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I tempi del romanzo
(Scalfari e la lettura)

di Antonio Stanca

Nella rubrica "Il vetro soffiato" del settimanale "L’Espresso" del 30 maggio 2002 il curatore Eugenio Scalfari lamenta la mancanza, nell’Occidente europeo, di una produzione narrativa che sia interprete dell’epoca contemporanea, di quella, cioè, post-industriale. Ogni epoca precedente ha avuto gli scrittori, i romanzi nei quali riconoscersi: la fine dell’aristocrazia è stata espressa da Proust, la crisi della borghesia da Mann, la caduta dell’impero austro-ungarico da tanta narrativa mitteleuropea. Soltanto la nostra età non ha ancora avuto i suoi grandi autori in prosa ed anche questo spiega, secondo Scalfari, il successo che attualmente, in Italia, stanno riscuotendo tanti romanzi degli anni trascorsi ristampati e diffusi per conto di quotidiani quali "la Repubblica" e "Corriere della Sera". Sono state e sono vendute moltissime copie di opere di Pavese, Cassola, Morante, Moravia, Calvino, Bassani ed altri autori del passato a noi più prossimo. E’ una prova, per Scalfari, del bisogno di leggere avvertito dal pubblico dei nostri giorni e della necessità di orientarsi verso tali opere mancando altre che interpretino il contemporaneo contesto umano e sociale.

Molto semplicistico oltre che riduttivo ed inesatto appare il ragionamento se si pensa che a soffrire di non essere letti sono oggi persino i giornali, specie le pagine dedicate alla cultura perché più impegnative, a causa di una facile comunicazione visiva diffusa ad ogni livello sociale. Pertanto se in Italia si stanno registrando notevoli vendite dei suddetti romanzi il fenomeno è da attribuire più al desiderio o alla vanità di possedere, ad un prezzo accessibilissimo, opere considerate dei classici moderni che ad un diffuso bisogno di leggere. Anche nelle scuole la lettura sta per essere superata dalle immagini del computer. E’ una situazione piuttosto allarmante quella che riguarda oggi la cultura umanistica che si può dire generalmente trascurata per quanto di più rapido, facile ed efficace la modernità può offrire con le sue infinite novità. Sorprende, quindi, uno Scalfari che commette queste sviste e, nel suo intervento, si mostra convinto dell’esistenza di un pubblico di giovani ed adulti impegnati nella lettura di romanzi ed in attesa del genere narrativo che suggelli l’atmosfera della società post-industriale. Perché questo si verifichi ci sarebbe bisogno di una cultura, di una corrente di pensiero, che prevalessero sulle altre, che fossero rappresentative di istanze ed umori identici ed estesamente sentiti e vissuti. Così è successo nei tempi passati fino a quelli a noi più vicini. Ora, invece, di culture ci sono tante quante sono le condizioni di vita, d’ambiente, le situazioni umane, sociali, le fasce d’età. Anche di lingue ci sono tante tra i recuperi di quelle perdute e la sempre maggiore accoglienza verso quelle moderne di altre nazioni, letterature e culture. Si è giunti a non saper più cosa intendere per arte data la varietà dei criteri di giudizio e delle opere che ormai circolano. Difficile, impossibile è divenuto in simile contesto parlare di autori maggiori, di opere maggiori giacchè tutti, ogni autore, ogni opera non solo di letteratura ma anche di pittura, scultura, musica, teatro, cinema, hanno motivo e ragione d’essere, soddisfano i gusti, le preferenze d’un certo pubblico. E’ come se si producesse tenendo conto di quanto il prodotto possa piacere a chi lo vedrà e non di come esso risponda alle esigenze, aspirazioni dell’autore. Questo era il tipo di produzione tradizionale nella quale l’artista voleva e doveva ritrovarsi senza pensare a quando o da chi sarebbe stato visto o letto o capito. Anche oggi esistono autori simili ma così isolati da costituire dei "casi" conosciuti e seguiti da un pubblico molto ristretto. Essi testimoniano che il fenomeno artistico nel senso autentico del termine non potrà mai finire ma non possono ritenersi né essere ritenuti inseriti nel sistema. Per ottenere questo da un autore serve, s’è detto, adattarsi alle richieste di un pubblico non più limitato a poche fasce sociali ma quanto mai esteso e vario, occorre gareggiare con le innumerevoli attrazioni che i tempi esercitano su di esso, accettare di seguire le mode che in continuazione si verificano, si alternano, si sovrappongono. Ad articolare ancor più la situazione intervengono gli scambi ormai frequentissimi tra culture, letterature, arti, lingue dei diversi paesi europei e la recente comparsa in questi di prodotti culturali completamente nuovi perché provenienti da stati quali l’Africa, l’Asia, il Sud America, finora rimasti esclusi dal dibattito culturale. Un ambiente, quello della letteratura contemporanea, aperto alle più varie presenze, influenze, ai più diversi contributi. In esso c’è posto per opere d’infiniti temi e modi, contenuti e forme, per tante correnti, per tanti generi quanti può avere una produzione scritta nella quale non si distingua tra lingua nazionale e lingue straniere, tra ragioni interiori ed esteriori, autobiografia e storia, narrativa e cronaca, giornalismo e saggio, disegno e fumetto ed ogni elemento che possa servire soprattutto a farla apparire come richiesto da una società ormai quasi completamente identificatasi con i suoi spettacoli. Uno di questi e tra i più indeterminati è divenuta la letteratura, uno degli aspetti più complessi di un ambiente che ne ha moltissimi altri e tutti ansiosi di valere. Pensare, quindi, ad una produzione narrativa specifica, che sia distintiva di tale atmosfera, che la trasferisca sul piano letterario ed artistico come vorrebbe Scalfari, significa pretendere di ridurre ad unicità ciò che è molteplice ed indistinto. Quel che sorprende non è l’impossibilità di simile realizzazione quanto il fatto che un intellettuale come Scalfari non l’abbia considerata e, nella sua breve analisi, si sia mosso tra le semplificazioni e superficialità di un non addetto ai lavori.


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