprensione di essa siano da cercare nella vita, nei pensieri dell’uomo più che nella cultura o nelle idee del suo tempo. Queste sono state da lui trasformate in una lezione da riportare e adattare alle proprie necessità e aspirazioni. Non si può negare che Rebora abbia risentito del clima culturale e artistico creatosi intorno alla rivista " La Voce", della quale fu collaboratore, o che sia stato influenzato da autori quali Pascal, Kierkegaard, Eliot, Kafka, Unamuno, Joyce, ma neanche si può dubitare che la sua opera sia molto personale e che qui stia il motivo principale della difficile accettazione. La prima raccolta di versi, "Frammenti lirici" (1913), non venne trattata positivamente dalla critica e già d’allora si crearono quelle difficoltà che non sarebbero state rimosse né dalle raccolte successive, "Canti anonimi" (1922), "Canti dell’infermità" (1957), né da altri fenomeni importanti della vita dell’autore quali il ritiro religioso e la conversione al cattolicesimo.

I temi essenziali della produzione poetica del Rebora vanno individuati nello stato di sofferenza, angoscia del quale è divenuto vittima l’uomo moderno a causa dei nuovi tempi e ambienti, nell’impossibile soluzione del contrasto sorto tra materia e spirito, nella difficoltà di comunicare, in quel "male di vivere", cioè, che ha travagliato tanti autori, soprattutto poeti, italiani e stranieri del primo Novecento. Da questi Rebora si è distinto perché ha sentito, vissuto ed espresso in modo particolare quella che era un’istanza diffusa. Egli non separò mai la vita dall’opera, non pensò di risolvere i problemi di quella evadendo in questa né fu preso dal culto per lo stile. Manca nei suoi versi, tranne qualche raro momento, l’abbandono estatico, l’interesse descrittivo, contemplativo. Essi si mostrano costantemente impegnati a tradurre la tensione di una persona lacerata perché sempre pronta al confronto con l’esterno, al dialogo con gli altri, alla scoperta di una verità e sempre delusa in tali aspettative, sempre volta "verso conquiste ch’io non griderò". Le parole, in Rebora, riflettono tale interminabile travaglio della sua anima, tale "ansietà di affollate vicende in tormento", e diventano l’azione di uno spirito che lotta senza sosta. Il poeta sembra quell’ "albatro imprigionato" che si accanisce nella ricerca dell’ "anello che non tiene", di una possibilità di liberazione da quanto lo impedisce. C’è, in Rebora, un bisogno continuo di luce, di bene, di verità, d’idea per sé e per gli altri. Il poeta non si sente diverso ma uomo tra gli uomini e procede alla ricerca di quanto potrebbe valere per tutti. E’ un problema questo vissuto e rappresentato in maniera immediata quasi si trattasse di un’urgenza e di tale affanno è chiara testimonianza lo stile spesso intricato: un dolore che si fa parola nel momento in cui si prova non può ricercarla!

Ad animare e sostenere Rebora in questo anelito è stata anche quella ragione illuministica sottesa alla sua prima formazione. I "lumi" della ragione egli cercava nel mondo, tra gli uomini, nella vita: era l’uomo che voleva ritrovarsi con le proprie ed altrui ragioni e che, ritenendolo un fatto naturale, non pensò mai di rinunciarvi. Accanto all’artista agivano, in lui, l’intellettuale, il moralista e questi aspetti della personalità hanno avuto riflesso nell’ opera e ne hanno complicato l’espressione.

Una vittima singolare Rebora se si pensa che non ha mai smesso di perseguire la salvezza anche per gli altri, per l’umanità, una salvezza dai caratteri e valori collettivi, generali, sociali. A volte il suo discorso viene avviato da situazioni personali quali la partecipazione alla guerra o la malattia ma supera sempre la sfera individuale per farsi interprete di un diffuso bisogno di verità, amore, solidarietà. E’ come se fossero l’uomo, la vita a cercare, tramite il poeta, una certezza, una fede ed è stato quasi necessario che approdassero a quella religiosa per la sua dimensione largamente umana e sociale. Non una conversione è avvenuta in Rebora ma un’ulteriore approssimazione a quanto sperato, uno sviluppo necessario ai suoi bisogni di uomo semplice quale si era sempre creduto e voluto. La religione è stata, per lui, la verità che poteva valere per tutti perché fatta d’amore, partecipazione, collaborazione. Questo non significava risolvere in maniera trascendente un problema sentito e patito come immanente perché quello religioso, divino non è, in Rebora, un ambito diverso, lontano dall’umano ma un aspetto di questo , una sua componente . Era stato l’uomo a giungere a Dio e non poteva che volerlo ad immagine e somiglianza di quanto aveva sostenuto il suo cammino, di ciò che aveva creduto e sperato. Con Dio egli non aveva cambiato il corso della sua ricerca ma l’aveva continuato mostrando come l’ aspirazione alla verità sia un processo umano naturale che da niente può essere fermato ed a qualunque condizione deve procedere e attuarsi. In Rebora i confini tra pensiero ed arte, ragione e fede, vita ed opera, uomo ed autore si sono dilatati al punto da trasformare l’intera sua attività in un messaggio, una rivelazione, un’indicazione.

Molto particolare risulta il caso di questo autore nelle nostre lettere. Egli potrebbe essere avvicinato ad artisti quali Eliot o Bernanos per gli esiti religiosi cui perviene ma rimane sempre un fenomeno distinto perché di un uomo votato ad un destino di pena e che a questo ha ridotto ogni altra attitudine ed esperienza comprese quella artistica e religiosa.


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