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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

ANTOLOGIA EPISTOLARE SULLA FUNZIONE DOCENTE

E' una raccolta di lettere che sono frutto di esperienze molteplici e di idee non sempre concordi, ma comunque utili, per elaborare una comune linea di pensiero sulla funzione docente

Prima parte:

Professione docente tra mestiere e missione

Nel corso degli anni, in particolar modo con l'autonomia scolastica, e' notevolmente cambiata l'immagine dell'insegnante, che da trasmettitore di sapere , ha assunto il carattere dell' esperto di progettazione e comunicazione, dovendo gestire una offerta formativa per gli utenti e dovendo negoziare una molteplicita' di rapporti interni o esterni alla scuola. In tutto questo sistema , il lavoro dell'insegnante ha assunto piu' liberta' di scelte , ma anche un carattere di maggiore responsabilita', in quanto la scuola e' diventata un luogo di produzione e decisioni esplicitate attraverso il pof, di cui deve rendere conto Al momento attuale si tratta di definire il senso della nuova professione docente in considerazione dei nuovi ruoli che sta portando avanti la riforma Moratti: il tutor di classe o dei laboratori, ma anche i rapporti tra gli esperti di alcune discipline ,oltre alla possibilita' di scegliere in maniera autonoma e flessibile l'organizzazione e la didattica, motivandola attraverso un progetto di istituto

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E' il racconto di una maestra di prima elementare che ci ricorda le emozioni che si possono provare di fronte ad una nuova esperienza, con qualche incertezza ,qualche timore, ma anche tanto entusiasmo e curiosita'

Questo pregevole contributo ha dato il via ad un ampio e vivace dibattito il cui frutto e' costituito da questa raccolta di interventi

28 dicembre 2002

VICINO ALL'INIZIO
di Cristina Mecenero

. Che lavoro faccio? Io ho il compito di stare vicino all'inizio, è questo il mio mestiere. Detto così il mio lavoro mi appare bello e importante.

Saper stare vicino all'inizio è altra cosa ancora, io l'ho imparata un po', ma so che posso impararla di più. Non è che non sono abbastanza sveglia o intelligente, è che stare vicino all'inizio sembra facile, ma non lo è. Perché? Perché presuppone di rimanere in contatto con le cose essenziali, di base. Questa capacità è un dono di cui tutti possono godere ed al contempo è un'arte che va continuamente esercitata. Un'arte che nella nostra cultura è posta ai margini, quando addirittura non è del tutto eclissata.

Ho imparato a stare vicino all'inizio proprio grazie al mestiere che faccio. Un po' anche mi veniva naturale e grazie alla politica delle donne ho intuito sempre di più che era una cosa buona. Io sono una maestra elementare. Da anni sono vicina a bambine e bambini che iniziano: ad andare a scuola, a scrivere, a leggere, a ragionare insieme, ad orientarsi nelle dinamiche sociali, a sperimentare molte emozioni. Sono bambine e bambini che per la loro età sono anche vicino all'inizio della loro vita e sono molto vicini a colei che ha loro dato la vita: sono ancora molto contagiati dalla conoscenza che si genera con l'affetto, il legame, il bisogno di stare in contatto con il corpo della loro madre, con gli oggetti, con la natura. I bambini e le bambine mi fanno fare i conti con molte cose essenziali. Per accennarne alcune, vi elenco un po' di affermazioni e di domande che mi sono sentita ripetere moltissime volte durante la mia carriera e che mi hanno costretto a pensare: Lui vuole indietro il suo regalo, dice che si è sbagliato a darmelo. Chi ha generato Dio? Posso fare morire il personaggio della mia storia? Ci dici se esiste veramente Babbo Natale? Non mi fanno giocare con loro! E' vero che da adulti non si piange più? Non sono più sua amica. Non ci riesco! Mi allacci le scarpe? Mi fa male la pancia. Che begli orecchini che hai oggi! Io, come maestra, sono l'accompagnatrice di quelle bambine e di quei bambini in un percorso in cui si giocano cose elementari, ma che appartengono all'ordine delle fondamenta, cose intorno alle quali tutto si ordina e prende senso, si organizza, progredisce. Cose piccole piccole e che pure sono anche quelle che hanno un sapore - salato, dolce, amaro, piccante oppure aspro - che ti serve a riconoscere dopo gli altri sapori della vita sociale. Quelle cose che scompaiono subito dopo che hanno preso forma, un po' perché le si dà per scontate, un po' perché si ritiene che facciano parte del percorso naturale e, allo stesso tempo, abbiano un carattere secondario rispetto ad altro di più importante. Cose che però, se non ci fossero, se non ci fosse la possibilità di passarci attraverso, allora risulterebbe che sono tutto meno che scontate. La loro madre li inizia ben prima di me a tutto questo e lo fa naturalmente, bene o male, ma come dice una mia amica, maestra in pensione, meglio una cattiva madre che non avere madre. Io proseguo, cercando di iniziarli ai saperi fondamentali per usare il pensiero e scoprire chi si è: quando inizia la tua storia? E la storia del mondo? Proviamo a scrivere una parola. un pensiero. un racconto. Cosa vuol dire studiare? Cosa vuol dire riassumere? E mentre sto al loro fianco, mi pongo io stessa molte domande: Alla base del senso della storia cosa c'è? E alla base della scrittura? Cosa è indispensabile sperimentare prima? Prima che sia troppo tardi, prima che non sia più il momento giusto.

Questo è il mio lavoro. Per anni non ne ho parlato, non l'ho raccontato, non riuscivo nemmeno ad immaginarlo. Lo facevo, punto e basta. Sono stata una di quelle maestre che per molto tempo ha pensato di non avere niente di intelligente da dire al resto del mondo, alla società, agli esperti, ai "pedagogisti". Per anni ho lavorato al buio insieme alle mie colleghe, ho lavorato nel silenzio. Questa non è l'unica immagine di cui mi servo per parlare del mio lavoro. Spesso uso "operaia del sociale" come metafora della passione esistenziale che metto nel mestiere che faccio, dello stipendio che prendo e del contraddittorio riconoscimento collettivo che investe la professione di maestra elementare. Operaia ha a che vedere con il fatto che assumere il ruolo magistrale istituzionale significa entrare a far parte di un circuito in cui la richiesta prevalente è quella che le maestre siano delle esecutrici, delle operatrici dei piani di ingegneria pedagogica elaborati e approntati da "menti in grado di farlo". Cosa accomuna l'essere maestra al lavoro operaio? In entrambi i casi si producono beni, materiali o immateriali, che sono indispensabili e rendono lo spazio collettivo e pubblico degno di essere vissuto. Sociale rimanda al lavoro di civiltà, di cura affettiva e intellettuale che tanta parte ha nei gesti quotidiani di noi maestre con le bambine e i bambini che incontriamo nelle classi.

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28 dicembre 2002

E' un racconto bellissimo che restituisce senso, grazie a chi l'ha scritto per averlo passato a tutti noi. Queste parole per me che quest'anno sono distaccata dall'insegnamento con l'insensato ruolo di vicaria, acuiscono la nostalgia perchè la scuola senza il rapporto quotidiano con i bambini è poca cosa. So che molti vivono di scuola senza entrare in aula da molto tempo, e alcuni magari non ci sono mai entrati perchè ci vuole tempo anche per ragionare, scrivere, organizzare, ma per me che in classe ci sono da vent'anni è un'esperienza straniante. Quell'essere vicini fin dall'inizio, quel consegnarli "grandi" in altre mani è un gesto di continua speranza:fra raucedine e risate!

Claudia

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28 dicembre 2002

grazie davvero a chi ci ripone davanti al nostro essere insegnanti come missione, non in senso cattolico. grazie per averci insegnato e ricordato che essere "vicino all'inizio" significa essere nel mare di incertezze e non aver paura di inoltrarsi in mari aperti e sconosciuti. in questo momento di involuzione della scuola questi messaggi ridanno speranza e valori al nostro compito e alla vita..... sono un invito per tutti a continuare le nostre strade ,consapevoli che " la strada si fa camminando......" senza le presunzioni di tutto sapere ma accogliendo le vere piccole cose del quotidiano nell'attesa che si trasformino in atti consapevoli di generosità e di amore per chi li riceve per continuare una catena di com-prensione e di solidarietà per teste e cuore ben fatti........quello ,in fondo, di cui l'universo ha bisogno.

grazie.auguro a tutti un nuovo ano piene di tante piccole cose da trasformare sempre in interessanti azioni di vita.

fioretta

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28 dicembre 2002

Io ho avuto maestre come te, e ringrazio Dio di avermele messe accanto al mio inizio, ai miei inizi. Ora che scrivo ho gli occhi pieni di lacrime, per cui se trovi errori sono quelle che me li fanno fare. Credo che tu sia una di quelle persone che il Signor emette nel mondo per trovare una buona scusa per non distruggerlo, e invidio i tuoi allievi. Di' loro la prossima volta che sì, anche da grandi si piange; ma che ci vogliono buone ragioni, e tu sei una di quelle. E' un pianto buono, che rigenera e rinnova, e che ti fa ritrovare il senso, a volte perduto, della tua professione di insegnate.

Grazie. Alberto Onori

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28 dicembre 2002

Caro Babbo Natale, dacci una scuola veramente autonoma in cui si possa pensare, ridere, parlare, amare e imparare in un clima di ascolto e serenità.

Così scrive Claudia Fanti nella sua surreale letterina natalizia; ma non l’abbiamo già una scuola così? O meglio : non dipende da noi che la nostra scuola sia così? Certo non è facile, ma la scuola di Claudia lo è di sicuro, così. E anche la scuola di Cristina Mecenaro, suppongo, visto che pure lei è vicina all’inizio delle bambine e dei bambini che si apprestano al percorso scolastico. Poi però Claudia aggiunge : Dacci lavagne scrivibili; e mi appaiono davanti quei lavagnoni verdi su cui il gesso stride lasciando una labile traccia, che mi affanno a ripassare più volte perché sia ben visibile. Costavano meno e le abbiamo prese così – disse la giunta comunale; mentre a noi piacevano tanto quelle nerissime su cui il gesso scivolava morbido. E poi ancora : Dacci banchi della misura giusta, registratori validi e videocamere potenti. Quel potenti mi ha lasciato di stucco : per un tecnico come me le videocamere sono tutte uguali, nella loro essenza (ripercorrere, mettere a punto, correggere, mostrare); evidentemente la potenza è riferita ad altro, ad un meta-uso che conduce alla riflessione sul nostro lavoro, come se lo strumento potesse lui stesso dire la sua ed individuare il nocciolo delle questioni… Ma raggiungo il culmine quando leggo : Dacci refettori in cui sia possibile conversare… (e mi ritrovo subito nella nostra infernale mensa, dove tutti pigiati si urla solo per farsi sentire dal vicino); dacci giardini in cui saltare sicuri (e vedo la bimba che tra le lacrime sta cercando, assieme ai compagni, il dente appena rotto sull’aiuola del nostro giardino); Fa l’incantesimo al ministro e a chi gli sta vicino (e vedo una Moratti trasfigurata che circonfusa di luci sta levandosi verso il cielo, col viso che pare la madonna del Benigni). Al di là della mia blasfemìa natalizia, le parole di Claudia e di Cristina paiono provenire da una stessa fonte e siccome i loro luoghi di lavoro distano centinaia di chilometri, infondono in me una speranza ammantata di gioia : le maestre sono delle gran persone! Le maestre, dico, tutte le maestre, non solo Claudia e Cristina! Se infatti Cristina parla al singolare, Claudia no : finora abbiamo lavorato anche in presenza di gravi carenze strutturali e strumentali (e abbiamo sopperito con determinazione, competenza e disponibilità umana) proprio in quegli ambienti inadatti da ogni punto di vista; ci siamo aggiornate/i a nostre spese quotidianamente negli anni, costruendoci una professionalità sconosciuta ai più, per affrontare in proprio difficoltà di ogni tipo: dagli inserimenti di alunne/i provenienti da altre culture (e di madre lingua straniera) senza alcun supporto valido, ai casi di disagio non riconosciuto, dall’aver classi numerosissime, all’adattarci ad aule anguste e senza arredi adeguati, ecc… Dunque le nostre scuole elementari (e materne) sono già la scuola autonoma in cui poter pensare, ridere, parlare, amare; sono già la scuola autonoma in cui imparare a studiare, a riassumere ad acquisire il senso della storia e la base della scrittura. Alberto Onori invidia gli allievi di Cristina, nel mentre ricorda con nostalgia la sua maestra (pur’essa come Cristina) e così dicendo fa un torto a tutti gli altri allievi italiani : chi più chi meno, con un ventaglio però non molto divaricato, gli alunni italiani possono godere di scuole così. Questo è il mio lavoro – dice Cristina; questo è il NOSTRO lavoro, aggiungo io, senza presunzioni, ma sicuro dell’affermazione. Sono migliaia quelli che lavorano al buio e nel silenzio (dei media, della pubblicistica, dei ministri e della politica), badando a quell’essere vicini all’inizio e anche oltre. Se oggi qualcuno (come Claudia, come Cristina) sente il bisogno, direi quasi il dovere di farsi sentire, di esplicitare con una chiarezza che sembrerà banale alle alte sfere, il senso di un lavoro e di una professione, è tutta colpa (merito?) della politica scolastica (e non solo) condotta fin qui da un governo che più lontano non si può dalla sensibilità espressa da quelle parole. Ma nei due messaggi c’è qualcosa di più della semplice testimonianza di come viene interpretata una professione; c’è un vero e proprio manifesto politico, un programma di governo, una dichiarazione d’intenti. Sul piano legislativo, organizzativo e contrattuale : no all’insegnante unico, no alla divisione gerarchica dei compiti, salario uguale per tutti, soldi in più per…, no alle Funzioni Obiettivo, diminuzione degli alunni per classe, sì al tempo pieno e ai moduli, … Sul piano programmatico : scuola di base come servizio all’infanzia (per scrivere, leggere, ragionare insieme, orientarsi nelle dinamiche sociali, sperimentare molte emozioni, …). Ebbene io credo che non ci riusciranno, non ce la faranno a rubarci questa nostra scuola; per quanti ostacoli cercheranno di porci davanti (la devolution, la privatizzazione, i tagli, la controriforma, …), non otterranno altro che una più decisa ed efficace resistenza, che all’esterno potrà anche affievolirsi (lottare stanca pure!), ma all’interno, dentro i nostri singoli luoghi di lavoro metterà radici così profonde, farà germogliare così tanti fiori, che se non ci riusciremo noi, lo faranno loro il lavoro definitivo; loro, i nostri alunni, quando avranno l’età giusta; e non c’è alcun dubbio che lo faranno!

Vittorio Delmoro

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28 dicembre 2002

Caro Vittorio condivido la tua idea di scuola, sono entusiasta di quanto descrivono Claudia e Cristina, sono pienamente d'accordo per un proficuo lavoro in aula pieno di passione e di entusiasmo pero' bisogna tener conto di alcuni cambiamenti che ormai di sono prodotti nella scuola -la flessibilita' di orario: gia' ora gli insegnanti di classe integrano l'orario ridotto di un collega -l'autonomia che richiede la partecipazione collegiale alla stesura e alla realizzazione dei progetti -le esigenze individuali degli alunni che rendono necessari tanti contatti con scuole di altri ordini e grado Tutto cio' rende il lavoro d'aula solo il nucleo di una cornice piu' ampia in cui dobbiamo offrirci come interlocutori di molte persone Tu dici no alle funzioni obiettivo ; e chi si occupa dell'aggiornamento? pensi che sarebbe possibile realizzare il progetto nazionale fortic senza di loro? E chi si occupa delle documentazioni e delle verifiche dell'istituto e del pof? Per ultima cosa vorrei precisare che le esigenze dell'intero plesso si intrecciano e a volte sovrastano quelle della classe , per cui l'insegnante sta diventando una "figura" dell' intera scuola anziche' di una sola classe

marisa

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29 dicembre 2002

Condivido le osservazioni di Marisa. Ci sono dei fattori di realtà che non vanno rimossi per ragioni pur nobili di vocazionalità pedagogica. E vorrei aggiungere che se il bellissimo pezzo di Delmoro fosse condiviso da tutti, non leggeremmo una frase come quella di Severgnini sul Corriere della Sera di oggi, a commento dell'articolo. "Boldi-De Sica, cento parolacce in cento minuti". Conclude Severgnini: "Nessuno grida: ehi, i bambini non sono solo clienti. Sguazziamo tutti in una brodaglia di doppi sensi e cosce al vento, e chi non ride viene fischiato dal fondo del pullmann. Perché siamo una nazione in perenne gita scolastica. I professori? Dormono, in attesa di un posto in un talk show". Discorso che non meritano certo i colleghi che hanno scritto i pezzi che ci hanno regalato a Natale, ma piuttosto coloro per i quali è stato scritto invano il libro di Bottani: "La ricreazione è finita".

Luciano Corradini

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29 dicembre 2002

Cari Marisa e Luciano, ho letto i vostri messaggi e non ho nulla da ridire sul fatto che la scuola sia ormai un'altra cosa dal far solo scuola. Ma, secondo me, non si può, oggi come ieri e più di ieri, star zitti e accettare tutto dicendo "ormai la scuola è..." Credo che sia un dovere continuare anche a dire quello che vorremmo che fosse. Ad esempio, perché si devono accettare le funzioni obiettivo? Perché, in molti casi, ridursi a eseguire progetti voluti da altri senza condividerli, magari criticandoli nei corridoi e tacendo nelle pubbliche assemblee per non indispettire dirigenti e docenti referenti di qualcosa? Perché "rispondere" subito attivandosi nelle direzioni volute dalle decisioni ministeriali attuando sperimentazioni affrettate? Le domande sull' opportunità di applicare tutti i cambiamenti che ci sono stati, spesso, imposti dall' alto, non finirebbero più. Ma le risposte potrebbero ancora essere e potrebbero essere state diverse se alla scuola fosse stato dato il tempo di discutere e di proporre cosa realmente le serviva per non creare "confusione"didattica e metodologica nel sovrapporsi di burocrazia e gestione al cuore: le classi. Chi è sicuro che l'ubriacatura di progetti e "organizzazione" non abbia creato sbandamenti e tensioni tra i docenti e nel lavoro con le loro classi, sempre in lotta con il dover terminare attività che non si ritenevano, in quel momento, necessarie, ma lo erano diventate, per concludere un progetto? Perché non si può anche proporre qualche alternativa a ciò che è successo della scuola? Nella mia grande scuola, sono anni che lavoriamo tutte/i suddivise/i in piccole commissioni che gestiscono ognuna, in modo snello, una parte del lavoro di organizzazione generale: non abbiamo mai eletto le funzioni obiettivo (votando all' unanimità per gestire la scuola come avevamo sempre fatto, e siamo veramente tante persone!). Ruotiamo tranquillamente nelle responsabilità come referenti dei laboratori, nel Consiglio di Circolo, delle quattro commissioni-aree dell'autonomia, in tutte le altre faccende... Finora abbiamo tenuto un unico punto fermo: il vicario. Probabilmente, a parte la stima che attribuiamo alla sua persona, per dar modo al dirigente di avere un punto fisso, ma non so di preciso il motivo, so che tutti gli anni, gli chiediamo di rimanere al suo posto di combattimento e lui accetta. Poveretto lui e grazie! Certo che nel mio Circolo abbiamo discusso molto anche sulla faccenda del POF: all'inizio ci sembrò un aggravio di burocrazia scritta, poi, siccome questo POF ormai andava scritto, lo facemmo in modo che dicesse nero su bianco che la nostra scuola si distingueva per l'assoluta libertà di ricerca, di scelta di metodologie e didattica, per la sua capacità di proporre strade differenti di valutare e progettare delle singole classi...Tutto il POF è permeato delle considerazioni relative alla voglia di tutta la scuola di non uniformarsi mai a un unico modello e di creare modi diversi di lavorare con le bambine e i bambini... E'un POF che non dà sicurezze (volutamente), ma dà la possibilità a tutti, docenti e famiglie, di confrontarsi anche per poi scegliere vie che "discordano" le une dalle altre...pur conducendo tutte a un unico obiettivo: crescere insieme in modo solidale, ma nel rispetto delle diversità di tutti: bambine/i, docenti, famiglie...! Nella mia realtà scolastica, soltanto da un anno, si fa una festa di tutta la scuola (ma neanche di tutta), non perché ci siano stati conflitti, semplicemente perché ogni team ha sempre progettato autonomamente percorsi che magari non "stavano" dentro un unico"contenitore", poi si è deciso per una festa in cui confluissero i lavori e le enormi diversità di percorsi, senza forzare nessuno ad aderire a un unico argomento...

Per ciò che riguarda la continuità, c'è una commissione che varia nella composizione di anno in anno proprio per dar modo a tutti i docenti di affrontare temi e personale delle altre scuole... Insomma è vero che siamo "figure" di tutta la scuola. Anzi, guai se non lo fossimo, guai se non fossimo tutte "figure" (nessuna esclusa!) che provano e si misurano con l'autonomia e le difficoltà di conduzione, guai se non lavorassimo affinché tutte/i abbiano nella scuola la possibilità di difendere la libertà di credere nella scuola e nelle classi, di poter contribuire in modo diretto a una gestione tanto complicata. A proposito degli aggiornamenti e di altre proposte per la formazione (Fortic, ad esempio, sarebbe dovuto essere esteso a tutti i docenti, anche su questo ci sarebbe molto da dire, vedremo poi anche i contenuti e le modalità dei corsi e speriamo che ci servano in futuro), anche questi ambiti sono gestiti da diverse persone e, prima di qualsiasi decisione, si discute insieme con le/i docenti impegnate/i nelle altre commissioni per trovare contenuti che siano graditi e che possano essere immediatamente di pratica ricaduta sulla quotidianità. Per ciò che riguarda quello che sui quotidiani e in altri "luoghi" si dice della nostra categoria, credo che il denigrare i docenti ormai sia diventato uno sport "sponsorizzato" da chi si occupa di media, come una volta si faceva con i carabinieri. Comunque è uno sport al massacro indotto anche dalle stesse affermazioni che ministero, politici, esperti, psicologi e psichiatri...si sono ostinati e si ostinano a fare sulla scuola e sul suo funzionamento, pur senza conoscere le tante scuole, le proposte alternative che emergono da esse, le diversità..., pur senza aver dato nulla di valido per risollevare le scuole in difficoltà. Chiudo qui, unicamente perché non ho più tempo a disposizione, ma è veramente bello poter parlare con voi!

Grazie e un abbraccio. Claudia Fanti

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29 dicembre 2002

Quanto mi fa piacere sentire che esistono persone (Onori, Claudia, Cristina...) che amano la scuola (come rapporto sincero con l'altro, con il bambino/ragazzo) come l'ho sempre amata io. Mi pareva di essere una mosca bianca ed invece . Be' sono contenta!

Ho sempre visto intorno a me persone che attendevano la fine dell'ora con il piedino pronto sulla porta, che non ti davano un minuto di disponibilità per parlare di un ragazzo neanche se pagavi il tempo a peso d'oro, se ti incontravi per strada ed il discorso cadeva su qualcosa che riguardasse la scuola storcevano il viso e dicevano ".non mi parlare di scuola" ed io pensavo:

" ma possibile che solo io sento il mio lavoro come missione? Che son pronta di domenica, durante le vacanze a mettermi a disposizione dei ragazzi perché sento di farlo, perché te lo richiede il loro bisogno di essere ascoltati, seguiti, capiti, sentono che loro sono importanti per te che li sai ascoltare, dunque ti cercano..?". I messaggi ultimi mi hanno riempita di gioia e mi hanno dato motivo di riflettere durante queste riposanti vacanze natalizie. mi hanno dato la sensazione che non si sia voltata pagina su "il maestro" del libro Cuore.

Angela

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30 DICEMBRE 2002

Cara Angela, carissimi tutti,

Non penso che il problema sia di missione o meno. Io sono molto meno idealista, il mio mestiere lo faccio per guadagnare il mio stipendio; in più, mi piace e mi appassiona e mi pare già tanto a questi lumi di luna. Quanto alla missione: è il mestiere, e basta, che abbiamo scelto, che impegna tutti noi docenti a fare come fai tu, cioè ad essere disponibili per i nostri ragazzi. Lo fanno già avvocati, ingegneri, commercianti, venditori di dentifrici e di PC, geometri, promotori finanziari e taxisti... lo dobbiamo fare anche noi. Il fatto poi che io, te, Claudia e altri troviamo in questo nostro mestiere una gratificazione e una gioia che altri non trovano è affare nostro e disgrazia loro; solo che essere sempre disponibili per gli allievi è un dovere essenziale per chisceglie questa professione. Gli altri sarebbe bene cambiassero mestiere (e allora dovrebbero essere lo stesso disponibili per altri soggetti o rassegnarsi alla disoccupazione). Diciamo anche che abbiamo un datore di lavoro abbastanza disinteressato alal qualità della nostra professione... ma qui il discorso si allarga.

Buon anno a te e ai listaioli tutti. Alberto Onori

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30 dicembre 2002

Carissimi listaioli, mi sembra che il discorso di Alberto e quello di Angela ( si tratta proprio di due persone diverse!) sulla contrapposizione mestiere-missione riveli che c'è coincidenza di concezione e dissenso sull'uso del vocabolario, evidentemente per i significati parassitari che ciascuno dei due termini porta con sé. Missione per l'insegnante sembra troppo elevato, retorico, sproporzionato nei confronti di altre professioni. Mestiere sembra troppo ulile, antiretorico, riduttivo nei riguardi di un'attività che possiede una sua intrinseca nobiltà, mai stimata e remunerata abbastanza, nella storia dell'Italia unita. Mi sembra che Alberto faccia quasi un uso linguistico del principio di sussidiarietà: non ricorrere ad un termine elevato, quando il significato che si vuole sottolineare è contenuto in un termine inferiore, di uso più comune e meno solenne. Di solito ci si assesta sul termine intermedio di "professione", che sembra insieme abbastanza democratico e abbastanza promozionale: non allude a insegnanti mestieranti, schiavi damnati ad pueros, ma a professionisti dotati di competenza specifica, di libertà di scelta di mezzi, responsabili dei risultati di fronte ai "clienti" e alla società che affida loro un compito delicato. Se però si va a grattare nell'etimologia, si scopre che mestiere viene da minus, come del resto ministro, che vuol dire servitore; mentre professione e professore hanno una radice comune, che consiste nel saper dichiarare pubblicamente qualcosa, e magari anche in difesa di qualcuno. Insomma il magister è di più, il minister di meno, il professor-professionista deve parlare chiaro, rispondendo ad un bisogno, e quindi avendo ascoltato qualcuno che glielo presenta, implicitamente o esplicitamente. E' insomma "vocato" da qualcuno: dagli allievi, dalla società, dalla chiesa, dallo stato, da Dio stesso. Professione in tedesco si dice Beruf, che viene da Rufen, che significa chiamare. Se colui che chiama non è l'in-fante che non sa parlare, ma colui che sa di più e che ci associa alla sua funzione magisteriale, allora si parla di missione. Vocazione e missione hanno a che fare con le radici teologiche una società che vedeva Dio come ragione della pensabilità, dell'accettabilità e della governabilità del mondo, e quindi anche di un'attività come quella del docente, che veniva associata alla sua opera creatrice e educatrice. Attività che noi oggi, in epoca di secolarizzazione, tendiamo a legittimare in termini sociali. Domanda: anche dopo la performace dantesca di Benigni, che ha ridato il senso del divino alle platee intorpidite dai quiz? Risposta: certamente, perché ci ha ricordato che anche il sublime poeta, quando parla di Dio, è come un "fante che bagni ancor la lingua a la mammella"(Par. XXXIII, 107-108). Dunque è più vicino al mestiere che alla missione. E' solo questione di prospettiva e di punti di vista. Onore ai maestri non mestieranti

Luciano Corradini

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30 dicembre 2002

Rispondo a luciano corradini ed amici della lista, almeno ci provo........non è detto che riesca a spiegarmi come vorrei..........anzi, scrivo nella totale incertezza .......... preciso solo che sto da anni tentando, con notevoli difficoltà ed incertezze, di seguire il pensiero di Morin che considero il mio maestro di vita e al quale devo la mia ri-trovata voglia di per-dermi nel sapere, nell'insegnamento, proprio in un momento, ancora una volta, molto delicato per la mia vita e per la scuola. dopo 15 anni da distaccata sono rientrata all'insegnamento con un passaggio dalla scuola elementare a filosofia, pedagogia, psicologia alle superiore. devo alle mie due terze la voglia di ri-cominciare. i ragazzi sono una fonte inesauribile di sapere, di apprendimento, di passione. il rientro a scuola mi ha dato una emozione che vi voglio comunicare subito ma che credo essere stata la molla di forza. dovevo ri-cominciare senza buttare una esperienza di senso vissuta per 15 anni e .......incontravo il nuovo.......le superiori...... mi sono detta" l'inizio non può essere che deviante e marginale e incompreso .......spero di disseminare solo idee che, forse, nel diffondersi, diventano forza efficace"( sono partita con questo pensiero il mio PRIMO GIORNO DI SCUOLA)..... Nei 15 anni di provveditorato e sperimentazione per un anno di c.s.a , mi sono resa conto che i problemi dell'educazione tendevano ad essere ridotti in termini quantitativ: più crediti, più insegnanti, meno materie in programma ,meno carichi. tutto ciò lo considero ora , come nelle mie riflessioni, necessario. c'è bisogno di più crediti, di più insegnanti. si deve rispettare anche un optimum in classe ,in modo che l'insegnante conosca tutti, soprattutto i più deboli e aiutare tutti, NON UNO DI MENO, nella loro singolarità. occorrono per questo riforme flessibili, alleggerimenti , pianificazioni. ma limitarsi a questo a questi cambiamenti non fa altro, così la mia esperienza sull'handicap ,mi ha insegnato in questi anni, un occultare ancora in modo più evidente , la necessità di una riforma di pensiero. di fatto gli attuali progetti di riforma ruotano intorno a questo buco nero che risulta INVISIBILE ai saggi presenti al ministero( sono troppi e , buona parte, molto poco saggi) laa riforma sarà visibile, così sempre il mio lavoro sull'handicap mi ha insegnato, quando le menti saranno riformate......... e qui arriviamo al buco nero :" non possiamo riformare l'istituzione senza aver prima riformato le menti, ma non possiamo riformare le menti se prima se prima non abbiamo riformato l'istituzione. la macchina dell'educazione è rigida indurita, burocratizzata. molti insegnanti sono insediati nelle loro abitudini, certezze, e sovranità disciplinari. c'è una resistenza ottusa al cambiamento , anche per le menti più raffinate che pensano di conoscere la, le, verità. la sfida è invisibile ai loro stessi occhi. la menti del resto lo sappiamo tutti sono per lo più formate secondo il modello della specializzazione( specializzazione del sostegno, della musica, del computer, dell'inglese, delle lettere....)la possibilità di una conoscenza che esorbiti dalla specializzazione ci sembra insensata, il regno degli specialisti del resto è il regno delle idee generali più fruste e la più frusta in assoluto è che non ci sia bisogno di idee in generale. questo significa anche , e qui è un altro blocco- sempre così mi ha insegnato la settorialità dell'handicap-la relazione tra società e scuola. questa relazione non è speculare ma ologrammatica, ricorsiva......ologrammatica perchè sia la scuola sia la società portano in sè la singolarità dell'una e dell'altra, ricorsiva perchè perchè la società riproduce la scuola che produce la società. allora........chiedo scusa .....arrivo alla MISSIONE , termine che io ho adottato nella scuola , nel senso " chi educherà gli educatori"...... il carattere funzionale dell'insegnamento riduce l'insegnamento a semplice impiegato. il carattere professionale dell'insegnamento porta a ridurre l'insegnamento all'esperto. i miei 15 dolorosi anni come distaccata sull'handicap mi hanno portata a credere, e con questo credo ho iniziato , non più giovane, il mio nuovo " inserimento, che l'insegnamento deve RI-DIVENTARE non più solo una funzione , una specializzazione,una professione, MA un compito di salute pubblica : una missione. UNA MISSIONE DI TRASMISSIONE . la trasmissione richiede certo competenza , una tecnica, ma UN' ARTE. richiede ciò che nessun manuale ( quelle guide che i nostri ispettori tecnici per guadagnare fanno tanto) SPIEGA, m a che Platone aveva aveva già individuato come CONDIZIONE INDISPENSABILE di ogni insegnamento :l'eros ,che è allo stesso tempo desiderio, piacere a amore , desiderio e piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per i ragazzi.. il piacere legato al dono e non al potere....... là dove non c'è amore non ci sono che problemi di carriera, ( motivo per il quale ho lasciato anche il provveditorato o c.s.a.-)di retribuzione ( motivo per il quale avrei continuato a restare in provveditorato perchè non mi interessava guadagnare di più nonostante le ore in più)di noia per l'insegnamento( motivo per il quale volevo sperimentarmi). certamente, come dice corradini, la missione presuppone la fede , io la intendo FEDE nella CULTURA e nelle possibilità della mente e del cuore.... ritengo la missione molto elevata e difficile , poichè presuppone nello stesso tempo , arte, fiducia, amore cioè : fornire una cultura che permetta di distinguere , contestualizzare ma anche globalizzare,affrontare problemi multidisciplinari , globali, fondamentali. preparare le menti ad affrontare le sfide che pone la conoscenza umana nella crescente complessità preparare le menti ad affrontare l'incertezza in continuo aumento , non solo facendo conoscere o parlare della storia incerta dell'universo , della vita, dell'umanità, ma favorendo l'intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore insegnare le affliliazioni delle nazioni alla loro storia , cultura cittadinanza e iniziare l'affiliazione al mondo insegnare la cittadinanza terrestre insegnando l'umanità nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturalicosì come di destino , CARATTERISTICA DELL'ERA PLANETARIA( termine spesso usato fuori luogo) nella quale gli uomini sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali( non con la multimedialità) non so se sono riuscita a dirvi ciò che sento: la scula missione dell'insegnamento, per me, significa la RI-NASCITA della cultura attraverso le connessione fra due ( più culture)e contribuire al RI-GENERARE una laicità e una democrazia " cognitiva" la laicità potrebbe problematizzare la scienza la scienza, la tecnica, la ragione opponendo ad una razionalità chiusa una razionalità aperta, problematizzare il progresso che dipende non da una necessità storica ma dalla volontà cosciente degli umani. una laicità di questo tipo non creerebbe, forse, le condizioni di un nuovo RINASCIMENTO? formare cittadini capaci di affrontare i problemi del loro tempo..... frenare il deperimento democratico.....che è suscitato in tutti i campi della politica dall'espansione dell'autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi che limita la competenza dei cittadini....del mondo... saremo sempre condannati alla competenza di coloro che si ritiene che sappiano , ma la cui intelligenza è miope perchè PARCELLIZZATA ED ASTRATTA. la democracazia cognitiva, mi pare sia possibile solo all'interno di una riorganizzazione del sapere che richiede una riforma di pensiero volta non solo a separare per conoscere ma anche ad interconnettere ciò che è separato e nella quale rinascerebbero in modo nuovo le nozioni frantumate dal frazionamento disciplinare .....certo , non è l'unica condizione questa missione .....ma mi pare la condizione sine qua non per uscire dalle barbarie.

grazie per l'attenzione. auguro a tutti un anno di tante cose interessanti fioretta

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31 dicembre 2002

Grazie al Prof. Corradini e a Fioretta Menta per i loro interventi che, andando oltre la descrizione dell'insegnante, tratteggiano i caratteri di un codice deontologico definito dalla persona stessa e non calato dall'alto Vorrei solo aggiungere due cose alla professione di insegnante, due aspetti che secondo me sono necessari oggi: insegnante come progettatore e costruttore di un percorso didattico (e qui si va anche nel discorso di altri impegni di progettazione e programmazione non connessi con l'insegnamento) Inoltre insegnante come tecnico dell'insegnamento;gli usi di tecniche e strategie sono importanti nella situazione di oggi, con la presenza di un disagio diffuso legato alla presenza di bambini stranieri; ad esempio il possesso di tecniche di gestione della classe, sperimentate in campo ,ci aiutano a fronteggiare situazioni difficili Tutto questo credo che comunque renda ancora piu' complesso il nostro ruolo di insegnanti L'aspetto nuovo emerso dalla nuova riforma e' il rapporto diretto tra maestro e scolaro, indispensabile per il successo formativo e l'idea di valore assegnato alla cultura di cui devono essere consapevoli i bambini Il successo della lettera di Hillman ne e' una prova Nell'home page di edscuola, oltre agli interventi di Claudia , segnalo una nuova lettera a Hillman

https://www.edscuola.it/archivio/ped/hillman.htm
https://www.edscuola.it/archivio/ped/hillman9.htm

marisa

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31 dicembre 2002

E' bellissimo l'intervento di Fioretta Menta, arrivano dritte al cuore il suo entusiasmo e la sua energia, la voglia di ri-cominciare, sempre, anche dopo una sconfitta. Anche per me Edgard Morin è stato un maestro e lo è stato anche, in altro modo, Richard Bach, quando mi trovo di fronte ad una nuova difficoltà sospiro e ricomincio daccapo e comincio dal volo orizzontale :"Il gabbiano Jonathan Livingston" ..".Hum . Dunque...E li scrutò con occhio critico...Allora cominceremo dal volo orizzontale....E quantunque cercasse di mostrarsi tutto serio e severo ai suoi allievi,...a un tratto, per un attimo, li vide come veramente erano, e sorrise: non soltanto gli piacevano, li amava. Quello che vide era molto bello....Era come l'inizio di una gara: aveva cominciato ad imparare." Già, ad imparare perchè:" nati non fummo a viver come bruti",( a proposito vorrei chiedervi se vi è piaciuto l'editoriale di Eugenio Scalfari di domenica così titolato, a me moltissimo). Il successo della lettera di Hillman era inevitabile, bellissime anche tutte le risposte, il rapporto insegnamento/apprendimento costituirà sempre un evento magico, di grande amore come qualsiasi accompagnamento in un percorso o in un viaggio, Beatrice che accompagna Dante, gli incontri... Di Hillman mi è piaciuto moltissimo "La forza del carattere" (Spero non legga Alberoni perchè lui sostiene che di un libro non si deve dire mi piace perchè esso non è un gelato"io, invece sostengo che "mi piace..e molto di più di un gelato..") Mi auguro ciò che dice Richard Bach "...La tarda età, anzichè indebolirlo, gli aveva conferito maggior vigore".

Cari auguri per un buon 2003 e perchè no, per un 2003 buono.

Anna Maria Cori

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1 gennaio 2003

Navighiamo tutti in un mare di incertezze e a volte troviamo arcipelaghi di certezze ma per essere sempre in mare aperto. è la nostra condizione di uomini:conoscere e pensare non è arrivare ad una verità assoluta,.è dialogare con l'incertezza che èil contrario di uno scetticismo generalizzato. è sforzarsi di pensare bene e fare con tutta coscienza ....scommesse.....che senza sosta lottano contro la menzogna e l'errore verso se stessi. scommettere non per gioco d'azardoo imprese pericolose.....la scommessa concerne gli impegni fondamentali della nostra vita.....e dell'insegnamento..... in questa lista, come in altre, forse, dobbiamo imparare ad essere consapevoli, di partecipare all'avventura dell'umanità che è, ormai con velocità accelerata, proiettata verso l'ignoto........ non so se ho risposto alla tua provocazione di prima sul " clima di famiglia....."qui io sento tutti incerti e sono convinta che è sempre stata la falsa certezza ad accecare i generali,i politici,gli imprenditori, i ministri e certi genitori o insegnanti......portandoli alla rovina..... per me che affronto le superiori dopo anni di distacco e proveniente dalle elementari la scommessa è l'integrazione dell'incertezza nella fede e nella speranza..... pensa alla scuola: tutto il nostro insegnamento tende al programma ,mentre la vita ci chiede strategia e, se possibile,serendipità ed arte......

ciao fioretta

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4 gennaio 2003

Alcune osservazioni sul dibattito a proposito della 'professione docente'.

Mi ha colpito il discorso del prof. Corradini.

Non ho capito se a sua opinione ho fatto bene o male a contrapporre la 'professione' intesa come 'mestiere' alla 'missione' di cui alcuni a buon diritto parlano. Esiste certamente una questione di ordine linguistico, diciamo retorico, sul tema: se iniziamo infatti a pretendere che tutti gli insegnanti si trasformino in missionari dotati di vocazione, come richiedeva anche don Milani che addirittura avrebbe preteso da loro persino il voto di castità di tipo sacerdotale (e la terminologia legata a 'missione' così viene spesso intesa) rischiamo di rendere la nostra attività un'attività per pochissimi eletti, e rassegnarsi ad una qualità circoscritta a pochi. Io l'intendo diversamente. Quello che fa Cristina, quello che pensa Angela, l'orgoglio mio nel vedere i miei ragazzi belli e superbi nelle loro divise blu fa parte del nostro obbligo di persone che lavorano con coscienza e che si compiacciono del successo dei loro allievi, che sono il loro pane. Insomma, come dico spesso, il merito è loro ma gli insegnanti siamo noi. Chi non sa gioire di tutto questo e non ci mette l'anima non è né reprobo né infame, semplicemente non è tagliato per guadagnarsi da vivere insegnando e secondo me sarebbe bene che cambiasse lavoro, trovandone uno che lo appassioni e lo coinvolga veramente. Non penso che sia questione di missione ma di passione: e quella ci vuole per tutti i lavori, dal più gratificante al più (apparentemente) umile e ingrato. La gioia di aver fatto un buon lavoro... io non saprei vivere senza, e penso che la differenza fra un buon lavoratore e un lavoratore e basta sia appunto una questione di passione: sentimento assai più alla portata dei comuni mortali di un concetto alto e impegnativo ed esigente ed assoluto di 'missione'.

Alberto Onori

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4 gennaio 2003

Se " missione" si intende trasmissione, trasmissione di cultura certo ........il nostro compito diventa più difficile e alto perchè dobbiamo riformare prima il nostro pensiero, qualità, saperi. Mi pare che investimenti sulla scuola, meglio sull'uomo, non ne siano stati fatti e si tenda a non cambiare pensiero, non fare riforme perchè fornire una cultura che permetta di distinguere,contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi ,preparare delle menti a rispondere a delle sfide poste dalla complessità, preparare ad affrontare incertezze in continuo aumento piuttosto che certezze ,educare alla comprensione umana per i vicini e lontani, insegnare la cittadinanza terrestre.........vuol dire porre l'uomo al centro e a confronto con i problemi di una comunità di destino che ci accomuna tutti. mettere al centro la problematizzione che interroga il mondo,la natura, la vita,l'uomo, dio, vuol dire integrare culture fino ad ora separate:la scientifica e l'umanistica...vuol dire quindi problematizare anche la scienza , il progressola tecnica e la ragione. per me questo significa imparare a formare cittadini capaci di affrontare i problemi. ma questo è possibile se si riorganizzano i saperi che vuol dire a sua voltanon solo separare per conoscere ma integrare ciò che è separato per ri-trovare le nozioni frantumate delle attuali discipline:l'essere umano, la natura,il cosmo,la realtà. missione nel senso di riarmarci intellettualmente per affrontare la complessità per affrontare le sfide dell'agonia, nascita del nostro essere tra due millennie per TENTARE di pensare i problemi dell'umanità nell'era planetaria. questo comporta una nuova concezione di SOGGETTO. a morin in video conferenza è stato chiesto: " ci dia un'idea per la riforma dei programmi" risposta......." amare, rispettare, vivere".............non poca cosa direi.......impegno grande ..dove , forse, non basta riformare una riforma per aggiungere o togliere pezzi o pezzetti,cicli,schemi, obblighi,crediti.........ma riformare la filosofia di fondo che regge l'impacaltura ma.......qui sono polemica e dura........ ,concedetemelo.........abbiamo bisogno di ben altri "saggi"........forse di esempi di vita......e le vite di certi" saggi"........... hanno poco a che vedere con i valori caduti in disuso........e non possono riformare la riforma!!! forse il problema interconnesso è" chi educa gli educatori"?

fioretta

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4 gennaio 2003

Caro prof Onori, La ringrazio per la ripresa dell'argomento. Non so se sarò più chiaro, ma ci provo. Volevo dire che le buone cose che voi dite e fate possono trovare ospitalità sotto tutte e tre le espressioni utilizzate nel dialogo, e cioè missione, mestiere e professione, anche se la professione è il termine oggi più utilizzato per qualificare l'attività del docente.. Gli insegnanti di fine Ottocento dipendevano dai sindaci, erano pagati pochissimo e potevano essere licenziati senza causa. Un insegnante di Sesto San Giovanni, affamato, vendette la "patente", cioè l'abiltazione, per un prosciutto.A questa modestissima condizione sociale corrispondeva però un riconoscimento elevato, forse consolatorio, ma spesso sincero (si pensi a Mazzini e a Gioberti), dell'indispensabile lavoro dei docenti. Questi dovevano infatti formare cristiani e cittadini italiani: erano come titolari di un apostolato (apostolo in greco significa mandato), ossia di una missione, voluta direttamente da Dio, dal Popolo, o dal Re. Regi ispettori e parroci non lesinavano questo riconoscimento ai docenti; e pare che questo rincuorasse e motivasse maestri e professori, fornendo loro una legittimazione elevata. Mio suocero, che imparò a leggere al fronte della prima guerra mondiale sulla Storia della letteratura italiana del De Sanctis, divenne poi maestro e vinse due concorsi, uno per fare il segretario comunale e uno per insegnare nelle scuole elementari. Scelse questa seconda strada, e aveva grande stima per il suo ruolo, apprezzato da tutto il paese. L'idea insieme cristiana e risorgimentale della missione corrispondeva spesso a una personale convinzione di svolgere quella funzione sociale per intima adesione, analoga a quella del medico e a quella del prete che, o amano il loro lavoro e le persone a cui si dedicano direttamente, o fanno una vita davvero grama. E per questo si sentono chiamati, vocati da un appello personale, cui sono contenti di rispondere. Non è un caso che ci siano oggi "medici senza frontiere", così come i "medici per la pace", che hanno ottenuto qualche anno fa anche un premio Nobel. Non è un caso che ci siano fra i missionari molti medici, preti e insegnanti; ma ci sono anche operai e artigiani e qualche ingegnere, perfino qualche industriale, non avvocati e notai, che io sappia.Il che non significa che non sia possibile vivere ogni attività in termini di solidarietà, di servizio, di attenzione empatica per le persone che vivono situazioni di bisogno, ma che le professioni che richiedono prolungata attenzione alle persone e personale dedizione sono più facilmente crcate o sopportate da persone convinte di realizzarsi attraverso la loro attività. Se questa idea della missione e della vocazione risponde ad una scelta personale, nessuno può sentirsi offeso. Albert Schweitzer non criminalizza il medico di base che, visitando e scrivendo ricette, si guadagna onestamente la paga sindacale: né, di per sé, criminalizza quello che avrebbe potuto essere anche lui: uno specialista superpagato con villa al mare. Se però questa idea della missione viene presentata come un modello, in nome del quale l'insegnante deve credere, obbedire e combattere, allora ci si ribella. Non solo si ribellano quelli che non si sentono investiti da un'elavata funzione salvifica, ma anche quelli che chiedono agli insegnanti comportamenti corretti, circoscritti entro limiti normativi, la cui efficacia sia verificabile. E' a questo punto che si diffonde il termine professione, a proposito dell'insegnamento e, con qualche incertezza, il termine professionista per il ruolo del docente. Sociologia, diritto, scienza dell'organizzazione forniscono criteri oggettivi, più della considerazione teologica o spirituale della società, che presuppone un'adesione personale.L'itinerario che si tratta di compiere nel nostro tempo è quello del dipendente comunale o statale, che passa da impiegato a professionista, pur restando a lavorare in una istituzione pubblica, come un medico ospedaliero. Ci sono, a questo proposito, problemi di definizione e di contratto, ma ancor prima e soprattutto di autopercezione e di assunzione di nuovi vincoli, nuove responsabilità e correlativamente, ma quasi sempre successivmente, se l'economia va bene, anche nuovi stipendi. La parola mestiere è più intersoggettiva e spendibile, nell'attuale mercato linguistico, della parola missione. Le medievali corporazioni di arti e mestieri facevano enfasi sull'opera da compiere più che sulla soggettiva motivazione a compierla. Oggi si parla ad competenze. Però è anche vero che insegnare nella scuola a diventare colti, liberi e reaponsabili, attraverso l'alfabetizzazione culturale, non è la stessa cosa che dipingere un quadro, aggiustare un rubinetto o fare un programma per il computer.Anche per fare queste cose occorre avere passione per il proprio lavoro, ossia in qualche modo amarlo. Mentre però uno può dipingere amando l'arte e la sua opera, anche a dispetto del suo committente, non si può amare il mestiere d'insegnante se non si amano in qualche modo anche i propri studenti. Il quadro insomma un insegnante non lo fa da solo.Resta il fatto che la passione, ossia l'amore per il proprio lavoro e per coloro che sono non solo i destinatari, ma anche i soggetti che in ultima analisi decidono dell'esito della didattica e della scuola, può anche subire variazioni nel corso del tempo e in relazione a diversi soggetti e a diverse circostanze. Per l'insegnamento più che per altri mestieri si parla di burn out, di bruciamento.La passione sorregge, ma talvolta può travolgere o può evaporare. Per questo occorre lavorare su se stessi, sulle proprie motivazioni, sul controllo razionale dei propri comportamenti, anche con lo scambio di idee, di esperienze e di giudizi fra colleghi. La deontologia professionale, di cui si parla talora senza convinzione e anzi con qualche sospetto, è proprio l'esplicitazione razionale delle intenzioni e dei comportamenti che un accettabile professionista dell'educazione scolastica, alias dell'insegnamento, è tenuto ad assumere per fare bene il suo mestiere, o, se si vuole, per esercitare bene la sua professione. La formulazione astratta di ciò che si deve fare non può prescindere da quello che si deve essere e da quello che si deve sentire e volere. Però è chiaro che "de interiore non iudicat neque ecclesia". E allora bisogna parlare in termini di disponibilità, di capacità, di inclinazioni, di abilità a compiere bene le operazioni connesse con l'insegnamento. Per fare l'attore si deve per esempio dimostrare di far bene un provino. E se poi non si tiene lo standard ritenuto accettabile per quell'arte, l'aspirante attore perde il posto. L'aritgiano deve fare il "capolavoro" prima di diventare maestro. Per l'insegnante non è così. Non sogno la precarizzazione dei docenti. Dico solo che si deve trovare una mediazione tra la rilevanza quasi solo scientifico disciplinare che si è data finora alle prove nei concorsi a cattedre e la rilevanza delle competenze di tipo relazionale, comunicativo, organizzativo, valutativo che competono a un insegnante che sia accettato e utile, e alla fine contento e appassionato per il suo lavoro.Per questo vale la pena di seguire le sorti dell'art 5 di quella che è stato il disegno di legge delega 1306, relativo alla formazione dei futuri docenti di scuole secondarie (e problema analogo si pone per gli altri docenti)."Malum, dicevano i medievali, ex quocumque defectu; bonum ex integra causa". Insomma vale la pena di vivere al meglio, ma anche di pensare nel modo più razionale e organico possibile, il tipo d'insegnante che serve alla società di oggi, anche per rendere questo compito più gratificante, o meno difficile, eroico o velleitario di quanto talora risulti a chi circola nelle scuole.

Luciano Corradini

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4 gennaio 2003

Mi piace che vi stiate occupando del problema che ho sollevato sulla missione/professione.

In termini schematici e realistici senza filosofie o quant'altro....

a.. io reputo il nostro lavoro importante perché abbiamo tra le mani vite in costruzione, che possiamo plasmare, forgiare che ci emulano e se avremo dato cattivi esempi, esempi di intolleranza, di indisponibilità, di intemperanze non so cosa possiamo avere in cambio da loro, se dormiremo sonni felici!!!
b.. Il mio principio è "dai rispetto se vuoi avere rispetto", tratta l'allievo come una Persona e sarai rispettato, ho (da preside) mille esempi di mancanza di rispetto da parte dell'allievo verso il doc., ....ma perché l'allievo si era sentito minacciato nel suo di rispetto dal doc.!
c.. una volta operato questo lavoro, a scuola potrai fare tutto ed ottenere tutto ciò che vuoi, perché ti sei guadagnato la stima dell'allievo, lui si fida e ti viene dietro come un bimbo bisognoso. Ma bisogna saperci stare con loro e non si impara tanto facilmente, un po' ti viene dall'esperienza, un po' è una dote naturale del docente "missionario".
d.. Sì forse tutti i lavori hanno bisogno di una carica passionale emotiva per far sì che vadano bene . ma il nostro è tanto importante, forse molto di più di quello di un infermiere/ medico in terra di missione, abbiamo a che fare con persone non bisognose di mangiare, di essere curate, di essere salvate, ma con persone normali che devono solo Crescere, devono solo Formarsi un carattere una personalità devono solo Diventare Cittadini del mondo . e vi pare poco? Passano tutti per la scuola, in questi grossi edifici un po' fatiscenti, un po' freddi a volte, tanti ragazzi(non dico tutti) passano il tempo a sporcare i muri ad incidere i banchi a fare scherzi di cattivo gusto e bisogna ricorrere al Preside per ogni stupidaggine, perché il doc non sa come fare per frenare le intemperanze la maleducazione la violenza a volte dei suoi allievi, l'allievo a volte lancia zainetti, qualche volta sedie o banchi e il professore guarda e non sa cosa fare!
e.. Mi domando: perché si pensa che la colpa sia della società, del mondo di oggi, della mancanza di valori, e invece non si rivolta la domanda a se stessi e ci si chiede: ma cosa sto facendo io per far sì che questo non avvenga? Cosa gli sto dando/non dando a quel ragazzo per far sì che lui si comporta così? Perché non mi rimbocco le maniche e trovo in me la soluzione? Nessuno può fornirmela. Solo lavorando con noi in noi possiamo trovare risposte. Non parlo così perché son preside, ma perché 27 anni di "lavoro sul campo", come docente (di scuola media), questo mi ha insegnato.

Grazie per l'ascolto
Angela Fedeli

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4 gennaio 2003

E' vero, prof. corradini, anche in questo caso bisogna pensare senza mai chiudere i concetti,di spezzare le sfere chiuse, anche di un termine,ristabilire arrticolazioni tra ciò che appare disgiunto,di pensare la singolaritàcon la località, la tempoiralità,di non dimenticare mai la totalità integratrice. se si ha il senso della complessità umana anche il senso dell'altro è multiplo, come multipli sono i significati. inizio in modo triviale ma rende l'idea" se voi chiamate criminale colui che ha commesso un crimine, distruggete tutto quello che ha fatto nella sua vita per ridurlo ad un crimine" ( hegel).... da quando ho recuperato,integrato anche il termine missione nel mio lavoro come costruzione e trasmissione di pensiero in effetti c'è stata una " riforma" anche della mia vita.e non mi pare poco.......l'integrazione di un termine che diventa stile, azione, quotidiano, atto giornaliero ha aiutato a trasformarmi.....a vedere meglio l'altro , a sviluppre processi di comprensione da soggetto a soggetto , non soltanto in modo oggettivista una riforma etica anche nella vita quotidiana .

ciò che a me pare chiaro è che noi insegnanti abbiamo obiettivi,in qualche modo questi obiettivi concernono il donare cultura agli studenti, agli adolescenti che stanno per affrontare il mondodel terzo millnnio,il loro mondo,ossia dare loro ciò che permetterà di contestualizzare, collegare, articolare,,di situarsi all'interno di una situazione ,di un insieme le conoscenze acquisite. uno dei concetti base della psicologia cognitiva, del resto,è che il sapere è pertinente solo se si è capaci di collegarlo all'interno di un contesto e che la conoscenza , anche la più sofisticata, smette di essere perrtinente se è tottalmente isolata. mi pare che ovunque regnino esperti , tecnici specialisti che affrontano problemi particolari,dimenticandi i grandi problemi. davanti a questa immensità problematica io mi sono trovata, lavorando sull'handicap in una struttura rigida come l'ex provveditorato ora altrettanto rigida come c.s.a., ad affrontare il problema di non sommare conoscenze ma di organizzarle. si dice giustamente che bisogna fare attenzione alle idee generali VUOTE ( anche il termine missione, preso singolarmente risulta vuoto) ma, anche gli spiriti più specializzati dimenticano essi stessi che possiedono idee generali sulla vita,sul mondo, su Dio,sull'amore, sulla società e che queste idee sono vuote prprio perchè esse stesse non sono state oggetto di riflessione e meditazione. mi pare che solo in questo modo possiamo riscoprire, come insegnanti,i problemi fondamentali che si pongono tutti i bambini e che son quelli della filosofia.( chi siam?, dove andiamo?quale è la nostra realtyà,da dove veniamo?) questo gruppo di problemi, riscoperto,dovrà collaborare con le varie discipline per interagirvi. una riforma del pensiero , del nostro ruolo e funzione deve venire anche da noi insegnanti e non dall'esterno e questo dibattito mi pare già un inzio buono.........disseminare è contaminare convinzioni, scardinare certezze.......forse è solo questo , e non è poco, per iniziare il cambiamento. cito la frase di un filosofo di cui taccio il nome "Occorre che il corpo insegnante si porti nelle zone più avanzate del pericolo che costituisce l'incertezza permanente del mondo", cioè .....non camminiamo su un sentiero tracciato,non siamo locomotive che viaggiano su binari,ma l'avvenire è assolutamente incerto ed è con l'inceteza che e attraverso l'incetezza che bisogna pensare. questo richiede anche una nostra autoerieducazione .......operare una rinascita anche dello stesso termine missione che aveva finito per dissolversi nella professione. una celebre frase di kant dice" l'educazione dipende dai lumi che a loro volta dipendono dall'educazione" esiste una circolaritàe alla fine la missione è una missione dei lumi ,portatori di un sapere che aiuti a comprendere e ad abbracciare la complessità del reale, proprio come il termine cui stiamo cercando di dare nuova voce . la rinascita di una missione è anche una rinascita di una fede nella cultura e nello spirito umano ed è questo che produce eros , anche se a volte bisogna risvegliarlo, come nelle coppie....... forse sono una utopista( " l'utopista accende delle stelle nel cielo della dignità umana, ma naviga in un mare senza port"C.Berneri).... ma sono convinta che la triplice rinascita dell'amore, della missione, e della fede potrà contribuire a formare i cittadini del terzo millennio . siamo solo ai preliminari di un inizio.......c'è un certo numero di cose che dobbiamo radicare nelle nostre coscienze ,vale a dire radicare la nostra coscienza stessa più profondamente di quanto lo sia. allora, forse, avremo , contemporaneamente dei rapporti più civili e più ospitali con gli altri......anchecon il nostro lavoro......ma è .........UNA PROSPETTIVA........è cercando l'impossibile che in fondo l'uomo ha trovato IL POSSIBILE ,coloro che che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva lorocome possibile non hanno mai avanzato di un passo. meravigliosamente possibile e utopistico pensare chela riforma del pensiero, della scuola possa avvenire attraverso l'educazione? e anche le nostre dispute di lista?

fioretta

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4 gennaio 2003

Non so se il mio lavoro sia una missione, una professione, un mestiere... Credo che sia l'insieme di tutte e tre le cose. Ho la sensazione che a mano a mano che si invecchia divenga sempre più una missione...forse perché si intuisce quanto sia importante non essere "soli", non lasciare che nessuno sia "solo"nel rapporto con la realtà, nella quotidianità, nella giungla di notizie, messaggi, cronache, stimoli...una missione supportata dalla consapevolezza che non si possono trovare risoluzioni strategiche che vadano bene per tutte/i, che si è al servizio di...che le nostre capacità, la nostra esperienza, le nostre conoscenze...ci possono servire, ma non devono indurci a pensare di non essere rivedibili...

Da un certo punto di vista è vero che rispettare l'alunna e l'alunno come persone è importante. Sicuramente lo è. Ma non basta proprio. Anche insegnanti molto "rispettose/i" dell'altra/o possono non essere efficaci, nonostante dedichino tutto il loro tempo alla scuola... Insegnare per lasciare il segno, per stimolare ad apprendere anche in situazioni eventualmente negative (cioè sempre e nonostante tutto!), per fare in modo che chi è più giovane di noi sappia diventare autonoma/o anche senza di noi, non è indubbiamente un'opera facile. Ritengo che non bastino il rispetto e neppure la stima. "Comunicare con l'anima"è difficile ovunque: in famiglia, in compagnia di amici, nell'associazionismo, in gruppi di persone che ci siamo scelti,che ci conoscono e conoscono il nostro modo di gestire, di sorridere, di arrabbiarci, di chiuderci e aprirci... Insomma, noi crediamo di essere trasparenti nella comunicazione mentre la attuiamo, ma sovente, invece, siamo completamente opachi... Allora? Allora è necessario imparare anche l'arte del comunicare la nostra stima e il nostro rispetto...ed è un'impresa non da poco, visto che le cronache sono dense di avvenimenti, addirittura tragici, nati da disturbi della comunicazione! Inoltre, insegnare a tutte/i, ma proprio a tutte/i, offrire solide basi per le conoscenze su cui costruire il futuro, a un numero alto, possibilmente vicino al cento per cento, di persone, richiede un'abilità non da poco: quella di saper utilizzare le proprie competenze relazionali, didattiche, metodologiche...in modo assolutamente duttile e creativo, senza dire mai "questo successo lo metto da parte per riutilizzarne il percorso che mi ha permesso di conseguirlo", senza dire mai "ho fatto tutto ciò che ho potuto"(non è facile! Altro che un mestiere!) Entrare ogni mattina in aula con una buona disponibilità è sicuramente fondamentale, così come l'essersi preparati, ma indubbiamente vale fino a un certo punto, se non si posseggono doti ( non solo naturali!), di pazienza, capacità di attesa, di flessibilità nella disponibilità a modificare i propri piani, progetti...Si può andare in tilt per poco, quindi ogni insegnante dovrebbe sapere quali sono i propri punti deboli senza temerli e senza colpevolizzarsi (anche il "non colpevolizzarsi"è un'arte che si "impara"con grande difficoltà: molte insegnanti-donne sanno benissimo quanto sia difficile! E quanto incida negativamente nei rapporti umani il sentirsi vittima o colpevole fin da bambine), proprio per saperli gestire in modo vincente, "voltandoli"al meglio, rendendoli quasi "virtù pedagogiche";cioè facendone partecipi le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, collocandosi, quando occorre, "nell'angolo delle scope" insieme con loro, le/i quali sanno benissimo, vista la loro situazione di chi sta cominciando, per età, a "indagare" su di sé, quante e quali siano le pulsioni "umanissime" da dominare e correggere!... Poi, a parte il sé dell'insegnante in relazione con...c'è la questione, per me vero punto di forza, di un "buon insegnamento", del far "vivere"le lezioni in modo dialogico fra i diversi "sé" delle alunne e degli alunni con la collaborazione dell'insegnante... Saper gestire, organizzare tale "dialogicità"non è immediato, va appreso con lo studio e l'aggiornamento continuo, eppure è la base da cui partire per qualsiasi apprendimento. Non temere la confusione della circolazione di idee, non stoppare gli eventuali errori, o, peggio, prevenirli sono "azioni pedagogiche" di vitale importanza e decisive per "attaccare" una visione "verticale" dei rapporti umani, per sconfiggere il disimpegno, le difficoltà d'apprendimento, addirittura per "ricucire gli strappi" procurati alle persone da digrafie, dislessie...trascurate, per tenere le classi in continua "fibrillazione" intellettuale, "apprenditiva", in continua "ansia" positiva del voler tornare il giorno dopo in classe, a misurarsi con quelle e con quei compagne/i con cui il giorno prima si è iniziato un lavoro, per apprendere, nel confronto, a volte scontro, costruttivo di ipotesi... Insomma, per non tenerla troppo lunga, bisognerebbe dare più spazio alle alunne e agli alunni, farle/i sudare intorno alle ipotesi di procedimenti e di soluzioni dei problemi, facendole/i misurare continuamente con la loro intelligenza al lavoro, in movimento...non temendo di perdere noi la "centralità", perché comunque è una falsa centralità quella dell'insegnante che disquisisce, anche se con tanto amore, anche se su nobili argomenti...

L'insegnante-centro della lezione, solitamente, "perde" proprio quelli che "ama" di più, quelli che "hanno più bisogno"...E a questo punto, bisognerebbe aprire il discorso sul "linguaggio", sulla "parola", che, quando sono l'unica (o la più usata) modalità di approccio ai concetti, ai contenuti, alla narrazione...diventano frustranti per docenti (che si sentono, ovviamente, incompresi) e alunne/i che non li capiscono o, peggio, li travisano completamente... Mi scuso tanto per la lunghezza del discorso...Ringrazio tutte/i per l'attenzione e per gli stimoli preziosi che si ricevono sempre su questa ml, sono talmente tanti e di diverso tipo che ci si sente quasi in imbarazzo a non poter sempre intervenire! Un caro saluto a tutte/i, anche a Paola Capozzi, di cui leggo sempre con grande interesse e ammirazione gli interventi su edscuola.

Claudia Fanti

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CONCLUSIONI

Si conclude la prima parte: ne esce l'immagine di un insegnante dotato di passione e senso pratico, che sente la necessita' di un rapporto quotidiano con i bambini basato sul rispetto reciproco ; un insegnante che ritiene inoltre il rapporto insegnamento/apprendimento come evento utile e magico , a cui corrisponde il proprio ruolo nella societa' tra ricerca del nuovo e consolidamento di buone esperienze del passato


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