Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

Ricerca

 

RAPPORTO BERTAGNA

3

UN SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO PER LA FORMAZIONE INTEGRALE

Non si può pensare alla riforma della scuola restando legati ai modelli organizzativi del passato

Occorre realizzare una scuola unitaria ma personalizzata

 

Umberto Tenuta

Forse la maggiore difficoltà della Riforma della scuola nasce dai soffocanti legami col passato che continuano a persistere nel momento in cui si vuole costruire la scuola del futuro.

Al riguardo, sembrerebbe che ci si debba trovare tutti d’accordo nel ritenere che la nuova scuola sia la scuola che assicura a tutti i cittadini il <<pieno sviluppo della persona umana>>, la piena formazione nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali, e che questa formazione intende assicurarla a tutti i cittadini, senza distinzione non solo di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche ma anche di censo, di provenienza sociale, di condizioni personali e soprattutto di presunte dotazioni genetiche, pur nella disposizione a prendere atto che, una volta assicurata l’uguaglianza delle opportunità formative, i risultati potranno essere, anzi saranno, certamente diversificati.

Tuttavia, la disponibilità a riconoscere la diversificazione dei punti di arrivo può essere giustificata solo a condizione che ci sia stato un impegno serio, qualificato, avviato tempestivamente e portato avanti per tutto il corso della scuola per la formazione di base.

La nuova scuola non può che essere la scuola per la formazione di base, una scuola formativa, e non selettiva: una scuola che si impegna sin dai tre anni di età a promuovere il <<pieno sviluppo della persona umana>>.

Anzi, può che una scuola, un sistema formativo integrato, un sistema formativo che coinvolge tutte le agenzie formative, dalla famiglia alla società tutta.

Innanzitutto, una scuola per la formazione di base, una scuola che supera tutte le distinzioni storiche, che dal 1960 continuano ancora a considerare la scuola dell’infanzia come scuola della socializzazione, preparatoria, fuori del vero e proprio sistema formativo, e come tale non obbligatoria: contraddittoriamente non obbligatoria, nel momento in cui si prende atto che la formazione della personalità si attua soprattutto nei primi anni di vita.

Ma una scuola per la formazione di base che include pienamente anche la scuola secondaria, a cominciare dalla scuola media, la quale però, anche dopo il 1962, continua ostinatamente a rivendicare il blasone della secondarietà ereditato dai tempi lontani in cui costituiva la scuola soprattutto di coloro che per censo e classe sociale venivano considerati "capaci e meritevoli".

Forse la maggiore difficoltà della riforma nasce soprattutto dall’anacronistico arroccamento della scuola media in una secondarietà che è l’emblema della selezione sulla base della classe sociale di provenienza, reclamata anche senza distinzione di collocazione politica, nell’ambito di una società che nella Costituzione repubblicana vede chiaramente affermati i principi dell’uguaglianza dei cittadini.

Si dirà che la tradizione ha la sua forza, ma in una società in rapida trasformazione non si può non guardare al futuro di una società che avrà possibilità di sopravvivere solo se si aboliscono le barriere che dividono i popoli delle diverse nazioni ed i cittadini dei diversi paesi, non solo sul piano economico.

Dovrebbe apparire scontata, ovvia, ineludibile la prospettiva di una scuola per la formazione di base unitaria, all’insegna della continuità educativa, anche e soprattutto dopo le esperienze degli istituti comprensivi.

Non si possono, da una parte, esaltare le esperienze degli istituti comprensivi e poi continuare a mantenere le barriere storiche tra la scuola dell’infanzia, la scuola elementare e la scuola media.

L’inclusione dei primi anni della scuola secondaria nella scuola dell’obbligo dovrebbe portare al superamento della netta distinzione tra scuola per la formazione di base e scuola secondaria.

Peraltro, al superamento della netta distinzione dovrebbe portare anche la consapevolezza che l’educazione non si conclude più nell’ambito dell’età evolutiva, come avveniva nel passato, quando era possibile assegnare un ruolo specifico alla scuola dell’infanzia, alla scuola elementare, alla scuola media ed alla scuola secondaria. Oggi si ha la piena consapevolezza che l’educazione è un processo che si estende per tutto il corso della vita (lifelong learning) ed è un processo che non si realizza solo dentro la scuola.

Né la scuola media, né la scuola secondaria possono assicurare le competenze di cui i giovani avranno bisogno per entrare e per restare nel mondo del lavoro. Nessuna scuola può assicurare le competenze necessarie per affrontare le esigenze del mondo del lavoro, esigenze che si fanno sempre più specifiche e che sono soggette a rapidissima obsolescenza.

In particolare, la formazione professionale deve essere sempre meno specializzata e sempre meno specifica. Si impone sempre più l’esigenza di una formazione che sia formazione generale. Lo ha reclamato con forza, a Mantova sin dagli anni ’80, a nome dell’industria, Giovanni Agnelli.

Quale la conclusione da trarre?

Si ha bisogno di una scuola per la formazione di base, di base non più alla formazione scolastica successiva, ma di base all’educazione permanente (lifelong learnig).

Il destino della scuola sarà sempre più quello di assicurare la formazione di base: una formazione che sia alla base, non delle scuole successive, ma del processo della formazione continua.

Assumere questa consapevolezza significa prendere atto che la scuola ha sempre meno bisogno di suddividersi, di specializzarsi, di rivendicare diversificazioni di ruoli e di funzioni.

Pertanto, si deve pensare soprattutto ad una grande scuola per la formazione di base che abbia inizio nella scuola dell’infanzia e che termini alla fine dell’obbligo.

Il che però non significa che questa scuola operi all’insegna dell’uniformità né sul piano delle mete formative né sul piano dei percorsi apprenditivi, che debbono essere invece entrambi sempre più personalizzati.

Il modello di scuola che si evince dal Regolamento dell’autonomia scolastica di cui al D.P.R. 275/1999 sembra configurarsi, in tale prospettiva, come un modello di scuola flessibile, ma flessibile non tanto in riferimento alle esigenze delle realtà locali quanto in riferimento alla esigenze delle realtà personali, cioè un modello di scuola personalizzata (1).

Personalizzata innanzitutto negli obiettivi formativi: da una parte gli obiettivi formativi generali, uguali per tutti gli alunni, in quanto intesi alla formazione dell’uomo e del cittadino; dall’altra gli obiettivi formativi integrativi per promuovere le identità personali, sociali, culturali e professionali dei singoli alunni.

Ma personalizzata anche nei percorsi apprenditivi in modo da consentire ai singoli alunni di apprendere secondo i propri livelli, i propri ritmi ed i propri stili personali, condizione indispensabile per assicurare il successo formativo a tutti gli alunni.

Tuttavia, la personalizzazione va realizzata anche in riferimento alle agenzie formative.

La formazione della personalità non si è mai realizzata e non si realizza mai tutta nella scuola.

Solo una scuola illuministica, intenta esclusivamente alla formazione cognitiva, poteva ritenere di farsi carico da sola della formazione, la quale invece coinvolge tutte le agenzie formative, a cominciare soprattutto dalla famiglia.

Peraltro, oggi più che mai, anche sul piano cognitivo, l’istruzione e la formazione si attuano sempre più anche fuori della scuola.

Peraltro, oggi si riconosce che la formazione deve essere integrale, deve mirare a tutte le dimensioni della personalità, e anche per questo deve coinvolgere unitariamente tutte le istituzioni educative.

In tale prospettiva, si pone l’esigenza di un sistema formativo integrato, quale risulta delineato nel Regolamento dell’autonomia scolastica e nel Rapporto Bertagna del 28.11.2001.

Non più la scuola come turris eburnea, hortus conclusus, istituzione separata dal contesto socioculturale, ma la scuola che interagisce con tutte le altre istituzioni educative, nell’ambito di un sistema formativo integrato.

Nel momento in cui l’azione formativa della scuola si integra con quella di tutte le altre agenzie educative, evidentemente la scuola cessa di svolgere un ruolo educativo totalizzante, occupando tutto il tempo educativo, tutta la giornata. Era stata questa la pretesa totalizzante della Scuola a tempo pieno negli anni ’70, una pretesa che nasceva dall’assolutizzazione di un’esigenza fondata qual era l’impegno del decondizionamento socioculturale. Ma l’esigenza del decondizionamento riguardava solo una fascia della popolazione scolastica, costituita dai ceti socioculturali più svantaggiati, per i quali si rendevano necessari interventi compensativi.

L’errore è stato quello di aver voluto estendere la Scuola a tempo pieno a tutti gli alunni, a coloro che avevano bisogno di interventi compensativi, a coloro che avevano bisogno di interventi di recupero e di sostegno ed a coloro ai quali bastavano i tempi normali o addirittura tempi brevi.

Pur dopo l’inevitabile fallimento della Scuola a tempo pieno, non tanto nella sua fondata esigenza, quanto nella sua pretesa di costituire la scuola di tutta la popolazione scolastica, si è continuato nella stessa logica prevedendo il tempo lungo della scuola media e della scuola elementare modulare.

In particolare, si è commesso il gravissimo errore di aver preteso, anche se con scarsi risultati, di estendere i rientri pomeridiani a tutti gli alunni.

E, purtroppo, si continua in questa errata concezione di una scuola uniforme per tutti gli alunni anche nei tempi, continuando a invocare la Scuola a tempo pieno ed i rientri pomeridiani (ovvero momenti pomeridiani, nel caso di presenza della mensa scolastica).

Anche se ormai si ha la piena consapevolezza che gli alunni hanno ritmi diversi di apprendimento, si continua a pretendere che i tempi scolastici siano uguali per tutti gli alunni, sia per gli alunni in situazione di handicap, sia per gli alunni svantaggiati, sia per gli alunni che non sono né in situazione di handicap, né in situazione di svantaggio socioculturale. Si rivendicano tempi uguali (le stesse annualità scolastiche, gli stessi calendari e gli stessi orari) anche per gli alunni che presentano ritmi veloci di apprendimento e che pongono l’esigenza di una didattica breve.

Occorre invece prendere atto che il fondamentale principio che deve stare a base della riforma della scuola è quello della personalizzazione educativa e didattica: non solo la personalizzazione degli obiettivi formativi per riconoscere e promuovere le diversità, in termini di identità personali, sociali, culturali e professionali, ma anche la personalizzazione dei percorsi apprenditivi nei tempi e nelle metodologie educative e didattiche.

In tale prospettiva, appare comprensibile la proposta di una riduzione dei tempi scolastici obbligatori contenuta nel Rapporto Bertagna del 28.11.2001 e la previsione di tempi aggiuntivi, integrativi, opzionali, da utilizzare a seconda delle esigenze dei singoli alunni.

La scuola deve assicurare la formazione generale, di base, comune a tutti gli alunni. A questo fine va individuato un monte ore obbligatorio per tutti gli alunni, mirato alla formazione generale, sul piano cognitivo, ma anche e forse soprattutto sul piano socioaffettivo, ai fini dell’educazione alla convivenza democratica.

In aggiunta a questi tempi vanno poi previsti tempi differenziati a seconda delle esigenze dei singoli alunni.

Innanzitutto, i tempi più distesi, più lunghi, per gli alunni in situazione di handicap, la cui educazione richiede competenze specialistiche scolastiche non facilmente reperibili fuori della scuola. Agli alunni in situazione di handicap la scuola deve assicurare il tempo pieno, anche se si pone l’esigenza di realizzare l’integrazione degli interventi scolastici con quelli specialistici di competenza delle ASL.

Ancora, si richiede il tempo pieno per gli alunni svantaggiati che hanno subito gravi condizionamenti socioculturali ed hanno perciò bisogno di interventi compensativi.

Dagli alunni svantaggiati vanno però distinti gli alunni extracomunitari che non sempre si presentano svantaggiati sul piano dello sviluppo cognitivo, anche se hanno bisogno di interventi specifici soprattutto per l’apprendimento linguistico.

Ma si distinguono soprattutto gli alunni che non sono in situazione di handicap e di svantaggio socioculturale ma che hanno bisogno di rimanere più a lungo a scuola, in quanto ambedue i genitori sono impegnati per tutta la giornata.

Evidentemente, per queste categorie di alunni si richiede un’integrazione dei tempi scolastici, ma un’integrazione differenziata, diversificata nelle durate e diversificata nelle attività educative e didattiche.

Anche nel Regolamento dell’autonomia scolastica è prevista la flessibilità dei tempi scolastici, ma è soprattutto nel Rapporto Bertagna che questo discorso si fa più esplicito, anche se ha bisogno di essere meglio precisato nel senso da noi indicato, al fine di evitare le lamentele che vengono fatte e che potrebbero apparire fondate, in quanto viste in ottiche particolari.

Ridurre i tempi obbligatori, come si propone nel Rapporto Bertagna, non significa ¾ non dovrebbe significare¾ ridurre i tempi formativi, ma personalizzare i tempi e le opportunità formative nel rispetto delle esigenze dei singoli alunni.

Evidentemente, non basta la personalizzazione dei tempi: occorre realizzare anche la personalizzazione degli obiettivi formativi e soprattutto occorre realizzare la personalizzazione dei percorsi apprenditivi, nella prospettiva della realizzazione di una "scuola su misura", la sola capace di assicurare il successo formativo inteso come piena formazione della persona umana e di assicuralo a tutti gli alunni, nell’ambito di una scuola che si configura essenzialmente come scuola per la formazione di base, perché intesa, non a prendere atto dei "capaci e meritevoli", ma ad organizzarsi e ad operare perché tutti possano divenire "capaci e meritevoli": una scuola che si impegna ad assicurare il <<massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti>> (Letizia Moratti).

 

È questo l’impegno di una effettiva riforma: realizzare una scuola capace di garantire a tutti gli alunni il successo formativo, così come si prevede nel Regolamento dell’autonomia scolastica.

Perché il successo formativo, inteso come piena formazione della persona umana, possa essere assicurato a tutti gli alunni, è necessaria una scuola che per tutta la sua durata si impegni, non a prendere atto delle potenzialità formative che, come si ribadisce nel Rapporto Bertagna del 28.11.2001, discendono soprattutto dai condizionamenti sociofamiliari, ma a realizzare il decondizionamento socioculturale e ad offrire ai singoli alunni le opportunità educative più adeguate, in termini di tempi, di strategie e di tecnologie educative, di modelli organizzativi flessibili.

Sarebbe estremamente utile che questo impegno fosse il luogo d’incontro di quanti sono sinceramente convinti che le esigenze della persona umana sono prioritarie e ad esse vanno subordinate tutte le altre esigenze, siano esse quelle sociali e politiche, siano esse quelle del mondo del lavoro, che oggi invece sembrano le uniche ad essere prese in considerazione, anche da parte di chi afferma di parlare a nome della persona umana.

 

Note

1 In merito cfr.: TENUTA U., La flessibilità della scuola e la centralità degli alunni, ANICIA, Roma, (in corso di pubblicazione).


La pagina
- Educazione&Scuola©