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A SCUOLA DA UN MAGO….DELLA SCIENZA

 Eleonora Aquilini(*)

 

Ho letto il numero di novembre de “I grandi della scienza” dedicato a Feynman. Il titolo è “Feynman – La vita di un fisico irriverente”. La presentazione di questo personaggio è accattivante, vengono, infatti, riportate le parole del matematico Marc Kac: “Ci sono due tipi di geni: i geni “ordinari” e i “maghi”. Un genio ordinario è un tipo come potrebbe essere uno di noi se solo fosse mille volte più bravo. Non c’è nessun mistero nel modo in cui funziona la mente. Con i maghi è diverso…..il funzionamento della loro mente ci è del tutto incomprensibile. Raramente o forse mai hanno allievi, perché non possono essere emulati….Richard Feynman è un mago di altissimo livello”(1). Si continua dicendo che è stato il più brillante tra i fisici teorici della generazione postbellica, ha dato contributi in tutti i campi della fisica, nel 1965 ha ricevuto il premio Nobel per studi nell’ambito dell’elettrodinamica quantistica, nel 1986 è stato l’unico scienziato a partecipare alla commissione d’inchiesta per il disastro dello shuttle Challenger (diventando un eroe nazionale). La storia di Feynman, nato nel 1918 e morto nel 1988, mi ha affascinato anche se prima di oggi non avevo letto quasi nulla di lui o che lo riguardasse. Il “quasi” si riferisce al fatto che quando facevo il secondo anno di Chimica il professore di Fisica II ci fece comprare il libro “La Fisica di Feynman –The Feynman Lectures on Physics” (2) testo bilingue in cui ogni pagina aveva contemporaneamente il testo italiano e l’originale inglese. Il professore in questione faceva la sua Fisica, con il suo testo ed i suoi esercizi, anche se, con modi di fare forzatamente originali forse voleva, capisco oggi, atteggiarsi a genio. Il modo di fare lezione 1 del mio professore che si comportava come un   pazzoide e rafforzava i concetti con parolacce usate come intercalare e per denigrare noi poveri studenti ignoranti che non sapevamo rispondere, certo non aveva nulla a che fare con quello del personaggio Feynman a cui forse s’ispirava. Quest’ultimo, in realtà, ha dedicato moltissima attenzione all’insegnamento ed in un modo che mi ha colpito e su cui vorrei riflettere ora. Sembra che l’educazione ricevuta dal padre commerciante, che non aveva compiuto per motivi economici gli studi universitari, sia stata decisiva per generare in lui l’amore per la scienza e la considerazione particolare per l’insegnamento. “Il padre lo porta a passeggiare e gli fa vedere che cosa c’è sotto le pietre, gli parla delle cose che si vedono e poi, più in generale del mondo….. gli fa capire che non importano le nozioni vuote, i nomi, ma conta comprendere come le cose funzionano veramente. Se c’è un uccello che vola davanti a loro, gli spiega che non importa sapere come si chiama, ma capire quello che sta facendo e come lo fa: mostrando in questo modo al figlio <la fondamentale differenza tra conoscere il nome di qualcosa e conoscere qualcosa >”(3).  Su questa fondamentale differenza basa il suo modo d’imparare e il suo modo d’insegnare. Questo è scritto bene nel capitolo: “Primo periodo a Caltech: gli anni cinquanta”, in cui si descrive l’esperienza di Feyman al California Institute of Technology, i viaggi in Brasile e in Europa e la scoperta delle interazioni deboli. Qui leggiamo: “In Brasile egli vive una singolare esperienza come docente. Grazie alla particolare formazione ricevuta dal padre, Feynman sarà sempre molto sensibile al problema dell’educazione alla scienza, e tutte le volte che s’imbatterà in metodi educativi sbagliati cercherà di fare qualcosa. La prima occasione gli si presenta proprio con gli studenti dell’università di Rio….Mentre insegna ricava l’impressione che gli studenti brasiliani abbiano un modo del tutto controproducente di seguire le lezioni e di studiare. Non rivolgono mai domande durante le lezioni (per paura di fare brutta figura) e privilegiano la memorizzazione rispetto alla comprensione…….E’ come imparare a memoria frasi di un’altra lingua senza cogliere il significato di ciò che si sta dicendo, osserverà Feynman, nella relazione che, su richiesta degli studenti, terrà alla fine dell’anno accademico…..La causa è nel sistema educativo che trascura del tutto gli aspetti applicativi.” Segue poi un esempio preso da un libro di testo. “Triboluminescenza. Triboluminescenza è la luce emessa quando si frantumano i cristalli…..- E’ scienza questa? – commenta –No! Solo la descrizione di che una parola significa in termini di altre parole. Non vi viene detto nulla sulla natura: quali cristalli producano luce quando sono frantumati, perché producano luce –sarebbe stato meglio, continua Feynman, se invece fosse stato scritto – Quando prendete una zolletta di zucchero e la rompete con un paio di tenaglie al buio, potete vedere un lampo bluastro. Alcuni cristalli si comportano così. Nessuno sa perché. Il fenomeno è chiamato triboluminescenza- In tal modo qualche studente incuriosito avrebbe potuto ripetere l’esperienza a casa: una vera <esperienza della natura>, non vuote parole……In questo discorso di Feynman si ritrova tutto ciò che ha imparato dal padre da piccolo, i nomi non dicono nulla , non s’impara da una definizione ma dalla descrizione di come funzionano le cose. Un principio che guiderà Feynman in tutta la sua attività di educatore e in particolare sulle sue famose Lectures on Physics...” (4)

 All’epoca dell’esame di Fisica II studiai pochissimo su quel libro. Mi era rimasta in mente l’introduzione dove c’era una fotografia di Feynman che suona il tamburo con una faccia molto sorridente e che ho riconosciuta nel dossier de “Le scienze”. Tra parentesi è singolare che in tutte le fotografie presenti sorrida e, se è vero che le donne amano soprattutto chi le fa ridere, come insegna Jessica Rabbit –donna (fumetto) provocante e fatale che s’innamora di un coniglio (Roger Rabbit) perché la fa ridere-, si capisce come la sua vita sentimentale sia stata così “articolata”. Pensando di aver perduto una grande opportunità studiando sugli appunti invece che su quel libro sono andata a leggerne alcune parti cominciando appunto dalla introduzione scritta da Feynman stesso. Riporto qualche passo significativo:

“Nel presentare queste lezioni vi era una seria difficoltà. Nel modo in cui il corso veniva fatto, non vi era nessuna reazione degli studenti per indicare, a chi la presentava, se le lezioni venivano ben assimilate. Questa è indubbiamente una difficoltà molto seria, e io non so quanto buone fossero le lezioni stesse. L’intera cosa fu un esperimento……Il problema è quanto bene sia riuscito questo esperimento. Il mio punto di vista- che però non sembra essere condiviso dalla maggior parte delle persone che hanno lavorato con gli studenti- è pessimista. Io non penso di aver fatto bene nei riguardi degli studenti. Se osservo come la maggioranza di essi ha affrontato i problemi agli esami, penso che il sistema abbia fallito. Naturalmente i miei amici mi sottolineano che vi erano una o due dozzine di studenti che –sorprendentemente- capirono quasi tutto in tutte le lezioni….Queste persone hanno ora, io credo, una preparazione di base di prima classe in fisica, ma…allora <Il potere dell’insegnamento è raramente di molta efficacia tranne che in quelle felici situazioni dov’è quasi superfluo> (Gibbons). Pure non volevo lasciare indietro completamente nessuno studente come forse ho fatto…..Penso, tuttavia, che non esista alcuna soluzione a questo problema dell’istruzione oltre a quella di rendersi conto che il miglior insegnamento può essere realizzato soltanto quando vi sia un rapporto individuale e diretto fra uno studente e un buon insegnante….una situazione in cui uno studente discute le idee, riflette sulle cose, conversa sulle cose.” (5)

 

Feynman impara dal padre ad amare la scienza perché impara da lui un atteggiamento scientifico: nessun dogmatismo nei confronti dei fenomeni nella vita di tutti i giorni, cercare la spiegazione dei fatti senza accontentarsi delle parole che girano intorno a concetti inesistenti. A Feynman con calore e passione vengono insegnate queste cose e lui così le ritrasmette agli altri.  Per la sua genialità, per questa educazione paterna e per fattori che certo non sta a noi classificare diventa un grandissimo scienziato.

Questa storia me ne ha fatto ricordare un’altra, quella di un fisico “normale” che non ha fatto nessuna scoperta straordinaria, anzi ha condotto una vita ordinaria e in un certo periodo della sua vita ha anche smarrito parte di se stesso: Raymond. La storia di questa persona è raccontata da Sheldon B. Kopp nel libro “Se incontri il Buddha per la strada uccidilo”. Questo libro d’ispirazione Zen, parla del pellegrinaggio all’interno di se stessi che gli uomini desiderosi di conoscenza fanno e Raymond è uno di questi.

 “Il perno centrale della sua storia era la lotta per sopravvivere: il padre era morto quando lui aveva quattro anni, abbandonandolo d’improvviso e troppo presto. Dopo di ciò Raymond  aveva ricevuto poca tenerezza ed era stato molto trascurato. Non c’era senso nel piangere su questa tragedia (né su null’altro) perché le lacrime non risolvono i problemi.

Ricordava il padre più con amarezza che con rammarico. Il vecchio era stato un povero immigrato tedesco, un fabbricante di stampi e utensili le cui aspirazioni verso qualcosa di migliore l’avevano indotto a dedicare molto tempo, sforzo e denaro ai corsi per corrispondenza. Raymond si lamentava che il padre gli aveva lasciato solo fatture non  pagate e una grossa scatola di cartone contenente vecchi libri. Raymond aveva preso la laurea nonostante i concreti ostacoli pratici. Sono rimasto affascinato dall’immagine di quella scatola magica di vecchi libri. Erano trattati di fisica. Raymond ha pianto per la prima volta da quando era piccolissimo, quando si è reso conto che il padre gli aveva lasciato il proprio sogno, un sogno che il figlio aveva fatto avverare”.(6)

Ci sono fattori sicuramente indefinibili nella scelta di un mestiere quando questa scelta  è frutto di una spinta interiore, di una vocazione, perché la causa viene spesso da molto lontano, da eventi spesso imponderabili e sotterranei. Credo anche che la ricchezza più grande che un uomo possa avere è una predisposizione chiara verso un ramo della conoscenza. La vocazione nasce nella storia di ognuno di noi e quando la si riconosce non possiamo tradirla, perché in quel campo non ragioniamo solo con il cervello, capiamo, usando l’intuito e l’immaginazione. Vediamo dove gli altri non vedono perché  quella strada non è una strada, ma è la nostra strada: c’è dentro quello che sappiamo della vita. E’ la salvezza della nostra vita.

 Sia Richard (Feynman) che Raymond hanno realizzato il sogno del proprio padre. Entrambi   percorrendo un cammino già tracciato hanno dato il senso alla propria esistenza. 

Ci chiediamo quale insegnamento dà a noi insegnanti di scienze la realtà di queste storie: non ci si interessa alla scienza per caso, non si diventa scienziati appassionati studiando i freddi libri di scienze che ci forniscono le scuole dalle elementari fino all’università. La maggior parte dei nostri alunni probabilmente non ha genitori che costruiscano o abbiano costruito le basi per un futuro che contempli l’amore per la scienza, anzi ha genitori distratti che affidano altrettanto distrattamente “ogni” educazione alla scuola. Di questi ragazzi ci occupiamo tutti i giorni. La società confida nelle capacità educative della scuola più del dovuto, si dirà, ma nelle fasce più povere dal punto di vista culturale questo confidare nella scuola  non è una delega, è una speranza di salto nel livello d’istruzione. Così noi abbiamo il compito di fare amare quello che insegniamo perché questo amore questi ragazzi spesso e volentieri lo possono imparare solo da noi.

Dobbiamo cominciare con i bambini, come ha fatto Melville Feynman con Richard, a costruire concetti e non solo mettere insieme parole, far conoscere i fenomeni di cui si parla e sostituire le definizioni libresche con le definizioni operative (7) in modo che i ragionamenti vengano fatti su fatti concreti e non su parole che spiegano altre parole. La via alla scienza per i bambini sarà inizialmente atteggiamento scientifico: osservare, fare ipotesi e verificarle, essere curiosi, saper parlare e scrivere di quello che si sta studiando, usando un linguaggio sempre più adeguato ma senza le formulazioni scientifiche totalmente estranee alla comprensibilità che si leggono nei sussidiari.  Si tratterà di conoscere alcuni fenomeni dando dei nomi e delle definizioni alla fine di un percorso in cui si sono acquisite dei concetti. Quando saranno più grandi i ragazzi impareranno come sono nate le idee e i problemi scientifici e come sono stati risolti.

 Per alcuni questa via sarà la strada da seguire, per altri sarà una delle strade iniziate e non percorse interamente ma che potranno essere di riferimento per la loro formazione come cittadini che rifuggono a verità calate dall’alto e date supinamente per scontate.

 


 

* Vicepresidente nazionale della Divisione di Didattica della Società Chimica italiana (DD-SCI).


 

1 Avevo scritto inizialmente “fare scuola”invece di “fare lezione” però mi sono accorta che era uno sbaglio, a me all’università sono state impartite solo delle lezioni.

 

Bibliografia

 

1) E. Castellani e L. Castellani  “FEYNMAN la vita di un fisico irriverente” della collana “i grandi della scienza”, Le Scienze, anno VI, n.35, novembre 2003, p.1

2) R.P.Feyman, R.B.Leighton, M.Sands, “La Fisica di Feynman The Feyman Lectures on Physics”, vol. II Parte 1, 1975, Amsterdam, Inter European Editions.

3)E. Castellani e L.Castellani, ibidem, p.7

4) E. Castellani e L.Castellani, ibidem,  p.67

5)R. P. Feyman, R. B. Leighton, M.Sands, ibidem, p. IV

6) S.B. Kopp, “Se incontri il Buddha per la strada uccidilo”,1975, Roma, Astrolabio.

7) Leonardo Barsantini e Carlo Fiorentini (a cura di), “L’insegnamento delle scienze verso un curricolo verticale”, S. Gabriele (TE), IRRSAE Abruzzo, 2001.

 


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