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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Un problema mai risolto

di Antonio Stanca

Nato nel 1894 a Schwabenhof presso Brody, Galizia Orientale, e morto nel 1939 a Parigi, Joseph Roth è stato un importante autore austriaco del secolo scorso. E’ stato poeta, giornalista, saggista, scrittore. Molto ha viaggiato, molto ha scritto nonostante la sua breve vita. Questa si è conclusa a Parigi e vicino alla città, nel cimitero di Thiais, si trova la sua tomba. Trascorse l’infanzia e la giovinezza a contatto con la madre ed altri familiari poiché il padre, a causa di disturbi mentali, rimase lontano dalla famiglia. Compì gli studi in diverse città e li concluse all’Università di Vienna. Partecipò come volontario alla Prima Guerra Mondiale e già ai tempi dell’Università aveva cominciato a scrivere. All’inizio si collocano alcune raccolte di poesie, dalle quali traspare quel tono malinconico, elegiaco che sarà anche di molta scrittura narrativa. Seguono i romanzi, i racconti e i lavori di saggistica. Contemporaneamente Roth svolgeva attività giornalistica. Scriveva per giornali fin dagli anni del servizio militare e continuerà in seguito nelle diverse città, Vienna, Francoforte, Berlino, Praga, Nizza, Parigi, e nazioni, Polonia, Unione Sovietica, Albania, Jugoslavia, Paesi Bassi, dove vivrà da emigrato o vi sarà inviato per i suoi reportage.

Dopo la Prima Guerra Mondiale assiste alla fine della monarchia austriaca, della casa degli Asburgo, al tramonto dell’Impero Austro-Ungarico, di quella totalità di popoli, culture, tradizioni, lingue che per tanto tempo aveva rappresentato. Soffre di questa situazione, la vive come la perdita della patria essendo egli nato in una zona dell’Impero. I tempi, gli ambienti, i costumi che erano stati anche suoi ora vengono guastati, annullati poiché nuovi modi di vita, individuale e collettiva, subentrano, i bisogni delle masse fanno avanzare i valori della materia rispetto a quelli dello spirito e questa perdita Roth traduce nel tema centrale delle sue opere migliori quali i romanzi La marcia di Radetzky (1932) e La cripta dei cappuccini (1938). Anche quello dell’emigrazione degli ebrei dall’Europa centrale dove da molto tempo vivevano, della dispersione del loro patrimonio culturale e religioso, sono fenomeni causati dal crollo dell’Austria e per Roth, nato da genitori di origine ebrea, divengono un altro motivo di sofferenza e d’ispirazione per il suo lavoro letterario e saggistico. Inquieta, errabonda, poco ordinata come quella di tanti suoi personaggi fu la sua vita. Si separò dalla prima moglie e intrattenne relazioni, spesso complicate, con molte altre donne. Rimase solo in un ospizio per poveri e qui morì consumato dall’alcol. Della sua vita si è faticato a ricostruire con esattezza alcune fasi poiché spesso inventate sono risultate le notizie fornite dall’autore. Esse ubbidivano a quell’idea di una realtà diversa che Roth perseguiva.

In Italia la sua conoscenza è avvenuta con ritardo, negli anni ’70, grazie soprattutto all’attenzione prestata da Claudio Magris all’autore austriaco. Ora la casa editrice Adelphi di Milano ha ristampato, nella serie Piccola Biblioteca Adelphi, una raccolta di racconti di Roth dal titolo Il secondo amore (pagg. 122, € 11,00). Sono stati scritti tra il 1919 e il 1939 ed offrono l’occasione per riscoprire questo scrittore, per notare i suoi contenuti così attenti, così studiati da immergersi completamente nella realtà, nei suoi particolari senza trascurare un pensiero, un sentimento, una verità che tutti li contenga, che li superi. Non è facile stabilire con precisione il genere letterario al quale riportare la scrittura narrativa di Roth poiché molti elementi la compongono, di molto risente un autore che è poeta, giornalista, saggista oltre che scrittore. Di «nuova oggettività», di neorealismo si è soliti parlare a proposito del Roth scrittore anche se questo non è l’unico aspetto delle sue narrazioni.

«Il narratore è un osservatore e un esperto. Il suo lavoro non è mai staccato dalla realtà, bensì è realtà trasformata in verità per mezzo del linguaggio» oppure «io non ho scoperto nulla. Non si tratta più di scrivere. La cosa più importante è ciò che viene osservato», dichiara Roth e nei brevi racconti de Il secondo amore diverse, tante sono le realtà osservate, tanti i tempi, i luoghi, i personaggi, gli avvenimenti presentati. Vi sono ricordi del passato, esperienze recenti, fatti occorsi in città, in campagna, uomini, donne di ogni condizione sociale e nessun aspetto di tali realtà sfugge allo scrittore. Ma neanche rinuncia egli a cercare di riportarle, ridurle ad una verità, ad un’idea che le trascenda. E’ il Roth di sempre, il Roth che nella scrittura come nella vita rimane diviso tra i richiami della realtà e la tendenza all’idea. L’ironia e la ricerca di effetti magici, incantati, di atmosfere da favola saranno dei mezzi tentati per risolvere il problema ma non ci riuscirà poiché è senza soluzione, è il problema del difficile rapporto tra l’anima e il corpo.


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