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Timm ricorda

di Antonio Stanca

Nel 2005 è uscito in Germania col titolo “Der Freund und der Fremde”, nel 2007 in Italia col titolo “L’amico e lo straniero” (ed. Mondadori, traduzione di Margherita Carbonaro): è un libro di memorie, di ricordi dello scrittore tedesco Uwe Timm, nato ad Amburgo nel 1940, laureatosi a Monaco in Germanistica e Filosofia e vivente tra Monaco e Berlino. Timm è ora riconosciuto come uno dei maggiori scrittori tedeschi e come generalmente succede in Germania si è rivelato tardi quando le sue qualità erano maturate. Gli esordi risalgono agli anni Settanta, a romanzi accesi, polemici poiché ispirati alla contestazione studentesca, alla quale aveva aderito, alla storia coloniale tedesca, ai problemi del Terzo Mondo. In seguito la sua voce si era distesa in narrazioni più pacate fino a fargli concepire anche opere per l’infanzia. Notevole successo hanno avuto i romanzi “La scoperta della Currywurst” (1993), “Rosso” (2001), “Come mio fratello” (2003). Come “L’amico e lo straniero” pure questi lavori sono comparsi in Italia e nel 2006 hanno procurato all’autore il premio Mondello.

Anche nelle opere della maturità la scrittura di Timm muove dalla storia, è diventata meno aggressiva, più serena ma dalla storia continua a trarre i suoi motivi e da questi tende verso significati che li superano poiché non limitati all’evento bensì estendibili ad ogni situazione, ad ogni luogo e tempo. Timm è il filosofo che scrive e che con sorprendente abilità trascende il particolare, il finito in nome dell’universale, dell’infinito, si ritrova sempre nello spirito, scopre sempre quanto dura nell’uomo. Così intimo, così penetrante sa riuscire in alcuni frangenti e così naturalmente sa dirlo da sembrare ispirato, da non far distinguere tra la sua e la voce dell’anima, tra il romanzo e la poesia. Con lui si torna ai tempi dei grandi autori, di quelli che vivono d’arte e facilmente la raggiungono. Anche in un libro di ricordi come “L’amico e lo straniero” Timm riesce artista, poeta, ha i suoi momenti magici, brevi ma intensi, altissimi.

In quest’opera lo scrittore ritorna agli anni, ai luoghi dell’adolescenza, della giovinezza, ai problemi della sua famiglia, alle opere, agli autori, alla cultura allora diffusa, alle sue aspirazioni, alle sue amicizie, ai suoi amori. Ricorda i tempi della sua formazione quando aveva interrotto gli studi medi per poi recuperare e conseguire la maturità in collegio, iniziare gli studi universitari a Monaco e completarli dopo essere stato a Parigi per documentarsi. La sua tesi di laurea sarà sul francese Albert Camus, scrittore, saggista, drammaturgo, che nel 1957 aveva ottenuto il Premio Nobel e nel 1960, a quarantasette anni, era morto in un incidente automobilistico. Di Camus il giovane Timm condivide per molto tempo la condizione di “straniero” di fronte all’assurdità del mondo, l’”indifférence” poiché la sola a renderlo libero intellettualmente. In seguito la rifiuterà in nome di una partecipazione attiva ai problemi della vita, di un’azione collettiva per la loro soluzione, di una rivolta contro lo stato di cose. Quello era anche il tempo di Jean-Paul Sartre, Nobel nel 1964, della Francia dell’esistenzialismo e pregevole è il modo chiaro, rapido, scorrevole col quale Timm lo ripercorre, ricostruisce l’atmosfera culturale, artistica che circolava, ricorda le letture che lui, giovane insieme a tanti altri, riteneva importanti e che riguardavano autori non solo tedeschi o francesi ma anche austriaci, inglesi, irlandesi, americani o d’altra nazionalità. Era il tempo nel quale ancora vivevano o da poco erano scomparsi Nietzsche, Brecht, Grass, Bachmann, Baudelaire, Apollinaire, Mallarmé, Rimbaud, Joyce, Ionesco, Beckett, Pound, Eliot, Miller, Borges ed altri che hanno segnato il Novecento, lo hanno stabilito nel pensiero, nella cultura, nell’arte, ed anche se in quel momento non lo si era ancora completamente capito ed acquisito suggestivo sarà stato per Timm sentirsi vicino se non contemporaneo di tante, diverse novità, entusiasmarsi ad esse insieme ai suoi compagni.

Ne “L’amico e lo straniero” dirà pure di quanto valevano per i giovani le arti figurative, il teatro, il cinema di quel momento e non trascurerà le tradizioni culturali, dalle più antiche (Omero) alle più recenti (Goethe), né gli interessi immediati degli studenti suoi pari, la loro vita, la loro famiglia, la casa, la scuola, i giochi, i viaggi. Farà trasparire per intero il clima d’allora, lo estenderà alla situazione politica tedesca e straniera, alla condizione sociale, alla guerra fredda, al Vietnam, al Terzo Mondo, alla contestazione, ai suoi programmi. Farà vedere il fervore di chi contestava, dei giovani, come diffuso nella società. Rappresenterà un momento della storia molto particolare poiché ovunque teso a correggere, migliorare, rinnovare, costruire.

Timm ripercorre quei tempi, luoghi, ambienti senza soffermarsi su alcuni in particolare ma procedendo come per appunti, muovendosi senza soste tra ricordi diversi, passando da uno all’altro, concedendo ad ognuno lo spazio di alcuni righi e creando, nel libro, un sistema frammentato, sempre vario. Tra tanto movimento e cambiamento c’è un ricordo che ritorna con maggiore frequenza, che attraversa l’opera dall’inizio alla fine, è quello dell’amico Benno Ohnesorg, ucciso dalla polizia a Berlino il 2 Giugno 1967 mentre protestava con altri manifestanti contro la visita dello Scià di Persia nella capitale tedesca. Il mistero nel quale rimase avvolto l’episodio nonostante le indagini, l’impunità di cui godette la polizia aggravarono il dolore di Timm. Con Benno egli aveva perso una parte di sé, erano stati sempre vicini, avevano abbandonato gli studi, avevano frequentato il collegio per recuperare e soprattutto erano vissuti insieme, negli stessi luoghi, nelle stesse case, avevano fatto, parlato di tutto, di studio, di letture, di spettacoli, di autori preferiti, di aspirazioni, di donne, di problemi sociali, politici. Entrambi aspiravano a diventare scrittori, entrambi avevano cominciato a scrivere. Ma pur tra tanta comunità ognuno era rimasto con le sue cose, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, non aveva interferito in quelli dell’altro: Benno era “l’amico” ma anche “lo straniero” e questo, secondo Timm, avrebbe permesso loro di rimanere eternamente vicini. Come accettare l’idea che Benno era scomparso e in quel modo? Come liberarsi da quel dolore, da quel ricordo? Timm crede che non sia possibile e lo dimostra il fatto che oggi, a quarant’anni di distanza e quando è un autore affermato, è tornato all’ ”amico”, lo ha cercato, lo ha mostrato come elemento essenziale della sua vita, della sua formazione, della sua affermazione.


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