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Tempi di scambi

di  Antonio Stanca

Non solo nel linguaggio parlato ma anche in quello scritto, non solo in televisione, su Internet ma anche sui giornali ed altri mezzi di comunicazione di massa frequenti sono divenute le espressioni in lingua straniera, soprattutto inglese, sia quando si dice di politica, economia, società, costume, cinema, teatro, sport, sia quando si tratta di letteratura, di arte. Sono tanti e tali i termini, le locuzioni che ormai compaiono in ogni ambito che sempre più difficile diviene per l’ascoltatore o lettore comprendere il significato loro e di quanto vi è immediatamente connesso. A volte si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una nuova, diversa lingua e di non essere preparati per essa. E’ una lingua che risente delle conquiste della tecnologia, divenute davvero impressionanti in questi ultimi tempi, degli sviluppi dell’informatica e delle loro applicazioni ai più diversi settori della vita individuale e collettiva, alle più diverse attività. La situazione fa parlare, da tempo ormai, del bisogno di stabilire una nuova, unica lingua, d’insegnarla, diffonderla, estenderla tra le nazioni interessate, una lingua con la quale sia possibile incontrarsi, ritrovarsi, sentirsi uniti come appunto succede con i prodotti che la tecnologia fa giungere uguali in luoghi diversi.

Il progresso ha creato nuovi ambienti e sistemi di vita e questi hanno bisogno di una loro espressione poiché hanno i loro nomi e svolgono la loro azione. Come altre volte nella storia anche ora l’evoluzione è stata pure linguistica ma mentre prima a risentire del fenomeno era il linguaggio della nazione interessata, mentre allora era solo quello esposto alle innovazioni ora succede che non ci siano più ostacoli al passaggio, allo scambio di espressioni, di vocaboli nuovi tra lingue di diverse nazioni. Naturalmente sono le fasce più giovani della società, gli aspetti più moderni della vita o i risvolti ultimi di quelli pur tradizionali a risentire del fenomeno. E qui sorge il primo contrasto tra chi non è preparato alla situazione perché appartiene ad altra generazione e cultura e la guarda con perplessità e chi vede in essa la sua migliore espressione giacché ne usufruisce o ne è protagonista. Anche la globalizzazione tende ad apportare il suo contributo all’avvenimento ma senza risolvere il problema che si è creato ed anzi allargandolo dai rapporti tra individui a quelli tra stati visto che non riduce l’affermazione dei vari nazionalismi e non contiene il loro scontro.  Per non dire della scuola che non distingue il fenomeno, non lo analizza ma lo accoglie e confonde tra i suoi insegnamenti trasformandolo in un ostacolo per l’apprendimento della lingua nazionale.

Non è possibile dire quanto durerà la situazione, come si evolverà, si può soltanto osservare che pur essendo necessaria giacché portata dai tempi non è completamente positiva. Lo potrebbe essere se isolata e ridotta nei suoi termini, studiata nella sua formazione e valutata per la sua funzione. Se, invece, si continuerà a farla circolare liberamente, in ogni ambito e senza regole, si arriverà non solo a trovarsi confusi ma anche a perdere quanto si credeva vecchio senza aver acquisito il  nuovo.


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