___________________________________________________________

I M P A R A R E   A   C O M P R E N D E R E  IL  M O N D O

2

____________________________________________________________

SALVATORE  BINI
binisa@tiscalinet.it

____________________________________________________________

 

IMPIANTO FORMATIVO E  INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE NELLA SCUOLA DI BASE

 

 

 

 

 PARTE    SECONDA  :   L A    M E T O D O L O G I A

 

 

«Tutto nelle ricerche sperimentali

dipende dal metodo,

poiché è il metodo che dà i risultati.

Un metodo nuovo

conduce a risultati nuovi;

un metodo rigoroso

a risultati precisi;

un metodo vago

non ha mai condotto che a risultati confusi»

   MARIE JEAN PIERRE FLUORENS 

 

 

«La grande forza degli insegnanti è nell’esempio

che essi possono fornire di curiosità,

di apertura mentale, di disponibilità a sottoporre a verifica

 le loro ipotesi e a riconoscere eventuali errori;

soprattutto essi devono trasmettere amore per il sapere»

   JACQUES DELORS

 

 

1.  L' APPROCCIO ALLA  REALTA'

 

 

La metodologia della ricerca scientifica altro non rappresenta se non il modo con il quale  noi cerchiamo di avvicinarci alla realtà e di afferrarla. Ma, non sarebbe possibile cogliere la realtà se prima non abbiamo una idea di ciò che esattamente essa sia. E' sulla base della sua definizione  che sarà poi possibile costruire le strategie e le vie più adeguate e più efficaci per la ricerca.

Gli sviluppi più recenti della scienza mettono in risalto, in maniera univoca, seppure espressa da  una diversità di presupposti e di punti di vista, una particolare dimensione della ricerca sulla realtà. Questa non può essere tutta circoscritta nell'ambito della osservabilità e della manipolabilità, come non può essere spiegata facendo riferimento  soltanto ad una dimensione che la trascende e che la riporta ad un principio o ad  un ordine superiore.

Da qui le "teorizzazioni", ovvero quel sistema conoscitivo che l'uomo costruisce, attraverso il quale la realtà viene osservata, come riflessa in un sistema di specchi: noi guardiamo la realtà attraverso le ipotesi e le teorie che  ce la rappresentano.

Esiste, allora,  anche una realtà "teorizzata", "postulata" e ancora non "isolata" per l'analisi e l'osservazione, e non per questo  essa perde la sua connaturazione di "realtà" a tutti gli effetti.

Il riferimento diretto che qui potrebbe farsi  è alla nuova fisica che, non soltanto è riuscita a superare definitivamente l'approssimazione ed il "senso comune", ma, grazie alla teoria quantistica iniziata da MAX PLANCK, ha finito col distruggere definitivamente la connessione causa-effetto su cui la vecchia fisica si costruiva e, grazie alla teoria della relatività di ALBERT EINSTEIN, ha proceduto a rideterminare l'impostazione dello spazio-tempo, liberandola dai vincoli dell'assolutezza del passato.

Le due fondamentali rivoluzioni della fisica, la teoria quantistica e  quella della relatività, rileva PAUL DAVIES, hanno fatto inesorabilmente cadere "in preda all'oblio" quella «vecchia visione del mondo di un universo razionale e meccanicistico, ordinato da rigide leggi di causa ed effetto»[1]  ed hanno sollecitato nei fisici l'immaginazione e la creatività, connesse alle ipotesi ed alle teorie, che si sono affiancate alla logica dell'osservazione.

La conseguenza diretta di questa situazione, dal punto di vista metodologico, è che il metodo scientifico, seppure resti sempre fondato sull'osservazione e sulla sperimentazione, si avvale anche di procedure concettuali, di inferenze logiche e di ipotesi e teorie che postulano dei principi e degli assunti che al presente possono anche non essere concretamente dimostrati, ma non per questo si vieta ad essi di essere postulati od anticipati a livello di ipotesi. Così, ad esempio, sempre per restare all'interno della fisica delle particelle, si è verificato per i postulati dell'antimateria e della composizione dei terzetti o delle coppie dei quark-antiquark[2] .

Non esiste più la "realtà in sé", come quantità definita in rapporto ai due concetti classici del "pieno" o del "vuoto", le cui radici affondano nella prima metafisica dell'essere - non essere della filosofia presocratica ed i cui sviluppi portano alle più recenti visioni neo-positivistiche del mondo.

Se rileggiamo le tesi dell'atomismo  classico alla luce della fisica moderna ed, in particolare, alla luce dei riferimenti alle teorie che introducono il modello del "campo" di forze, applicato nelle varie dimensioni, grandi o piccole che siano (dalla gravità universale alla forza elettrodebole), ci accorgiamo che non ci troviamo più in presenza di un mondo "materiale", "concreto"  o "pieno", con il quale siamo stati per il passato abituati a confrontarci. Il mondo nuovo delle particelle subatomiche va riducendo sempre di più i suoi caratteri di materialità e di osservabilità e, seppure non abbia ancora perduto del tutto la sua conformazione di "realtà fenomenologica", si colora sempre di più di una patina di "metarealismo"[3].

Siamo in presenza di un vero e proprio stravolgimento nella definizione dei paradigmi che per il passato hanno contraddistinto il concetto di materia e di realtà.  Due erano le principali variabili che potevano segnare i tratti della materialità su cui veniva costruito il metodo sperimentale: il concetto di "vuoto" ed il concetto di "oggetto solido". L'uno e l'altro venivano utilizzati per  demarcare   la realtà ( per Cartesio: res cogitans e res extensa ) ed i campi della conoscenza "scientifica". Altre ipotesi che andavano verso soluzioni unificanti, come ad esempio quelle proposte da HENRI BERGSON o da PIERRE  TEILHARD DE CHARDIN, venivano considerate, fino a ieri, poco scientifiche, più interessanti il campo estetico  e poetico o, comunque, riservate unicamente all'esperienza soggettiva del ricercatore.  Con la fisica delle particelle ci accorgiamo che  esiste una "materialità non visibile", che è quella  delle realtà elementari che «non si comportano assolutamente come se fossero delle particelle solide»  e che «sembrano comportarsi piuttosto come delle entità astratte»[4].

Nel loro campo non possiamo ancora penetrare, data l'impossibilità di oltrepassare al presente quel "muro" o quel "tempo" di Planck, vera e propria demarcazione tra il conoscibile e l'inconoscibile[5].

Esiste una realtà primordiale che viene postulata e giustificata sul piano logico ma non può essere ancora sperimentata od osservata sul piano concreto, dati i limiti oggettivi alla nostra conoscenza.

Si rompe la connessione realtà-solidità, prima garantita dalla pienezza, sebbene microscopica, dell'atomo. Le dimensioni dei "quark", le entità di base  più piccole individuate finora nella struttura primordiale della realtà, sono impressionanti e difficili da poter immaginare: 10 elevato a -18 metri!   In una grandezza fisica del genere non è più possibile parlare di "realtà in termini pieni", quanto piuttosto di astrazioni e di costruzioni matematiche. 

Tutte le particelle subatomiche conosciute, rileva GRICHKA BOGDANOV, «non sono dei piccoli granelli di polvere.  Sono piuttosto...delle tendenze a esistere, o,anche delle correlazioni tra osservabili macroscopici»[6].

Cade anche  il concetto di vuoto assoluto, che per il passato è servito per definire in talune visioni del mondo il pieno, il concreto, il reale. Qui il contributo ci è venuto dalla fisica dell'"infinitamente grande", cioè dall'astrofisica.

Le teorie del "big bang" e del "big crunch"[7] , che indicano due  "singolarità" particolari che si presentano, rispettivamente, all'origine ed alla fine dell'universo, ci presentano un universo in espansione ed è difficile poter immaginare che la fluttuazione delle galassie possa avvenire in uno spazio "vuoto" in senso assoluto, senza che  possa essere attraversato da una qualche invisibile particella, un neutrino od un fotone, o da una qualche impercettibile radiazione di sfondo.

Considera G. BOGDANOV:  «Sia esso naturale o creato artificialmente, il vuoto allo stato puro è solo un'astrazione: nella realtà non si riuscirà mai ad eliminare un campo elettromagnetico residuo che costituisce lo sfondo del vuoto...se facciamo esistere, all'interno del vuoto, un'energia residua, quest'ultima può, nel corso delle sue <fluttuazioni di stato >, convertirsi in materia: nuove particelle sorgeranno quindi dal nulla. Il vuoto quantistico è così il teatro di un incessante balletto di particelle, dove queste appaiono e scompaiono in un lasso di tempo estremamente breve, inconcepibile su scala umana»[8].

Vuoto e pienezza non sono più i riferimenti assoluti della realtà fisica. E anche qui il discorso vale sia per le realtà infinitamente grandi che per quelle infinitamente piccole: la simmetria e la similitudine diventano i presupposti per una teoria  fisica unificata. Così come la particella può essere considerata come una costruzione matematica e come una "tendenza a esistere" senza che con ciò venga ad esserne compromessa la sua "realtà", allo stesso modo il "cosmo intelligente", come PAUL DAVIES lo definisce in una sua nota opera[9] , diventa sempre più "meno materiale", al punto che, chiarisce J. GUITTON, «non è più paragonabile a un'immensa macchina, ma piuttosto ad un vasto pensiero»[10].

       Una volta modificati così sostanzialmente i riferimenti classici della fisica meccanicistica, è necessario far iniziare ogni programma di ricerca scientifica o di studio delle scienze della natura partendo dalla domanda:  - Che cos'è la realtà, oggetto delle Scienze?

    Ed è anche giusto chiederci se ed in quale misura vanno recuperati nel concetto di realtà le dimensioni dell'inconoscibile e del "metareale".

     «Cio' che chiamiamo realtà - osserva J. GUITTON - non è altro che una successione di discontinuità, di fluttuazioni, di contrasti e di irregolarità che costituiscono, nell' insieme, una rete di informazioni»[11].

   Non è più possibile contare, oggi, sui riferimenti alla "sostanza" della realtà, sia di tipo materialistica  che spiritualistica,  ma è possibile considerare gli effetti, le relazioni ed le funzioni,  che possono essere individuate in un "campo" particolare.

Ed i campi oggi individuati dalla fisica sono  il gravitazionale, l'elettromagnetico, il protonico e l'elettronico. In questi campi operano le quattro forze o interazioni che regolano l'universo e le particelle: la forza di gravità, «che tiene letteralmente assieme l'universo,(...) blocca i pianeti nelle loro orbite intorno al Sole, lega le stelle alla Galassia e impedisce inoltre alle stelle di evaporare nel vuoto dello spazio»[12];  l'elettromagnetismo, una forza a lungo raggio, che si genera sia fra le particelle che sono fornite di una carica elettromagnetica, sia tra i corpi dell'universo  come ad esempio il Sole, o fra le galassie; l'interazione debole, che è la più debole tra le forze, restando inoperante su distanze superiori a 10 elevato a -16 cm; essa agisce  soltanto sulle particelle subatomiche ed è quella forza che sostiene le trasmutazioni ed il decadimento delle particelle; l'interazione forte, che è quella forza che possiede il  minimo raggio di azione e la massima intensità   e che serve  a tenere uniti sia i quark all'interno dei protoni e dei neutroni e sia i protoni e i neutroni all'interno dell'atomo; essa si esercita soltanto tra le particelle più pesanti ( adroni ) e costituisce una forte sorgente di energia: si pensi che la luce del Sole è liberata dall'interazione forte.

La realtà non è altro che  l'insieme dei campi nei quali si sprigionano le forze che interagiscono tra di loro e si strutturano secondo relazioni, invarianze e "simmetrie" che richiamano un ordine originario legato al Big-bang.

Sintetizza J. GUITTON : «Il reale è una manifestazione di campi, tra cui al primo posto incontriamo un campo primordiale, caratterizzato da uno stato di supersimmetria, uno stato di ordine e di perfezione assoluti»[13].   Ricercare e ricostruire le simmetrie "globali" della realtà vuol dire utilizzare le "informazioni" che dai diversi campi e mondi ci provengono.

 

In questo straordinario contesto di ricerca scientifica intorno alla "realtà" fisica del mondo o dei mondi, cambia anche la metodologia dell'osservazione. In due sensi. In primo luogo, le osservazioni, ponendosi come interpretazioni di informazioni non sono più dei procedimenti oggettivi, che danno  di per se stesso garanzie di veridicità. Osservare è sempre un partire  da un' "ottica di campo" o di "teoria" scelta  dall'osservatore e quasi sempre, rileva DARIO ANTISERI, essa si pone come un  "osservare sotto ipotesi"[14], vale a dire un osservare secondo un progetto ed un piano particolare di ricerca.  Per questo esiste uno stretto legame tra osservatore  ed oggetto dell'osservazione. «L'atto stesso dell'osservazione - rileva GUITTON -, altrimenti detto la coscienza dell'osservatore, interviene nella definizione dell'oggetto osservato, anzi più profondamente ancora, nell'esistenza stessa di tale oggetto: osservatore e cosa osservata formano un solo ed unico sistema»[15].

In un secondo senso l'osservazione, ed in particolare l'osservazione astronomica, è un "guardare indietro", un ritornare alle origini, uno scoprire i primordi della vita. Osservare in un certo momento una stella non significa vederla come realmente essa è oggi: bisogna calcolare il tempo che la luce ha impiegato per collegarla con il nostro punto di osservazione: sicché noi di quella stella avremo un'immagine di come essa sia stata quando da essa è partita la luce che ci consente ora di osservarla. Perciò più si osservano le stelle e le galassie lontane, più ci avviciniamo ai tempi in cui l'universo si è formato[16].

 

 Che cosa cambia  in questo contesto rispetto al modo in cui abbiamo per il passato inteso l'osservazione? 

Viene meno un elemento molto importante, quello appunto della contestualità temporale tra l'osservatore e l'oggetto osservato.  Osservare un fenomeno od un oggetto non significa sempre  viverlo  in diretta", in contemporaneità o contestualmente all'accadimento. Osservare

è allora un interpretare, un'elaborazione di dati che quasi sempre vanno collocati in uno spazio ed in un tempo stabiliti. Nel caso dell'osservazione dell'universo si tratta, poi, di un vero e proprio lavoro su "reperti fossili" dell'universo. Qui scompare anche la "certezza" del presente. Conoscere la realtà diventa sempre più una scommessa.

 

Quando nei Programmi del 1985 si fa riferimento alla dimensione della realtà diventa ,allora, veramente indispensabile tracciare le variabili  e le dimensioni entro cui la realtà "scientifica" si dispiega. E la dimensione informazionale  ed interpretativa è sicuramente uno dei  riferimenti più importanti, che va posto   insieme alla materia e all'energia.

Indagare la realtà vuol dire scoprire i codici e trasformare in un messaggio  comprensibile ciò che in apparenza sembra soltanto un geroglifico.

E' questo il fondamento su cui si costruisce la metodologia della ricerca scientifica, che, benchè continui ad essere impostata sulle basi sperimentali dell'osservazione e della riproduzione dei fenomeni, fa sempre più uso della problematizzazione e dell'ipotesi controllabile.

Esaminiamo più da vicino i principi di questa metodologia.

 

 

2.  PROCEDURA OSSERVATIVA E SPERIMENTALE

 

 

Il  riferimento alle due  dimensioni operative della ricerca scientifica, quella osservativa e quella sperimentale, è servito nel corso della storia della scienza a definire il carattere di "scientificità" al procedimento che da esse scaturiva e a contrassegnare lo stesso metodo, al punto che  metodo scientifico e metodo sperimentale per moltissimo tempo hanno indicato la stessa cosa.

Per ricercare  le origini di questa impostazione bisogna  soprattutto risalire alle concezioni di Bacone e di Newton, secondo le quali, rileva LARRY LAUDAN, «l'unico metodo legittimo per la scienza consisteva nell'accumulare  gradualmente leggi generali tramite lenti e cauti procedimenti induttivi»[17].  

Il rapporto tra osservazione e sperimentazione è sempre stato visto come un continuum operativo della ricerca scientifica.

Nello schema  di Bacone l'osservazione è il momento della ricerca in cui si accumulano i dati  ed i casi particolari (instantiae) della "dissectio  naturae", consistente in quell'operazione che ci consente di scomporre in parti semplici le osservazioni effettuate: su queste basi si costruiscono successivamente le famose "tabulae" baconiane[18],  che tanta importanza rivestono nella metodologia scientifica elaborata da Bacone.

Questa prima parte della ricerca, che fa pervenire alla elaborazione delle tavole, viene da Bacone definita "vindemiatio prima"; essa non ci dà ragione piena dell'ipotesi da cui la ricerca sorge, ma ha bisogno di essere integrata da altri successivi momenti     ad essa collegati. Lo sviluppo integrativo più importante è sicuramente  costituito dal momento "sperimentale" o dell' esperimento cruciale ("experimentum crucis"),  con il quale si effettua una riproduzione artificiale del fenomeno osservato, avendo cura di realizzarla in una situazione in cui possa essere operante quella particolare causa che viene ipotizzata come producente il fenomeno stesso. Se l'esperimento è confermativo ("cruciale"), si passa al momento della "vindemiatio secunda": si constata, cioè, la veridicità dell'ipotesi e la si estende a tutti gli altri casi in cui il fenomeno osservato potrebbe verificarsi.

In questa prospettiva, l'osservazione consente l'esperimento e lo precede e, nello stesso tempo,  viene da questo convalidata l' inferenza induttiva che con l'osservazione si è resa possibile.

La stessa relazione può essere colta in campo didattico quando si  parla, come hanno fatto NISBET ed ENTEWISTLE, di "ricerca osservativa" e di "ricerca sperimentale"[19], secondo una logica di reciproco coinvolgimento, che vede la prima come prerequisito della seconda e quest'ultima come confermativa della prima e generativa di altre osservazioni, seppure entrambe restino vincolate agli stessi criteri rigorosi di procedura e di metodo, dai quali ogni indagine scientificamente impostata e condotta viene di fatto ad essere vincolata.   

 

Ma, torniamo allo schema logico-metodologico baconiano per chiarire  con GIULIO PRETI il senso da attribuire al procedimento induttivo, che, come si è visto, si avvale sia delle osservazioni che degli esperimenti.

Il richiamo principale dell'impostazione baconiana è da ricercare nel senso da dare alla "interpretazione della natura", che può essere realizzata soltanto se essa viene di fatto rispettata e se ad essa si ubbidisce[20].

Il metodo sperimentale, che da questa premessa "forte" deriva direttamente, non può essere, allora, artificioso, sostitutivo o astratto o formale, com'era quello aristotelico; si tratta, invece, di un metodo naturale, empirico, costruito sui fatti concreti, volto, cioè, a cogliere il maggior numero di connessioni e di relazioni esistenti tra i fenomeni, utilizzando l'esperienza che ne deriva per comprendere meglio la natura e per costruire nuovi fatti compatibili con i suoi principi e con le sue leggi.

Soltanto con queste premesse è possibile all'uomo  produrre le trasformazioni nella natura senza arrecare ad essa guasti irreparabili. Perché i cambiamenti, le trasformazioni ed i progressi indotti dall'uomo siano coerenti con l'evoluzione naturale, è necessario, allora, che ogni intervento umano sulla natura si inserisca entro i meccanismi della causalità naturale  quanto più naturalmente possibile, e cioè agendo sulle cause e lasciando poi libero il fenomeno di progredire nel suo successivo decorso. 

  

   In tutto questo non è certamente secondaria la scelta del metodo: il metodo più rigoroso, in questo contesto, è quello sperimentale che utilizza l' osservazione e la procedura induttiva.    Ciò significa, in particolare:

   1.  che si dovrà procedere utilizzando le relazioni e le connessioni  che  possono essere  costruite tra i singoli elementi;

   2.  che le relazioni e le connessioni tra i fatti vanno costruite sulla base  delle osservazioni che si conducono sui singoli fenomeni, da cui vanno soprattutto enumerate le costanti e le invarianze;

   3.  che le costruzioni o le previsioni che possono essere fatte sulla base delle osservazioni, vanno verificate sperimentalmente;

   4.  che soltanto dopo la conferma sperimentale è possibile risalire dall'esame dei fenomeni alla formulazione della "legge" naturale.

 

    Una metodologia così impostata comporta il superamento del semplicistico induttivismo, sia quello che è  riduttivo dell'esperienza, allorché nell'osservazione si vanno a considerare soltanto i casi confermativi, e sia quello che intende  cancellare o restringere gli spazi creativi della congetturalità e dell'ipotesi.

   Nel caso dell'osservazione-esperimento non può essere una sola  tabula, quella ad esempio della presentia, a garantire il buon esito della ricerca, né i casi da isolare o da osservare debbono necessariamente essere tutti positivi. Osserva Preti: «...l'ipotesi, che una prima ispezione delle tabulae permette di formulare,non è stabilita dal solo fatto che non siano stati osservati esempi negativi.  A questo punto interviene la produzione artificiale, sperimentale, di casi mediante esperimenti ideati alla luce dell'ipotesi: se quest'ultima è vera, la natura sarà costretta a comportarsi in un determinato modo, prevedibile a partire dall'ipotesi stessa: l'esperimento ha quindi il significato di una domanda a cui la natura è costretta a rispondere»[21].

Non è questo o quell'elemento isolato a dare garanzia di veridicità al processo, ma l'intero procedimento scientifico.  Gli altri elementi che entrano nella definizione del quadro baconiano della procedura scientifica, oltre all'osservazione e alla sperimentazione, sono l'induzione, l'analogia e l'ipotesi.

Esaminiamole brevemente.

 

 

2.1. L' induzione

 

 

E' molto difficile definire il concetto di induzione in Bacone, nè lo stesso filosofo riesce sempre ad essere molto chiaro quando cerca di stabilirne i fondamenti, anche perché, come ci testimonia ROBERT BOYLE, Bacone veniva in passato considerato non tanto come induttivista, ma come filosofo sperimentale[22], segno evidente che con l'evoluzione storica si modificano sia le interpretazioni che i significati che si danno alle idee.

Diciamo innanzitutto quello che l'induzione  per Bacone soprattutto non è.  Essa non può essere identificata nell'induzione classica o aristotelica, considerata come quella procedura attraverso cui si passa dagli individui alla specie: da quello che potrebbe essere predicato intorno a ciascuno ("dictum de omni"), a quello che invece potrebbe essere predicato intorno al tutto ("dictum de toto").

    E vediamo adesso che cosa l'induzione potrebbe effettivamente rappresentare nel sistema scientifico-sperimentale. Il significato dell'induzione baconiana è da ricercare nelle relazioni e nelle inferenze logiche che possono essere poste tra i singoli elementi e fenomeni, sottoposti all' osservazione  o all'esperimento.  In particolare, esso consiste, di fatto, nella individuazione di  ciò che riesce a legare e a connettere i fatti empirici tra di loro, in maniera che da essi possano essere ricavate delle "costanti", vale a dire delle invarianze empiriche che restano tali anche se il fatto originario viene sottoposto, artificialmente o naturalmente a delle modificazioni. Ciò che abbiamo definito come  costanti empiriche, se  venisse esaminato dal punto di vista logico, darebbe luogo a delle "necessità" o a dei passaggi obbligati o a delle  inferenze logiche, di per sé ineludibili, come quando, ad esempio, le cogliamo all'interno del rapporto causa-effetto.

Pervenire alla individuazione delle costanti empiriche e delle necessità logiche, partendo dall'osservazione e dall'analisi dei casi specifici e procedendo sulla base dei nessi logici che li legano, vuol dire segnare il percorso e le modalità per arrivare alle regole generali che disciplinano la vita ed il manifestarsi della natura.

E' questo che sicuramente può rappresentare la sostanza ed il senso dell'induttivismo baconiano, piuttosto che la semplicistica connessione o il facile passaggio tra le specificità del particolare e l'indeterminatezza del generale.    

«Perciò - considera G. PRETI - l'induzione baconiana è in verità un procedimento assai complesso, rivolto a stabilire connessioni necessarie  tra elementi, per cosi dire <mattoni>, dell'esperienza stessa. Di qui il concetto importantissimo della  dissectio naturae, che si trova anche in Galileo: l'induzione non può partire da esperienze globali, quali sono tutte le osservazioni immediate, ma deve scomporle in parti semplici (<nature>: come il caldo e il freddo, ecc.), isolarle e studiarne le connessioni»[23].

 

In questi caratteri potrebbe essere colto il significato più profondo della procedura induttiva, consistente in modo particolare nei richiami alla "dissezione" dei fenomeni ed alle connessioni ed inferenze tra le parti singole.

Questi due richiami metodologici dell'induzione sono indicazioni essenziali e riferimenti indispensabili per la didattica delle scienze e, peraltro, stanno anche ad indicare  quella pratica molto efficace e produttiva dal punto di vista concettuale,  dello "smontaggio" e del "rimontaggio attento", di cui parlano i Programmi didattici elementari, da intendere  non soltanto in riferimento agli oggetti concreti, ma, estensivamente e metaforicamente, anche in relazione ai fatti, ai fenomeni, alle idee o alle teorie scientifiche.

 

Oggi il principio induzionistico incontra moltissime critiche e viene considerato  da alcuni epistemologi poco produttivo ed "economico" per la ricerca scientifica, sia perché non è possibile stabilire quanti casi specifici e quante inferenze risultino essere necessari per legittimare una "generalizzazione empirica universale" e sia perché le conferme osservative non possono costituire sempre delle prove attendibili e dirette circa la veridicità di una teoria.

In questo ultimo senso,  è importante quanto L. LAUDAN  ci induce a considerare: «Data una teoria T - egli osserva - e un insieme di evidenze osservative E, può esserci un numero (probabilmente) infinito di altre teorie, contrarie a T, che implicano E. Quindi, nessun numero di conferme può rendere T verosimile o probabile»[24]. 

Il che vuol dire che i dati evidenti possono spiegare sia quella particolare teoria cui si riferiscono, sia il suo contrario, cioè la "non-teoria".

  

Un forte limite che oggi viene posto all'induzione baconiana proviene dal fatto che tale procedimento il più delle volte resta condizionato dalla cultura, dai linguaggi e dalle teorie del ricercatore, non essendo possibile ritrovare nella realtà dei fatti i dati empirici oggettivi allo stato puro, nè un tipo di osservazione che non sia vincolata e condizionata dall'ipotesi di partenza o dal quadro teorico d'insieme entro cui quella si origina e si giustifica.  Stando alle analisi condotte da MIRKO D. GRMEK, l'induzionismo baconiano appare oggi sempre più come un mito: in realtà «i “fatti” sono solidali con il formalismo che li esprime e ...sono carichi di pregiudizi teorici»[25].

 Anche i fatti, come le idee,  non possono essere svincolati dalla teoria!    

 

 

2.2.  L' analogia

 

  

 Il principio dell'analogia è molto vicino al modo di pensare dei fanciulli e lo si ritrova operante nella metodologia sperimentale, come un importante postulato. Esso è molto utile quando lavoriamo sulle ipotesi, perchè ci consente di poter esprimere asserzioni verosimili intorno a fatti o a fenomeni che, talvolta per le loro ridottissime dimensioni o altre volte a causa delle modalità con cui si esprimono, non possono essere ben percepiti ed osservati.

 

In questi casi, possiamo far ricorso a quel principio,accettato anche  da Cartesio e da Robert Boyle, sebbene in una accezione più congetturalistica che induttivistica, che L. LAUDAN chiama il "principio della identità della natura a differenti livelli",  sul quale si fonda la procedura analogica.

In base a questo principio, «le leggi  di natura che valgono per i corpi visibili, sono valide anche  per quegli oggetti che, a causa della loro grandezza o piccolezza, si sottraggono alla misurazione o all'osservazione»[26].  

In tal modo, è possibile "congetturare" intorno agli eventi microscopici o della dimensione infinitamente piccola, intendendone le qualità e le modalità di accadimento come estensioni di taluni eventi che si sviluppano nella dimensione del macroscopico. Un postulato importante del principio analogico consiste, infatti, nel fatto che le leggi naturali ed i principi meccanici restano gli stessi sia che li applichiamo ai livelli macroscopici della realtà, che a quelli  microscopici.

Sotto questo aspetto, la realtà, soleva considerare JOHN LOCKE, ci appare come un orologio di cui riusciamo a percepire gli elementi esterni, ma non i meccanismi  interni.

Per cogliere a fondo il senso del principio dell'analogia applicato all'interno delle procedure scientifiche, possiamo anche riferirci alla "seconda regola" che ISAAC NEWTON esplicita  nella sua opera del 1687, Philosophiae naturalis principia mathematica, per la quale "effetti naturali dello stesso genere hanno le stesse cause".

Lo stesso Newton esemplifica: «Così la respirazione nell'uomo e nella bestia; la caduta delle pietre in Europa e in America; la luce nel focolare e nel Sole; la riflessione della luce sulla Terra e nei pianeti»[27].

Le ipotesi che possono essere costruite sulla base del principio dell'analogia o della "identità della natura ai suoi diversi livelli", non sono meno probabili di quelle che si costruiscono sulla base dell'inferenza proveniente dalle osservazioni dirette. Nel caso dell'analogismo, però, la procedura ha bisogno di poter contare su altre risorse del soggetto, oltre che su quelle logiche; in modo particolare, c'è bisogno sia della sua immaginazione nel pensare a forme mentali diverse da quelle che comunemente si osservano e sia  delle sue capacità ed abilità intellettive che consentono di poterle rappresentare.

Buone risorse e capacità immaginative e rappresentative sono state sempre necessarie agli scienziati per pervenire alla elaborazione di modelli o di teorie. Si pensi, ad esempio,  allo schema dell'atomo, con gli elettroni ruotanti attorno al nucleo, o al modello della molecola dell' acido nucleico (DNA) a doppia elica, o alle leggi di Galileo sulla caduta dei gravi, o ancora alla teoria della relatività generale di Einstein. La fantasia e l'immaginazione nella scienza si accompagnano alla lucida e stringente razionalità e sono indispensabili per far superare le "suggestioni della percezione" e per potersi «staccarsi dalla realtà percettiva e immaginarla come diversa, almeno per certi suoi aspetti, per formulare delle ipotesi e spesso anche per inventare metodi e tecniche per verificarle»[28].

Procedimento analogico, immaginazione e razionalità, approssimazione e connessioni concettuali sono tutte variabili   riscontrabili nel modo di ragionare dei bambini: tutte queste risorse vanno utilizzate contestualmente in campo educativo e negli  itinerari didattici della scoperta e della ricerca.

Nelle due seguenti risposte fornite da bambini a due quesiti scientifici, riportate da GUIDO PETTER, è possibile cogliere il senso concreto di come in concreto si combinano spiegazioni scientifiche, immaginazione, esperienza ed analogia.

 

DOMANDA  : "Perché il battello galleggia?"

RISPOSTA: "Perché si muove, anch'io quando vado nell'acqua mi muovo, nuoto e così resto a galla".

 

DOMANDA  : "Come mai lo zucchero messo nell'acqua di un bicchiere dopo un pò non lo si vede più, ma si continua a sentirne  il sapore quando assaggiamo l'acqua? "

RISPOSTA : "Forse è perché si divide in parti più piccole, e queste in altre più piccole ancora, così piccole che non si vedono più ma ci sono sempre tutte lì sul fondo...E  quando mescoliamo vanno in giro" [29].

   

Per J. LOCKE, il metodo analogico-ipotetico, quello cioè che procede costruendo ipotesi su realtà non osservabili utilizzando il principio dell'analogia, è il modo più produttivo per pervenire ai giudizi di probabilità.

  « Questa specie di probabilità - egli scrive - che è la miglior guida degli esperimenti razionali e la fonte delle ipotesi, ha anch'essa la sua utilità e la sua influenza: e spesso un cauto ragionamento fondato sull'analogia ci conduce alla scoperta di verità e di utili prodotti,che rimarrebbero altrimenti nascosti»[30].

 

   Sono molti gli esempi che nel corso della storia della scienza si possono cogliere a proposito della utilizzazione del ragionamento analogico nella ricerca scientifica. In particolare, la sua specifica  funzione è stata quella di verificare la plausibilità di una ipotesi, prima di sottoporla all'esperimento o alla prova di controllo. Segno che l'analogia aiuta ad esprimere il primo giudizio di controllo sull'ipotesi o sulla teoria e dà il segnale di "via libera" al prosieguo della ricerca.  Dall'accertamento della plausibilità di una ipotesi, che sancisce la sua proponibilità iniziale, si passa alla verifica della  sua probabilità, che rappresenta con un buon grado di verosimiglianza la "pre-visione" delle  sue conseguenze sul piano concreto ed operativo.

 Osserva in proposito MARCELLO PERA: «Se un'ipotesi è plausibile allora può diventare probabile ma non altrimenti»[31].

 Per avere dei riscontri positivi specifici in ordine all' utilizzazione del ragionamento analogico da parte degli scienziati, è possibile, ad esempio, pensare ad ISAAC NEWTON ed  alle sue ricerche  sull'analogia tra il suono e la luce, oppure a WILLIAM THOMSON ed ai suoi studi sulle analogie esistenti tra l' elettrostatica ed il calore, utilizzati e sviluppati, poi, felicemente da J. C. MAXWELL.

 Un altro possibile  esempio di riferimento ci può provenire da  BENJAMIN FRANKLIN con i suoi noti studi tendenti a dimostrare quanto siano identiche tra di loro la natura della carica elettrica e quella del fulmine.  Traendolo dalle minute di alcuni suoi esperimenti, M. PERA ha pubblicato il seguente brano di Franklin, che riesce bene  ad esemplificarci come la logica analogica può essere in concreto applicata nel procedimento scientifico e quanto utile risulta la sua applicazione sul piano didattico:

 

   « 7 novembre 1949.  Il fluido elettrico è simile al lampo nei seguenti particolari:

   1.  per la luce che emette;

   2.  per il colore di questa luce;

   3.  per la sua traiettoria a zig-zag;

   4.  per la rapidità del movimento;

   5.  per lo scoppio o il rumore delle esplosioni;

   7.  perché si conserva nell'acqua o nel ghiaccio;

   8.  perché elettrizza i corpi che attraversa;

   9.  perché uccide gli animali;

   10. perché fonde i metalli;

   11. perché incendia le sostanze infiammabili;

   12. per l'odore di zolfo.

 

 Il fluido elettrico è attirato dalle punte. Non sappiamo se questa proprietà si ritrova nel lampo. Ma dal momento che essi sono simili in tutti i particolari in cui possiamo confrontarli, non è probabile che essi si accordino anche in questo? Lasciamo dunque che si faccia l'esperimento»[32].

 

Continua M. PERA:  «Indichiamo con F il fluido elettrico, con L il lampo e con P1,...P13 le proprietà indicate; il ragionamento di Franklin si può allora rendere nella forma seguente:

 

   F ha le proprietà P1, P2,...P12, P13

   L ha le proprietà P1, P2,...P12

_________________________________________________

 

   H: E' plausibile che L abbia anche la proprietà P13 e quindi che

   F e L abbiano la stessa natura.

 

Questa non è una congettura <selvaggia> o audace; piuttosto questa è una induzione analogica, un ragionamento con cui un'ipotesi plausibile (<è probabile che...>)viene inferita a partire da certi fatti»[33].

 

  Il ragionamento induttivo-analogico non significa la diretta validazione dell'ipotesi: per questa c' è bisogno sempre della verifica sperimentale. Esso, invece, serve ad attivare il pensiero al fine di  selezionare inizialmente le ipotesi plausibili da quelle non plausibili e di sottoporre a prova e a validazione soltanto quelle che hanno una buona possibilità di essere probabili e verosimili.

 

 

2.3.   L' ipotesi

 

Molto controverso e discusso è il ruolo che l'ipotesi svolge nella procedura induttivo-sperimentale, ma non per questo  all'ipotesi possono  essere negate importanza e produttività nella metodologia scientifica.

La piena utilizzazione dell'ipotesi nella procedura  scientifica della ricerca viene soprattutto affermata dal metodo ipotetico -  deduttivo, come in seguito verrà detto, ed è all'interno di questo metodo  e nell'ottica del rafforzamento del pensiero "creativo" che l'ipotesi afferma tutta la sua importanza ed anche il suo stesso "primato" sulla osservazione empirica.

Nel sistema induttivo-sperimentale, così come lo ha configurato CLAUDE BERNARD, l'ipotesi si colloca tra l'osservazione e l'esperimento: dall'osservazione si produce l'ipotesi, la quale, se plausibile, giustifica e organizza l'esperimento; e dall'esperimento si passa a realizzare nuove osservazioni e nuove ipotesi che  a loro volta vanno sottoposte a verifica sperimentale.

 

In questo sistema, l'ipotesi è successiva ai "fatti osservati" e diventa funzionale all'esperimento. Essa serve per legittimare un particolare  intervento sulla realtà e può essere considerata come «un progetto esplicativo deliberatamente formulato per spiegare certi fatti, una risposta specifica a un problema specifico": come tale,  essa  "si muove sul piano empirico, è a posteriori rispetto ai fatti e interviene (se e quando intervenga) dopo che essi sono stati accertati»[34]. 

 

Secondo questa impostazione, vanno evidenziate tre caratteristiche  dell'ipotesi:

a)   è in riferimento a un "problema specifico"

b)   è connessa ad un fatto empirico;

c)   è successiva all'accertamento dei fatti.

 

Va, però, anche considerato che il carattere di plausibilità che ogni ipotesi inserita nel procedimento sperimentale deve possedere, fornisce ad essa, benchè in una dimensione ancora strumentale e sottoposta all'osservazione, una certa importanza e dignità epistemologica. «Ciò equivale a riconoscere - osserva M. PERA - che un' ipotesi non è un tentativo a-logico e pre-logico di indovinare, ma la conclusione plausibile di un'inferenza, quindi il risultato di una induzione»[35].

 

L'ipotesi troverebbe posto, in questo quadro, non soltanto dopo l'osservazione, ma anche dopo il ragionamento induttivo; ma, se così fosse, perderebbe in parte di produttività, visto che la stessa ipotesi aiuta la giusta formulazione del ragionamento e la soluzione del problema.

Già nel XVII secolo ROBERT BOYLE, che non condivideva la concezione  della scienza dipendente dagli assolutismi sia di tipo sperimentalistico-baconiano, che di tipo razionalistico-deduttivo -cartesiano, era indotto ad affermare la superiorità dell'ipotesi sulla stessa sperimentazione, anzi, egli soleva affermare che lo scopo stesso della sperimentazione  dovesse essere quello di «formulare  qualche ipotesi capace di fornire  una spiegazione congetturale dei dati raccolti»[36].

L'ipotesi acquista sempre di più significato e valore nel metodo sperimentale. Essa non può originarsi dai dati grezzi o dalla materia bruta, ma, in una sequenza di tipo circolare, da tutti i momenti e da tutti gli elementi che entrano nella procedura logico-sperimentale della ricerca. E' per questo che  Boyle ritiene che un'ipotesi ben formulata, plausibile e ben impostata sia più produttiva ed utile  dello stesso esperimento: «E benchè, pochi, forse, - egli riconosce - provino un amore più grande del mio verso gli esperimenti, da parte mia sarei più grato a chi mi comunicasse  un concetto fecondo... che a chi mi informasse di un bell'esperimento»[37].

L'esperimento assume anche importanza perché suscita e suggerisce le ipotesi: per questo non è possibile seguire qui una progressione lineare e deterministica. Ipotesi ed osservazione-sperimentazione si completano e si condizionano a vicenda nella prospettiva sperimentale di pervenire, attraverso la scoperta delle leggi che regolano il funzionamento della natura, al progresso della conoscenza scientifica  e della tecnologia.

Se l'ipotesi correttamente formulata riesce ad indurre l'osservazione e l'esperimento, ciò non vuol dire che essa, nella logica induttivistica e sperimentale  potrebbe facilmente annullare i risultati di un'induzione rigorosamente condotta. 

Il problema del giusto rapporto che dovrebbe essere individuato tra l'ipotesi e la prova induttiva, è  stato posto anche dal Newton, che nella "Regola Quarta" dei suoi Principia ci ricorda che «nella filosofia sperimentale le proposizioni tratte per induzione dai fenomeni nonostante ipotesi contrarie si devono tenere per vere e sicure, o quasi, finché non si saranno presentati altri fenomeni che le rendano o più sicure oppure soggette ad eccezioni. E ciò affinchè la prova induttiva non sia distrutta da ipotesi»[38].

 

Ovviamente, in questo caso, il riferimento alle ipotesi in negativo è da intendersi come contrapposizione a quel metodo che è «pieno di ipotesi, che propone non come cose da esaminarsi mediante esperimenti, ma come cose da credersi senza esame»[39].

Anche nell'impostazione induttivo-sperimentale, l'ipotesi ben impostata e costruita e ben collocata all'interno del procedimento di ricerca diventa uno dei punti di forza della metodologia scientifica.

E' possibile, allora, tentare di costruire un primo quadro sintetico contenente i principali paradigmi della metodologia scientifica, impostata su basi induttivo-sperimentali.

Il prospetto che segue  vuole esprimere in breve le peculiarità del metodo baconiano ed alcune implicazioni che esse possono produrre nel campo didattico.

 

                METODO  OSSERVATIVO-SPERIMENTALE   (di tipo baconiano)

 

A.  PRESUPPOSTO:

          >>   RISPETTO  PER  LA  NATURA

B.  SERVE  A:

          >>   RISALIRE  ALLE  LEGGI  CHE  REGOLANO  I  FENOMENI   NATURALI  E 

                NEL  POSSIBILE  CREARE  IN  BASE  AD   ESSE  FATTI  NUOVI

C.       SI  FONDA  SU:

 

  *  OSSERVAZIONE........ osservare i particolari fenomeni, cercando di cogliere non soltanto i modi come essi si presentano, ma anche e soprattutto le  cause da cui essi si originano

  *  ESPERIMENTO......... intervenire intenzionalmente sulla realtà, anche riproducendola in modo artificiale, per osservarla in situazioni diverse, sulla base di una ipotesi di ricerca

* PRATICA INDUTTIVA... isolare i fatti semplici, ricercare tra di  loro relazioni ed inferenze, per risalire a "leggi" generali

  *  PRATICA ANALOGICA... individuare le "analogie" tra i fenomeni, le somiglianze tra le relazioni o le similarità tra le leggi, in modo che quando un fenomeno non può essere osservato e sperimentato possiamo operare su quello che è ad esso analogo

*  PRATICA DELL'IPOTESI anticipare, prevedere o stabilire in anticipo il modo di manifestarsi o di riprodursi di un fenomeno, utilizzando le risorse dell'immaginazione creativa   e delle conoscenze già possedute

 

      D. PROCEDURA:

    1. osservare un fenomeno (O)

    2. formulare l'ipotesi (H)

    3. realizzare l'esperimento (E)

    4. operare inferenze ed analogie (I)

    5. risalire alla legge generale (L)

   E. SEQUENZA:

               O -----> H -----> E -----> I -----> L             


RIFERIMENTI    DIDATTICI : L' OSSERVAZIONE

 

 

1.  «L' insegnante stimolerà  e guiderà gli alunni ad osservare, descrivere e confrontare gli elementi della realtà  circostante..... per individuarne somiglianze, differenze ed  interrelazioni» ( Programmi Scuola Elementare).

 

                         1. CONSIDERAZIONI:

 

           #    OSSERVARE NON VUOL DIRE ENUMERARE DATI, MA:

                - INTERPRETARE

                - SCOPRIRE DEI RAPPORTI

                - COMPRENDERE UN INSIEME DI FATTI

                - ARRIVARE AD UNA SINTESI

                - ORGANIZZARE FORME (H. Dieuzeide)

 

           ##   L'OSSERVAZIONE NON PUÓ ESSERE OCCASIONALE, SFUMATA,

                    GENERICA:

                    SI OSSERVA PERCHÉ SI HA UN PROGETTO, UNA IDEA, UNA IPOTESI.

               

                     NELLA SCUOLA BISOGNA EDUCARE ALL'OSSERVAZIONE SOTTO

                     IPOTESI PER I PROBLEMI (D. Antiseri)

 

           ###  L'OPERAZIONE DELL'OSSERVARE VA CONNESSA A QUELLE  ALTRE
                                 CHE RIENTRANO NEL PROCEDIMENTO DELLA RICERCA SCIENTIFICA,  
                                 CHE SONO:

                     Ad un primo livello:

                   * MISURARE

                   * CLASSIFICARE

                   * IMPOSTARE RELAZIONI

                   * ELABORARE ED INTERPRETARE DATI

                   * INDIVIDUARE E SEPARARE VARIABILI          

                      Ad un secondo livello:

                   * VERIFICARE

                   * RAPPRESENTARE E COMUNICARE I RISULTATI

                   * APPLICARE I RISULTATI A NUOVE SITUAZIONI

 

2.  «Le attività di indagine consentiranno agli alunni di  esercitarsi nell'uso di procedimenti scientifici - quali osservare, misurare, classificare, impostare

     relazioni spazio-tempo, elaborare e interpretare dati individuare e separare variabili - e acquisire, al termine della scuola elementare, la capacità di farne consapevole impiego in situazioni concrete» ( Programmi Scuola Elementare).      

 

                       2.  CONSIDERAZIONI

 

              #  INSEGNARE LE SCIENZE NELLA SCUOLA DI BASE VUOLE

                 SOPRATTUTTO DIRE EDUCARE A COMPRENDERE ED EDUCARE A

                 SAPER FARE, IL CHE VUOL DIRE COMBINARE TRA LORO

                 SCIENZA E TECNOLOGIA

 

             ##  PER RENDERE OPERATIVI GLI ALUNNI E PRODUTTIVI GLI

                 INTERVENTI DIDATTICI BISOGNA:

·         avere rispetto per le conoscenze che gli alunni già possiedono;

·         disporre di materiali e di laboratorio;

·         procedere sempre sulla base di progetti e di programmi accurati;

·         organizzare il lavoro in piccoli gruppi;

·         far procedere per "prove ed errori";

·         provare gli esperimenti e le ipotesi di lavoro prima di proporli agli alunni.   

 

     

 

3.  PROCEDURA  IPOTETICO-DEDUTTIVA

 

 

Il modello di tipo induttivistico ha subito nel corso del tempo molte evoluzioni rispetto alla sua originaria elaborazione baconiana, che lo hanno sempre più fatto orientare verso una più marcata valorizzazione degli aspetti congetturali e probabilistici, al punto che la  "classica" opposizione tra l'induzione e la deduzione si è molto attutita  rispetto al passato e sotto molti aspetti procedurali è stata superata  in ampie sintesi funzionali che le comprende e le utilizza entrambe. Oggi il problema non è più tanto quello di dover scegliere tra l'induzione e la deduzione, poste tra di loro in alternativa, ma di comprendere quale visione della scienza è sottesa all'una od all'altra procedura e di utilizzare per la ricerca le indicazioni più opportune e produttive che ci vengono dall'una e/o dall'altra tecnica d'indagine.

 

Il sistema induttivo-osservativo si è molto trasformato rispetto allo schema classico che contemplava il passaggio dall' OSSERVAZIONE-ESPERIMENTO alla LEGGE.  Oltre all'ipotesi ed al ruolo che essa svolge all'interno di tutto l'impianto, si recuperano e si pongono in risalto elementi indispensabili, quali il ragionamento sui dati oggettivi e  sugli aspetti congetturali, la predittività circa gli andamenti dei fenomeni, a prescindere dalla loro successiva  osservazione diretta, e la funzione importantissima della problematizzazione, vera forza motrice ed orientativa di tutto il processo della ricerca scientifica.

Tutti questi elementi nuovi non soltanto rappresentano un importante  prerequisito per poter far raggiungere alla conoscenza ed alla ricerca risultati positivi, sicuri e di qualità, ma offrono anche con il loro esercizio un notevole contributo al soggetto per la sua formazione e per il potenziamento delle sue capacità logiche e concettuali.

Essi, inoltre, servono a rivitalizzare la mera pratica induttiva, visto che la sua riduzione ad inferenze continue dai casi e dai fenomeni particolari verso leggi generali alla fine potrebbe far scadere la procedura in un sistema di rimandi continui all'infinito o di invilupparla in uno sterile circuito  il, cui rischio sarebbe quello di non poter trascendere di fatto l'empiricità e la singolarità dei dati.

Siamo di fronte, oggi, ad una trasposizione della ricerca scientifica da un piano empirico ad uno formale, in cui la comunicazione e la rappresentazione avvengono secondo un linguaggio  matematico, sempre più di tipo specialistico.

 A livello, poi, di contenuto, i concetti di materialità, di "natura in sé" e di realtà obiettiva vanno sempre più dissolvendosi nella cultura scientifica, mentre a livello di metodologia della ricerca va sempre più accreditandosi la funzione positiva delle "teorie", che, ci ricorda WERNER HEISEMBERG, ci offrono non  più "un'immagine della natura quanto più possibile viva e sensibile", ma una sua "descrizione matematica", che poi altro non sarebbe se non una «raccolta di informazioni sopra le relazioni e le leggi della natura, quanto più precisa, breve e, al tempo stesso, comprensiva»[40].

 

In questa "raccolta" confluiscono non soltanto i "comportamenti" della natura, direttamente osservati, ma anche le conoscenze che noi abbiamo già acquisito ed il sapere che si è andato realizzando intorno questi comportamenti.

La teoria diventa, allora, parte integrante della ricerca, mentre l'osservazione, che è sempre "carica di teoria", perde la sua assolutezza e si relativizza in un intreccio indissolubile tra la natura oggetto di osservazione e lo "spirito" del ricercatore, espresso dalla sua soggettività, dalle sue conoscenze  e dalle sue teorie.

 Una convalida di questa impostazione ci può venire in modo diretto dalla fisica moderna e, più in particolare, dalla meccanica quantistica. Nel comportamento delle particelle, l'osservazione può diventare motivo di perturbazione del fenomeno osservato, proprio perché il processo fisico che consente di realizzare l'osservazione, quando viene attivato, finisce col modificare lo stato iniziale della particella, interagendo con essa.

 Il noto "principio d'indeterminazione" di Heisemberg[41] , oltre a far riconoscere i limiti dell'osservazione e della misurazione, che non possono garantire livelli assoluti di precisione e di certezza, sancisce anche il rapporto interattivo esistente tra chi osserva e la cosa osservata, considerato che mentre si osserva, per il solo fatto di osservare, si finisce col modificare ciò che viene osservato.  

 Chiarisce meglio W. Heisemberg: «Quando osserviamo oggetti della nostra esperienza quotidiana il processo fisico che ci trasmette l'osservazione ha, veramente, solo una parte secondaria. Ma nei più piccoli elementi costitutivi della materia ogni processo di osservazione provoca una forte perturbazione; non è più possibile parlare del comportamento della particella, indipendentemente dal processo di osservazione»[42].

 

Così ridimensionata, l'osservazione da sola non può sostenere il peso della ricerca, né può garantire i livelli di assoluta oggettività e veridicità delle cose osservate, quando è possibile osservarle. Crolla il mito che la considerava come l'unica via per poter raggiungere sicure ed incontestabili conoscenze sulla realtà e sul mondo. Ad essa vanno associati altri elementi che strutturano il metodo scientifico secondo logiche, prospettive e sviluppi nuovi.

  

Esaminiamo un pò più da vicino quali sono i nuovi elementi che sono stati di volta in volta aggiunti alla procedura induttivo - osservativa e che hanno sempre di più avvicinato il principio sperimentale a quello congetturale e deduttivo.

 

 

3.1. LO SCHEMA GENERALE DI C. BERNARD E LA FUNZIONE DELL'IPOTESI

 

 

Secondo CLAUDE BERNARD la procedura logica della sperimentazione, in una corretta metodologia scientifica, passa attraverso sequenze costruite linearmente intorno a tre fasi :


                a.  L' OSSERVAZIONE (O);

    b.  L'IPOTESI (H);

    c:  L'ESPERIMENTO (E).

 

   Lo schema di riferimento è costituito da catene di sequenze del tipo:

  O  ----->  H  ----->  E  ----->  O  ----->  H  ----->  E ...

 

Stando a questo quadro logico,  l'ipotesi si pone tra il momento dell'osservazione e quello della sperimentazione; essa  è generata dall'osservazione e serve per poter realizzare l'esperimento, che, a sua volta, produce nuove osservazioni che non soltanto convalidano o falsificano la prima ipotesi, ma portano  anche alla elaborazione di nuove ipotesi ed a successivi esperimenti. E' proprio in virtù di queste interconnessioni esistenti tra i tre elementi della sequenza lineare O-H-E che si  costruisce il "ragionamento sperimentale", che contribuisce molto a far superare la stretta logica empiristica.

E' giusto a questo punto chiederci in quali aspetti dello schema di Bernard è possibile cogliere il passaggio verso il superamento dello stretto induttivismo.

Sicuramente nella funzione che l'osservazione e l'esperienza assumono nel procedimento, nel senso che entrambe possono essere di fatto risolte in un unico fatto empirico, essendo tra di loro separati soltanto per il posto che occupano nel ciclo e non per i loro contenuti che esprimono.

Di fatto, lo schema di Bernard può essere ridotto a due elementi:

 

   1. l' osservazione-esperimento, che rappresenta l' elemento empirico, manipolativo, di impulso e di controllo del processo;

 

   2. l'ipotesi, che si pone come l'elemento razionale, teorico, appartenente alla sfera soggettiva e mentale del ricercatore.

 

Si può dire, insomma, che in sintesi ritornano le due sfere della teoria e della pratica,  ovvero dell' "intraprendenza inventiva" e del "fare", come si esprimono i Programmi del 1985, connessi tra di loro e tra loro complementari. Questa connessione continua tra la teoria e la pratica è uno degli elementi più rilevanti della metodologia scientifica e segna il giusto orientamento per l' itinerario che la ricerca scientifica dovrebbe percorrere.

 

 LUOIS DE BROGLIE ha messo bene in evidenza questa relazione nella sua opera Materia e luce. «La fisica, come tutte le scienze naturali -  egli scrive - progredisce per mezzo di due vie: con l'esperimento da una parte, che permette di scoprire e di analizzare un numero sempre più crescente di fenomeni, di fatti fisici; con la teoria dall'altra, che serve a unire, a raccogliere in un sistema coerente i fatti già noti, a prevederne dei nuovi e a guidare la ricerca sperimentale»[43].

In questo quadro, l'osservazione e l'esperimento diventano significativi in virtù del procedimento congetturale e deduttivo che si genera nella loro connessione con l'ipotesi.

Osserva in proposito MIRKO D. GRMEK: «L'esperienza è un'osservazione provocata in vista del controllo di un'ipotesi: essa rappresenta un punto di arrivo in rapporto a quest'ultima ed anche, fornendo alla riflessione del ricercatore nuovi <fatti>, un punto di partenza in rapporto alle ipotesi ulteriori. Osservazione ed esperienza fanno parte della tradizione empirista, ma fra di esse si protende, come un ponte, l'ipotesi, questo elemento razionale attraverso il quale, come dice Bernard, “lo spirito del ricercatore si trova in qualche modo collocato fra due osservazioni”»[44].

Resta, ad ogni modo, ancora insufficiente, se preso da solo,  questo modello di semplice inferenza dai fatti alle teorie e viceversa, cui in realtà lo schema di Bernard  di fatto si ridurrebbe. Le ipotesi e le teorie, più che originarsi da semplici osservazioni e manipolazioni sulla realtà, hanno origine quasi  sempre da altre ipotesi e da altre teorie, anche se  ciò di solito avviene sotto l'influenza delle osservazioni compiute e delle sperimentazioni realizzate.

Il ragionamento inferenziale si compie, allora, da una ipotesi o teoria ad un'altra ipotesi o teoria,  sotto il controllo dell' osservazione e dell' esperimento.

È per questo motivo che il modello di Bernard è considerato da M.D. Grmek come uno dei "miti" presenti oggi nella ricerca scientifica, appunto il «mito dell'alternarsi netto e assoluto dell'osservazione dei fatti e della creazione di ipotesi»[45].  

La metodologia scientifica evolve, oggi, nella direzione congetturale, deduttiva, problematicistica. Evidentemente si ha bisogno di pervenire ad altre sintesi ancora più funzionali. L'elemento più rilevante che di solito si tende a rimarcare nella impostazione della filosofia scientifica della scienza post-empiristica è sicuramente costituito dalla nuova e diversa considerazione che si ha della "teoria" e del suo rapporto più diretto e funzionale che instaura con la  ricerca empirica e con la sperimentazione-osservazione.

Osserva M.C. BICCHIERI : «La teoria guida l'esperimento, offre le categorie e i concetti che permettono di  interpretare le osservazioni, media l'applicazione dei risultati della ricerca. Se le teorie sono il fine della scienza, esse sono anche il mezzo indispensabile per condurre la ricerca scientifica»[46].

La teoria si pone, allora, come "paradigma", secondo T. S. KUHN, vale a dire come un modello  sintetico di riferimento, di cui si dispone per poter affrontare una qualsiasi ricerca scientifica e, nel contempo, come un referente per quella comunità o team di ricercatori che ne condividono i principi. Il paradigma, nell'accezione di Kuhn, rappresenta anche la condizione "forte" del cambiamento e delle "rivoluzioni" scientifiche che sono alla base del progresso e del cammino dell'umanità[47].

 

 

 

 

               LE CONDIZIONI PER LE IPOTESI

 

Già nel secolo XVII, ROBERT BOYLE, che con le sue opere ha cercato di far convergere in un sistema coerente e scientifico l'empirismo di Bacone e il razionalismo - congetturalismo di Cartesio, in manoscritti inediti ha evidenziato i requisiti che una "buona" ipotesi deve possedere:

 

a)   QUANDO UNA  IPOTESI DIVENTA ACCETTABILE :

Requisiti:

1.  non suppone niente di impossibile o di assurdo

2.  non è contraddittoria

3.  è capace di spiegare i fenomeni (almeno quelli più importanti)

4.  è coerente con altri fenomeni noti o con verità evidenti

 

b)   QUANDO UNA IPOTESI DIVENTA ECCELLENTE :

Requisiti:

·         TUTTI I QUATTRO REQUISITI PRECEDENTI  .....ed  inoltre :

5.  è l'ipotesi più semplice possibile

6.  è l'unica ipotesi a spiegare il fenomeno ( o a spiegarlo meglio delle altre)

7.  è capace di "predire fenomeni futuri"[48]

 

   A nostro avviso, la produzione e l'utilizzazione delle ipotesi nella ricerca scientifica diventano metodologicamente corrette e di fatto produttive se si tiene anche e soprattutto conto:  

« 1)    che ogni ipotesi è un creare in anticipo degli itinerari per la soluzione di un problema;

   2)   che ogni ipotesi è un pre-correre, un pre-vedere, una pre-concezione immaginativa e
creativa di ciò che potrebbe essere vero;

   3)   che ogni ipotesi sorge dai problemi e si connette  all' osservazione ed alla sperimentazione;

   4)   che ogni ipotesi va validata, confrontata, verificata, confutata;

   5)  che ogni ipotesi è espressione di inventività,  produttività e crescita del pensiero»[49] .            

 

Nel testo dei Programmi Didattici del 1985, si trova il diretto richiamo al metodo delle ipotesi:

«L'EDUCAZIONE SCIENTIFICA si propone come obiettivi fondamentali... l'intraprendenza  inventiva, soprattutto  per quanto riguarda la formulazione di ipotesi e spiegazioni... ».

 

 

3.2.  LA FUNZIONE DEL RAGIONAMENTO TRA INDUZIONE E DEDUZIONE

 

 

Un secondo elemento nuovo che, insieme all'ipotesi, entra nel contesto della metodologia scientifica è costituito dall' uso sistematico del "ragionamento", con il quale vengono "trattate" le ipotesi e le induzioni.

L' utilizzazione del momento raziocinativo nella sequenza logica della ricerca  serve a decontestualizzare il procedimento, seppure vincolandolo ai dati probatori dell'osservazione e dell'esperimento; essa consente anche un incontro funzionale tra il procedimento induttivo e quello deduttivo.

   Per esaminare più da vicino la specifica funzione del momento di riflessione razionale nella metodologia scientifica, analizziamo brevemente alcuni schemi classici che possono bene esemplificare, seppure in sintesi, i rapporti tra  la procedura induttiva e quella deduttiva.

 

3.2.1.    Lo schema "abduttivo" di C.S. PEIRCE

 

Il termine "abduzione" è da riferire a C.S. PEIRCE, anche se il concetto che esso esprime ci fa risalire a DAVID HARTLEY, sostenitore,  nell'ultima metà del Sec. XVIII della teoria dell' "etere", o fluido sottile ed elastico, con il quale si riusciva a spiegare molti fenomeni fisici ( calore, gravità, elettricità e magnetismo) e psichici (percezione, memoria, attività della mente).

Non potendo utilizzare lo schema baconiano per giustificare la presenza e gli effetti dell'etere, Hartley avrebbe utilizzato, secondo L.Laudan, il seguente schema:

 

          «C' è un fenomeno x.

           Se ci fosse un etere, ne seguirebbe x.

          Quindi probabilmente c'è un etere.»[50] . 

 

In questo schema logico, si connettono tre elementi:

 

  un dato provato, osservato o sperimentato, corrispondente al primo livello della sequenza logica in cui si ritrova l'affermazione: "C' è un fenomeno x";

 

   un ragionamento che deduce dal primo livello una eventualità o  possibilità: "Se ci fosse un etere, ne seguirebbe x"; il  ragionamento è di tipo deduttivo, benchè poggiante su premesse  osservative od anche frutto di precedenti inferenze induttive;

 

   una ipotesi "Quindi probabilmente c'è un etere", che viene fuori dal ragionamento deduttivo, ma anche dalle premesse osservative.

 

Questa procedura, cui Peirce dà il nome di abduzione , o di ragionamento "retroduttivo", risulta essere particolarmente creativa, efficace e produttiva.

Potremmo, allora, definire l'abduzione come quel ragionamento che porta all'adozione di una ipotesi sulla base di dati probatori; essa rappresenta per Peirce «il processo di formazione di un'ipotesi esplicativa», ma anche«la sola operazione logica che introduca una nuova idea»[51].

 

Lo schema logico dell'abduzione può essere così sintetizzato:

    

  1^ FASE : I DATI PROBATORI: ----> Si osserva il fenomeno "O".  

 

  2^ FASE : IL RAGIONAMENTO: -----> Se l'ipotesi "H" fosse vera, il fenomeno "O"
                                                                            sarebbe ad essa conseguente.

 

  3^ FASE : L'IPOTESI: -----------> È possibile che l'ipotesi"H"sia vera.

 

Come si vede, il ragionamento abduttivo è in qualche modo diverso da quello induttivo, anzi per Peirce le due procedure hanno nella ricerca scientifica una funzione opposta. «Si tratta - scrive l' Autore - di poli opposti della ragione, uno il ragionamento meno efficace, l'altro il ragionamento più efficace. Il metodo dell'uno è l'opposto del metodo dell'altro [...]. L'abduzione cerca una teoria. L'induzione cerca dei fatti»[52].

 

Quali considerazioni possono essere proposte sulla funzione del ragionamento abduttivo nella procedura scientifica?

Lo schema abduttivo mette in evidenza alcuni fondamentali aspetti della  metodologia della ricerca scientifica, quali la valorizzazione delle risorse raziocinative, argomentative e logiche di chi ricerca, la creatività connessa alla procedura logica, il cercare un elemento connettore tra il momento dell' osservazione e quello della formulazione dell' ipotesi. Si tratta di un modello sequenziale-continuo, perchè il risultato di un'abduzione può essere utilizzato come base per impostare una nuova abduzione.

Nel procedimento, comunque, il ragionamento presuppone che l'ipotesi ad esso conseguente sia già presente, sicché le ipotesi non compaiono soltanto nella parte finale della procedura, ma sono già presenti nelle premesse.

Per questo motivo, osserva M. Pera, «l'abduzione non può essere un'inferenza con cui si generano idee nuove, ma al più un'inferenza con cui si perseguono idee già formulate o si riconoscono meritevoli di attenzione e sviluppo»[53].

Non per questo, comunque, è da disconoscere l'alta funzione formativa di questa procedura metodologica ai fini della didattica delle scienze e la particolare efficacia che essa garantisce nel porsi come controllo logico dell'ipotesi, soprattutto nella prima sua valutazione, quella della sua plausibilità e proponibilità.

 

3.2.2.     L' "induttivismo qualificato" di J. STUART MILL

 

Viene definito da Marcello Pera "induttivismo qualificato" quella serie di concezioni che si trovano a metà strada tra la tesi ipotetico-deduttiva e quella induttiva e che possono essere riportate alle teorie espresse nel merito da J. STUART MILL e sviluppate, poi, da R. CARNAP, da J. P. DAY e da G. H. VON WRIGHT.

Il punto centrale di questa concezione è costituito dalla necessità di sostituire al "metodo diretto", con il quale si indagano i fenomeni empirici della realtà, gli altri due metodi, quello deduttivo e quello ipotetico, a seconda della strutturazione dei fenomeni e della loro complessità, dal momento che non tutti i fenomeni hanno una stessa configurazione e che quasi sempre gli effetti vanno posti in relazione ad una complessità di cause.

Il metodo deduttivo , secondo Mill, si sviluppa attraverso tre stadi: «il primo, d'induzione diretta dai fenomeni osservati, per accertare le leggi delle cause; il secondo, di calcolo o raziocinio, per determinare l'effetto prodotto dalla combinazione delle cause; il terzo, di verifica empirica, per stabilire l'accordo con l'esperienza delle conclusioni calcolate. Il metodo ipotetico - che è una variante di quello deduttivo - è analogamente a tre stadi ma con la formulazione ipotetica della legge al posto della sua derivazione induttiva»[54].

La strutturazione logica della procedura induttivo-deduttivo-ipotetica, secondo quanto sopra rappresentato, può essere la seguente:

 

  PROCEDURA DEDUTTIVA                                       PROCEDURA IPOTETICA

 

1^ FASE    I (=induzione diretta)                               L (=formulazione dell’ipotesi)

2^ FASE    C (=calcolo degli effetti prodotti             C (come a fianco)

                  dalla combinazione delle cause)

3^ FASE    V (=verifica)                                             V (come a fiamco)

 

 

 

 

Come si evince dallo schema, nella procedura scientifica, gli "induttivisti qualificati" combinano tra di loro le induzioni, le ipotesi, il ragionamento e la verifica e tracciano due itinerari metodologici che evidenziano da un lato gli elementi classici della procedura induttivistica e da un altro gli elementi congetturali ed argomentativi. Non si deve, però,  pensare ad una sintesi "eclettica", essendo la risoluzione a doppia via una costruzione funzionale per pervenire con maggiori garanzie di certezza ai risultati della ricerca.

L'utilizzazione dell'una o dell'altra procedura, è in funzione, come si è detto, della natura della ricerca.

Nella procedura deduttiva si parte comunque da una induzione: il momento induttivo, corrispondente alla prima fase della procedura è utile per scoprire le leggi empiriche, ma non può essere utilizzato in maniera indiscriminata. Quando un fenomeno non può essere indagato con il metodo "diretto" o quando bisogna scoprire delle leggi teoriche, si utilizzerà la procedura ipotetica, il cui  momento iniziale non è quello dell'induzione, ma quello dell'ipotesi.

Soltanto nella prima fase i due metodi si diversificano; nelle fasi successive i momenti del ragionamento e della verifica conclusiva sono presenti sia nell'una che nell'altra procedura.

Le connotazioni proprie delle due procedure sono ben chiarite da R. CARNAP, il quale alla domanda  "- Come arriva un fisico ad una legge empirica?" risponde: «Egli osserva determinati eventi in natura e nota determinate regolarità; descrive queste regolarità facendo una generalizzazione induttiva»[55].  Su come, invece, sia possibile arrivare alle leggi teoriche, Carnap considera: «Non possiamo dire: <limitiamoci a collezionare un numero sempre maggiore di dati, quindi generalizziamo al di là delle leggi empiriche,finché non raggiungiamo le teoriche>. Nessuna legge teorica è mai stata scoperta in questo modo. Noi osserviamo pietre e alberi e fiori [...] ma per quanto lunghe e accurate siano le nostre osservazioni non arriviamo mai al punto in cui osserveremo una molecola. [...] Una teoria deve avere origine in qualche altro modo; essa viene enunciata non come una generalizzazione di fatti, ma come un'ipotesi»[56].

 

Secondo questa impostazione, la scelta del metodo più opportuno, razionale e produttivo rappresenta la prima condizione necessaria per impostare con criterio ogni ricerca scientifica. E' importante che il metodo non venga dato per scontato o che venga definito una volta per sempre sulla base di un modello standard predefinito o lineare: nel progetto di ricerca vanno individuate e tracciate gli itinerari e le procedure metodologiche che meglio si adattano al tipo di ricerca da realizzare.

Seguendo le indicazioni di Marcello Pera, più volte citato nel corso di queste riflessioni, potremmo  individuare come appresso i parametri logici di riferimento per procedere alla scelta dell'una o dell'altra procedura metodologica in esame:

 

1. LIVELLO  EMPIRICO  :  ricercare la validità dell' enunciato:

                            "I LEONI SONO CARNIVORI" (H1)

Scelta del metodo  :  Considerazioni: 

                   * in H1 si fa riferimento a individui (leoni)...

                   * ci si riferisce a predicati (carnivori)...

                   * le proprietà sono osservabili...

                   * H1 può essere confermata con osservazioni ed

                     esempi...

   ... IL METODO SARA' DI TIPO INDUTTIVO-OSSERVATIVO E       
               PROCEDERÁ SECONDO LA SEQUENZA :

             I ------>  C  ------>  V

 

 

2. LIVELLO TEORICO  :  ricercare la validità dell'enunciato:

            "I MAGNETI SONO COMPOSTI DI CORRENTI ELETTRICHE" (H2)

Scelta del metodo  :  Considerazioni:

                   *  in H2 si fa riferimento a predicati

                      non osservabili (corrente elettrica)...

                   *  le proprietà sono stabilite tramite

                      inferenze logiche o analogiche...

                   *  H2 rimanda a una teoria che  potrebbe

                      essere tanto vera quanto falsa...

    ... IL METODO SARA' DI TIPO IPOTETICO-DEDUTTIVO E

        PROCEDERA' SECONDO LA SEQUENZA:

              L ------>  C  ------> V 

 

IMPLICAZIONI DIDATTICHE :

 

o           A livello didattico, in particolar modo nella scuola elementare, è mal posto il problema sui modelli e sulle procedure della ricerca scientifica, se essi propongono l'opposizione tra la tecnica induttiva e quella deduttiva.

o           L'alternativa non è tra induzione e deduzione, semmai tra le opportunità che offre una visione della scienza di tipo osservativo ed empirista e quelle che invece presenta una concezione di tipo congetturale e discorsivo.

o           Il sapere scientifico è comunque connesso all'abilità del ricercatore di saper «costruire dei fenomeni, ovvero dei “micromondi"», ed alla sua capacità di saper «operare passaggi “orizzontali” da una forma di conoscenza locale all'altra", piuttosto che di saper"applicare teorie generali a casi particolari»[57].

o           La scelta  va comunque effettuata sia in rapporto alle esigenze logiche ed pistemologiche, sia in riferimento alle istanze di natura psicologica che gli allievi presentano.

o           Sul  piano logico-epistemologico il metodo più rispondente è quello ipotetico deduttivo; sul piano psicologico è invece quello osservativo - sperimentale, integrato dall' utilizzazione delle  risorse dell'  i n t u i z i o n e .

o           Perciò i Programmi didattici del 1985 evidenziano tra gli obiettivi fondamentali della formazione scientifica a livello di scuola elementare:

------>   sia  "LA CAPACITA' DI FORMULARE SEMPLICI RAGIONAMENTI
                         IPOTETICO - DEDUTTIVI"

------>   sia  "LA CRESCENTE PADRONANZA DI TECNICHE D'INDAGINE DA QUELLE
                         DI TIPO OSSERVATIVO, SINO ALL'IMPIEGO IN SITUAZIONI PRATICHE
                         DEL PROCEDIMENTO SPERIMENTALE".

o           In riferimento a questi obiettivi, l'Insegnante:

#  CONSENTIRÁ "ALL'ALUNNO DI FAMILIARIZZARSI CON LE DIVERSE
                METODOLOGIE DI APPROCCIO ALLE DISCIPLINE SCIENTIFICHE";

    

#  CERCHERÁ DI FAR   "SVILUPPARE IN LORO (= alunni)  UNA SEMPRE PIÚ CHIARA
                CONSAPEVOLEZZA DEI PROCEDIMENTI DELLA RICERCA  SCIENTIFICA”…

      … mirando a far realizzare... "LO SVILUPPO DI UN SAPERE…

                           *  CHE CRESCE IN MODO ORGANICO                                  

                           *  E TENDE ALLA SISTEMATICITÁ SOLO GRADUALMENTE…

                           *  DURANTE TUTTO L'ARCO DELLA SCUOLA DELL'OBBLIGO " . 

3.2.3.   La "confluenza d'induzioni" di W. WHEWELL

 

Se per i teorici come J. Stuart Mill l' "induttivismo qualificato" recupera notevolmente la funzione dell'ipotesi e la base induttiva nel contesto procedurale di tipo deduttivo, senza originare confusioni né facili eclettismi, con W. WHEWEL si sposta sempre di più l'attenzione dall'induzione all'ipotesi. In  modo particolare, l'elemento principale che viene a proporsi nella procedura scientifica è la "predittività" e la forte connotazione di creatività delle ipotesi.

Nel nuovo sistema  che va costruendosi intorno alla cosiddetta teoria della "confluenza d'induzioni", che accentua sempre di più l'impostazione deduttivistico-ipotetica della procedura scientifica, seppure essa viene espressa in una forma che secondo  M. Pera si esprime ancora in una "versione debole", vanno delineandosi nuove considerazioni e nuove istanze rispetto al già  consolidato modello induttivo-deduttivo, integrato dalle ipotesi.

 

In sintesi, le nuove istanze possono così essere codificate:    

 

a) non possono esistere regole o procedimenti capaci di assicurare in assoluto verità alle teorie  e di garantire la produzione di teorie nuove;

 

b) il processo della scoperta non è univoco, né potrebbe essere circoscritto in un solo contesto; esso prevede anche delle discontinuità logiche perché si riferisce sia agli aspetti empirici dei fatti reali, sia a quelli logico-razionali delle ipotesi e delle teorie;

 

c) una teoria scientifica può essere considerata valida ed autorevole in rapporto  al numero dei fenomeni che in essa possono trovare spiegazione ed alla "qualità" delle sue relazioni e giustificazioni: ma non per questo la teoria può essere "definitiva" e spiegarci tutto, anche se le conferme sperimentali possono darle ragione;

 

d) una particolare caratteristica di un' ipotesi o di una teoria sta nella loro predittività ed estensibilità, secondo il principio per cui «un'ipotesi che predice correttamente stati di cose futuri (specialmente se sono <sorprendenti>), o che spiega fenomeni che non era destinata a spiegare, acquista con ciò una legittimazione che  le ipotesi che si limitano a spiegare  i fatti già noti in genere non possiedono»[58].

 

Con William Whewel la serie d'induzione di cui il ricercatore può disporre nel corso della sua ricerca, confluisce in un sistema di congetture, attraverso le quali è possibile predire i casi  di fenomeni appartenenti ad una specie diversa rispetto a quelli che sono stati considerati  al momento della formulazione dell'ipotesi di partenza. Per tale motivo  si può parlare di "confluenza d'induzione", in cui le induzioni che convergono in un sistema costituiscono la base per la formulazione corretta dell'ipotesi.

Lo schema di Whewel diventa utile per espandere la conoscenza scientifica e per fornire alla ricerca impostata sulle ipotesi derivanti dalle  confluenze induttive una base di concretezza, in maniera da evitare ogni possibile evasione nell'immaginazione e nella fantasia del ricercatore. Esso è anche un  modo per far raggiungere alla ricerca buoni livelli di economicità, in quanto propone, da un lato, di ridurre al massimo spiegazioni e  ipotesi superflue, un pò come il "rasoio di Occam" operava per la logica[59] , e, da un altro lato, di far rientrare nella teoria quanti più casi particolari possibili.

Le fasi procedurali secondo l'itinerario sopra descritto sono le seguenti:     

 

                       CONFLUENZA D'INDUZIONE  (CI)

 

 C.I. 1 -------->      operazione :                                           

        *     ELABORARE UNA IPOTESI CHE SPIEGA  DUE O PIÚ CLASSI DI FENOMENI

                  

       -------->         utilità :                  

        *     RIDUZIONE DELLE SPIEGAZIONI  E DELLE IPOTESI

 

  Nota :  In C.I. 1 non si origina ancora il progresso della ricerca, ma si pongono le
                          premesse perché la scoperta possa alla fine essere garantita

 

  C.I. 2 -------->       sviluppo :

         *     L' IPOTESI PREDICE CASI DI UNA SPECIE DIVERSA RISPETTO A QUELLI
                            CONTEMPLATI AL MOMENTO DELLA SUA FORMULAZIONE  INIZIALE

 

       -------->          serve a :    

         *      FAR AUMENTARE I CONTENUTI ESPLICATIVI DELLA SCIENZA

 

   C.I. 3 -------->       sviluppo :

          *      L'IPOTESI PREDICE O SPIEGA CASI O  FENOMENI INATTESI O SORPRENDENTI


                    -------->       si perviene alla :

          *      SCOPERTA SCIENTIFICA   

 

       Se, ad esempio, applicassimo lo schema della confluenza delle induzioni alla teoria gravitazionale di Isaac Newton, avremmo i seguenti passaggi:

 

C.I. 1   : Newton  unifica le teorie precedenti intorno al fenomeno della caduta libera dei corpi e cerca di ridurne le spiegazioni.

 

C.I. 2   : L'ipotesi che spiega la caduta  dei corpi (la "mela che cade dall'albero") può spiegare anche perché la Luna accelera il suo moto in prossimità della Terra.

                     

C.I. 3   : Si scopre la legge della gravitazione universale, un fatto sorprendente e non ipotizzato da Newton, all' inizio della sua ricerca.   

 

In questo modo la scoperta scientifica diventa "sorpresa produttiva", permeata di creatività e di generatività , mentre, a livello didattico, il procedimento scientifico va assumendo anche il carattere che i Programmi attribuiscono alla matematica, con la quale  è naturalmente combinata: una "affascinante attività del pensiero umano"!

 

 

3.2.4.   Lo schema a "spirale" di R.B. CATTEL

 

Da quanto si è fin qui considerato, è facile comprendere che  nella ricerca scientifica è difficile oggi ritrovare il metodo induttivo "puro", conforme a quello originario e contrapposto a quello deduttivo. Nella metodologia della ricerca e, conseguentemente nelle procedute didattiche e di apprendimento delle scienze,  sono presenti ed operanti i momenti  del ragionamento e della ipotesi, importanti proprio come quelli dell'osservazione, dell'esperimento e della verifica.

A proposito della procedura induttiva, ALDO VISALBERGHI, seguendo l'impostazione che John Dewey ha dato alla struttura ed alla valenza formativa dell’indagine, scientificamente condotta, così si esprime:  «Un procedimento induttivo nel senso tradizionale ed ingenuo del termine non esiste, perché non esiste indagine senza problema e senza ipotesi di soluzione, ovviamente formulate in termini concettuali preesistenti»[60].   

Non vi è ricerca vera quando si procede meccanicamente soltanto per inferenza e quando alla sua base manca la "situazione problemica", dalla quale assumono rilevanza e forza i successivi momenti della razionalizzazione, della produzione delle ipotesi e della verifica.  Ma proprio come non può esserci una indagine senza ipotesi e senza ragionamento, allo stesso modo la ricerca non può esaurirsi in procedure  e schematizzazioni tendenti a considerare l'osservazione e la verifica soltanto in funzione della convalida o smentita dell'ipotesi.

 Molto utile per un ulteriore tentativo di sintesi funzionale e di superamento della sterile contrapposizione tra la logica induttiva e quella deduttiva, oltre a quelli sin qui considerati, risulta essere il modello operativo costruito da  RAYMOND B. CATTELL, che collega tra di loro, mediante un andamento "a spirale" e continuo,  una "induzione ragionata" e rivalutata, poggiante sulle prime osservazioni ed esperimenti, che rappresentano anche la base problematica,  con  una "ipotesi pienamente sviluppata e rifinita" e con una deduzione delle conseguenze che dalle ipotesi possono scaturire per gli ulteriori esperimenti ed osservazioni.

Il metodo di Cattel, dinamico e continuo, è definito  "INDUTTIVO - IPOTETICO - DEDUTTIVO   (H ---> I ---> D.... , inductive - hypotetic - deductive): esso parte da un approccio con il, problema di tipo esplorativo ed osservativo, connette  tra di loro induzioni e deduzioni, assicura con le ipotesi il momento della creatività scientifica e torna  alla verifica mediante l'esperimento, che è poi la base per far sorgere nuovi problemi, nuove osservazioni e nuove ipotesi.  La "spirale" di Cattell viene da A. Visalberghi così rappresentata:

 

LA SPIRALE INDUTTIVO-IPOTETICO-DEDUTTIVA SECONDO RAYMOND B. CATTELL [61]

 

                        *    DEDUZIONE

                           

                                     *    IPOTESI

 

                               *    INDUZIONE

      

                      * ESPERIMENTO - OSSERVAZIONE

                      

                                 *    DEDUZIONE DI CONSEGUENZE  PER L'ESPERIMENTO O         
                                                    L'OSSERVAZIONE

 

                                         *    IPOTESI

 

                              *    INDUZIONE RAGIONATA  DI QUALCHE "REGOLARITÁ"

 

             *        ESPERIMENTO - OSSERVAZIONE

 

Il sistema operativo di Cattell assicura una progressione continua e coerente all'attività di ricerca e d'indagine e si presta bene ad essere applicato in pedagogia ed in didattica. Esso risponde ad una logica di relazionalità e di complessità, che è, poi, quella che viene applicata sia alla "ricerca della didattica", che è quella ricerca che si riferisce al macrosistema educativo, e sia alla "ricerca nella didattica", che si riferisce all' insegnamento ed agli apprendimenti riguardanti le singole discipline di studio.

Operare secondo il modello cattelliano a "spirale", vuol dire attivare quasi tutte quelle risorse ed  operazioni mentali che garantiscono la conoscenza e la comprensione del mondo, costruite e realizzate sulla base di un approccio di tipo "transazionale" e "sistemico", piuttosto che lineare e deterministico.  Osserva un proposito A. Visalberghi: «Cattell patrocina i metodi “multivariati” d'indagine piuttosto che quelli “bivariati”, che rispondono a più semplici schemi di causa ed effetto», quelli che «rispetto ad una visione “internazionale” del mondo privilegiano una visione “transazionale"»[62].

 

Una forte limitazione dello schema  IHD è data dalla sua vaghezza ed indeterminazione in ordine alla individuazione del punto di inizio della spirale. Cattell individua nella situazione  problematica la condizione iniziale per impostare l'andamento a spirale della ricerca; questa specifica dimensione, però,  non viene definita in maniera specifica e chiara nella sequenza, perché è connessa al momento dell'osservazione-esperimento e da questo viene assorbita. Il problema sorgerebbe dall'osservazione del fenomeno o dai risultati dell' esperimento.

Ora, è sicuramente vero che la base empirica, osservativa, descrittiva e di controllo, produce i problemi, ma è altrettanto vero che la situazione problematica è caratterizzata da dubbi, incertezze, sospetti, meraviglia, curiosità, che sono antecedenti alle osservazioni ed ai fatti sperimentati. Questi parametri vanno, pertanto, isolati e visti come dimensioni di partenza sulla base delle quali le ipotesi e le verifiche sperimentali acquistano consistenza e rilevanza nel processo di ricerca. Il che equivale a rappresentare la necessità avvertita da molti che la problematizzazione e non l'osservazione possa essere il "primum" della metodologia scientifica. É nel procedimento ipotetico - deduttivo, ed in modo particolare nella sua versione "forte" di tipo popperiano, che la problematicità si pone  come punto di partenza della metodologia della ricerca scientifica e, con la sua logica antidogmatica e probabilistica, fa realizzare un grande salto di qualità all'epistemologia, garantendo alla ricerca nuovi spazi  operativi e più sicure possibilità di progresso.               

 

 

3.3. PROBLEMI,IPOTESI E VERIFICHE NELLA METODOLOGIA IPOTETICO-DEDUTTIVA

 

  

Non potrebbe essere compresa in pieno la portata educativa e la valenza scientifica della metodologia ipotetico-deduttiva, se questa non venga collegata ad una importante impostazione epistemologica che fa capo al "razionalismo critico", elaborato soprattutto da K.R.Popper, nota anche come "epistemologia fallibilistica".   Il senso profondo di un fallibilismo in campo epistemologico è costituito dalla necessità scientifica e culturale di superare ogni impostazione o visione "essenzialistica" o "perennelistica” della scienza.

La ricerca scientifica non può pervenire a risultati definitivi, assoluti e certi, proprio come, allo stesso modo, le teorie scientifiche non possono avere pretese di completezza, veridicità e longevità.

Al contrario, l'epistemologia fallibilista  procede secondo la sequenza logica  "PROBLEMI --->  TEORIE ---> CRITICHE" e afferma come propri i seguenti principi:

 

   a)  la congetturalità o la ipoteticità della conoscenza e dei cosiddetti "sistemi" scientifici interpretabili relativisticamente ed in relazione ai sistemi di osservazione e di riferimento;

   b)  la smentibilità e la fallibilità delle teorie o delle ipotesi, assegnando valore epistemologico all'errore, al sospetto, al dubbio, piuttosto che alla certezza, all'evidenza, alla dimostrazione;

   c)  la falsificabilità  di principio di ogni teoria e di ogni ipotesi,tentata non tanto e non solo dai ricercatori che già si oppongono  ai principi sottoposti ad inquisizione, ma soprattutto ed anche dallo stesso ricercatore o teorico che tale principio o teoria ha elaborato;

   d)  la problematizzazione da intendere come punto di partenza e di arrivo della ricerca scientifica, capace di suscitare la ricerca, di orientarne le osservazioni, rese significative dalle ipotesi.

 

Lo "statuto" epistemologico sopra riportato trova ulteriore conferma in questo significativo passo di D. Antiseri: «Le teorie scientifiche - egli scrive - anche le più potentemente confermate, restano sempre smentibili, perché non è escluso - da un punto di vista logico - che il prossimo controllo o un ulteriore esperimento non le possa dimostrare false. E allorché noi dimostriamo falsa una teoria, quando cioè in essa scopriamo un errore, noi ci troviamo nella pressante necessità di trovare e provare una teoria migliore, migliore della precedente, una teoria che perlomeno non contenga gli errori della precedente. E' così che avanziamo nella scienza: imparando dai nostri errori e non sbagliando mai due volte allo stesso modo»[63].

 

Dubbi, sospetti, critiche costituiscono la naturale base su cui il ricercatore radica la sua ricerca e sulla quale  costruisce il "processo" alla sua teoria dopo che l'ha elaborata.  Costituiscono anche  il clima e la temperie giusta per impostare problemi e ricerche capaci di far arricchire di nuove conoscenze il patrimonio scientifico.

 

In questo contesto acquista significato il classico schema popperiano della procedura scientifica, che si esprime nella  nota sequenza:

 

P1 -------> TT -------> EE -------> P2 ------->  ...                     

in cui:

         P1 =  il problema iniziale;

         TT =  le teorie congetturali che cercano di risolvere il  problema in esame;

         EE =  gli errori che si riscontrano nella teoria elaborata;

         P2 =  il nuovo problema che emerge dopo aver epurato la teoria degli errori in essa presenti.

 

La procedura metodologica  implicita nella sequenza popperiana può essere così riassunta:

 

  1.  Far sorgere il problema o la situazione problematica (PROBLEM POSING )

 

  2.  Elaborare  una teoria capace di fornire adeguata soluzione al problema posto, utilizzando conoscenze già acquisite, osservazioni e verifiche ( PROBLEM SOLVING ).

 

  3.  Ricercare gli errori presenti nella teoria e tentare di smentirla e di falsificarne gli assunti ( FUNZIONE CRITICA ).

 

  4.  Impostare di nuovo il problema dopo che si è proceduti a falsificare o a correggere la teoria originaria e ripercorrere il cammino attraverso nuove elaborazioni ed ulteriori falsificazioni.

 

   Lo schema concettuale più semplice che potrebbe costruirsi intorno a questi parametri potrebbe essere il seguente:

 

                  IL METODO SCIENTIFICO

 

É IMPOSTATO SU :

                1.    PROBLEMI

                2.    IPOTESI 

                3.    CRITICHE

PROCEDE ATTRAVERSO LE FASI:

 

  1. -------> IMPOSTARE IL PROBLEMA

 

  2. ------->  FORMULARE L'IPOTESI_

  3. ------->  CRITICARE L' IPOTESI E CONFUTARLA           

 

  4. ------->  REIMPOSTARE IL PROBLEMA   
                   

  5. -------> (ritornare al Punto 2) ------------------------>

 

 

 La procedura operativa sopra riportata è quella che meglio si connette alla metodologia ed alla didattica delle scienze nella scuola elementare, nello spirito dei Programmi didattici del 1985. I due punti essenziali di riferimento che si introducono nel quadro classico della metodologia scientifica, costituito da: OSSERVAZIONI - IPOTESI - ESPERIMENTO, sono rappresentati da:

1.      PROBLEMI E SITUAZIONI PROBLEMATICHE, che si pongono "in sintonia  con la propensione del fanciullo a porre domande e a cercare risposte"( N. P.);

2.      CRITICA E CONFUTAZIONE DELLE IPOTESI, che rappresentano funzioni         tipiche di una mente produttiva e condizioni indispensabili per  contribuire a promuovere "la progressiva costruzione della capacità di pensiero  riflesso e critico, potenziando nel contempo creatività, divergenza e autonomia di giudizio, sulla base di un adeguato equilibrio affettivo e sociale e di una  positiva immagine di sé" (N. P.) .

 

E l'immagine positiva di sé, che si costruisce nel confronto con gli altri, ha come riferimento  un modello di persona capace di pensare con la propria testa, ragionare e riflettere, progettare e decidere, apprendere, criticare e ricostruire.  É così che si garantisce la produzione delle idee "nuove" e "buone", che, ci ricorda Einstein, è un fatto veramente raro.

«Le idee nuove - precisa D. Antiseri - si ottengono immaginando (mondi possibili), congetturando, simulando, immedesimandosi, tentando e tentando ancora. La selezione delle idee buone si opera mettendo alla prova (in base all'osservazione e all'esperimento) le idee nuove, e sperando così di trovare idee  nuove <e> buone»[64].

   

Sono questi, in realtà, i tratti più "forti" non di una specifica dimensione disciplinare dell'apprendimento, ma di tutto il progetto educativo della persona umana. Segno che, impostata su questi parametri, la formazione scientifica va oltre gli specifici programmi di alfabetizzazione disciplinare, per  collegarsi ad una visione più complessa e completa dell'educazione dell'uomo. 

 Ma, la situazione problematica e critica, necessaria per impostare un corretto e proficuo "apprendimento" delle scienze, non è un dato di fatto già assicurato dalla nostra cultura e  dalla nostra scuola. Essa va ancora impiantata e costruita e non sovrapposta; va fatta crescere mediante i modi di fare e di essere, con la qualità e le modalità delle relazioni e dei rapporti  che si instaurano all'interno del contesto operativo e con il giusto "clima" che deve poter sostenere le attività.

Due ci sembrano, allora, le condizioni più importanti da garantire per poter impostare una corretta metodologia d'indagine ispirata ai criteri sopra esposti:

 

    1.  far esprimere prioritariamente tutte quelle potenzialità e quelle forze interne al soggetto, che naturalmente fanno dirigere verso  la dimensione problematizzante, facilitano la ricerca e sostengono nell' attività del "problem-solving";

 

    2.  cercare di "educare ai problemi", non in senso tecnicistico o soltanto  strumentalistico, ma nel senso di far maturare nelle persone la consapevolezza sul fatto che "la vita  è un risolvere i problemi", come direbbe Popper, in maniera da far interiorizzare nel soggetto modelli di  comportamento, validi per tutte le dimensioni della sua esistenza, considerato che, come K. Duncker ha precisato,  un problema si presenta ogni qualvolta un essere umano  ha un obiettivo da raggiungere e non sa come fare per realizzarlo.

 

   Esaminiamo queste due coordinate un pò più da vicino.     

 

3.3.1.  La  "sacra  curiosità", la  meraviglia, l'interesse...

 

Nella sua Autobiografia scientifica , A. Einstein definisce "sacra"la curiosità che è soprattutto nei bambini e la considera, insieme alla meraviglia, una  importantissima  potenzialità che sta alla base dell'interesse scientifico e della ricerca.

Leggiamone il passo:

«E' un vero miracolo che i metodi moderni di istruzione non abbiano ancora completamente soffocato la sacra curiosità della ricerca: perché questa delicata pianticella, oltre che di stimolo, ha soprattutto bisogno di libertà, senza la quale inevitabilmente si corrompe e muore. E' un gravissimo errore  pensare che la gioia di vedere e di cercare possa essere suscitata per mezzo della coercizione e del senso del dovere»[65].

     

Tra le varie pre-condizioni che possono essere ricercate per facilitare l'attività del "problem-posing" e che possano garantire, come dice Einstein, "la gioia di vedere e di cercare", possiamo annoverare:

 

     ***  la curiosità, che è la naturale dimensione di ogni uomo di penetrare i significati delle cose, di esplorare, di osservare, di conoscere, di comprendere se stesso, gli altri uomini, la realtà, il mondo; è questa, come si sa una risorsa umana che viene spesa soprattutto nei primi anni di vita, anche se non si esaurisce in essi, e che alimenta i processi dell'apprendimento;

 

     ***  l' interesse, che  tiene attiva l'operabilità dell'uomo e che, diceva  J. Dewey, serve a coprire la distanza esistente tra il sé e le cose  che gli stanno di fronte, in maniera tale che il soggetta possa meglio comprenderle ed interiorizzarle; 

 

     ***  il sospetto, che  rende diffidenti sul "sapere già fatto", sulle conoscenze e convinzioni assunte senza riflessione critica e che, invece, favorisce  la critica, il problema e la ricerca di soluzioni nuove;

 

     ***  la meraviglia, che aiuta l'uomo a stupirsi ancora delle cose del suo mondo, ad apprezzarle, ad isolarle dal continuo loro scorrimento che finisce col presentarle in maniera ovvia, scontata, meccanica, senza più ragione  interna;

 

    ***   l'aspettazione mancata di un evento, di un fatto, di una circostanza, che si prevedevano potessero accadere sempre nello stesso modo e che invece si presentano in maniera difforme rispetto alle attese;

 

    ***   il bisogno di conoscenza, insito nell'uomo, che lo fa essere

inquieto, inappagato, solleticato continuamente dalla ricerca di verità, di spiegazioni, di cause, di ragioni...

 

Può sembrare strano, ma  l' attività di ricerca e la formazione scientifica nella scuola  di base, a partire dai livelli della scuola materna, nascono dall'attivazione di queste forze, che D. Antiseri chiama molto appropriatamente  "i vestiti psicologici del problema", perché è su di esse che la funzione di problematizzazione, indispensabile per ogni ricerca utile sotto il profilo della formazione, si fonda ed è da esse che si origina.

 

 

                       LA MERAVIGLIA

 

1.   CHE COS'É: «E' l'affioramento nel conoscere delle novità ed imprevedibilità della natura»[66]

 

2.   DA DOVE SI ORIGINA:   Proviene da situazioni:

                                >>  di cui si ignorano le cause;

                                >>  che contrastano con altre situazioni analoghe;

                                >>  che rappresentano delle novità;

                                >>  che sono paradossali.      

 

3.   DOVE   PORTA  :     Non è fine a se stessa: essa è destinata a svanire «ed è naturale che svanisca dopo aver fatto nascere il problema in un pensiero che pretendeva di aver esaurito la realtà»[67].   

Essa, pertanto, conduce  al PROBLEMA   ed  affina l' osservazione.

 

4.   QUALI SONO LE SUE CARATTERISTICHE  :

 

o           è attività del pensiero,

o           è conflittualità con i principi fissi o già interiorizzati;

o           è «attesa di capire l'esperienza, come in Jung, o, come in Stevino, attesa di ripristinare la legalità», vale a dire la procedura della ricerca[68].             

 

5.    COME PUÓ ESSERE EDUCATA  :

 

          >>    dubitando delle regole e delle spiegazioni tradizionali;

 

          >>    evitando di considerare eventi, fatti e teorie entro parametri di inesorabilità,

                meccanicità, ovvietà;  

          

          >>    prestando attenzione a fenomeni e a teorie  che divergono  o si discostano

                dagli standard usuali;

 

          >>    avendo la consapevolezza che ancora non si conosce il mondo in cui si vive.

 

6.   RIFERIMENTI:

 

A.  LA BUSSOLA DI EINSTEIN

              « Questa “meraviglia”  si manifesta quando un'esperienza  entra in conflitto con un mondo di concetti già sufficientemente stabile in noi...   Provai una meraviglia di questo genere all'età di 4 o 5 anni, quando mio padre mi mostrò una bussola. Il fatto  che quell'ago si comportasse in quel certo modo non si accordava assolutamente con la natura dei fenomeni che potevano trovar posto nel mio mondo concettuale di allora, tutto basato sull'esperienza diretta del “toccare”. Ricordo ancora - o almeno mi sembra di ricordare - che questa esperienza mi fece un'impressione durevole e profonda. Dietro alle cose doveva esserci un che  di profondamente nascosto. Ciò che l'uomo vede davanti ai suoi occhi fin dall'infanzia non provoca  alcuna reazione di questo genere; egli non si stupisce della caduta dei corpi, del vento e della pioggia, della                 luna o del fatto che la luna non cada, né della differenza fra materia vivente e non vivente»

                                           (Autobiografia scientifica).

 

 

B.  LE APORIE DI ARISTOTELE

 

               « Si prova meraviglia per quelle cose che accadono secondo natura, di cui, però, s'ignora la causa...Tale è il caso in cui il maggiore è vinto dal minore e cose aventi piccolo peso muovono grandi pesi e tale quello di quasi tutti i problemi che chiamiamo meccanici... Alle aporie di questo genere appartengono anche i problemi che riguardano la leva»

                                                        (Mechanica).               

  

o               NELLA  SCUOLA  RIUSCIAMO  A  FAR   MERAVIGLIARE  GLI ALLIEVI?                                         

o               LA RISORSA DELLA MERAVIGLIA VIENE UTILIZZATA NELLA DIDATTICA?                                     

 

 

3.3.2.    Educare ai problemi 

 

 

Allorché nell'ambito dell'apprendimento scientifico, ispirato ad un'impostazione congetturalistica e di ricerca, si fa riferimento ai problemi, si vogliono con ciò richiamare una dimensione operativa ed uno stile procedurale ben individuabili e circoscrivibili. Una dimensione ed uno stile che si costruiscono e si acquisiscono sulla base di dati e di situazioni concrete, caratterizzate da tutti quegli elementi fin qui considerati: il bisogno intraprendere ricerche conoscitive non fermandosi a modelli già precostituiti, l'esigenza di cercare nuove soluzioni a problemi già risolti da altri, la motivazione alla comprensione come atto del "prendere-insieme" e come "possibilità" di scelta e decisione nei riguardi di varie configurazioni e di diverse alternative possibili tra i modelli che tentano di interpretare il mondo, come giustamente rileva il fisico ed epistemologo ILYA PRIGOGINE.

 

Il riferimento, allora, non può essere al problema specifico che insorge nella stretta referenzialità individuale; né può essere al quesito o alla esercitazione per la ricerca di risposte a domande o di itinerari diretti che conducano a risposte univoche e già in anticipo predeterminate. Educare ai problemi è qualcosa di molto diverso dalla pratica tecnicistica ed operativa tipica di una impostazione matematica ormai superata. L'attività di soluzione dei problemi, è precisato nei Programmi didattici per la scuola elementare, è caratteristica specifica del pensiero matematico che si origina e si consolida, unitamente al "pensiero scientifico", entro "situazioni problematiche concrete".

E' negli ambiti "di esperienza e di studio", continua il testo dei Programmi, che vanno individuate tali situazioni-problemi, in maniera da "giustificarne ipotesi di risoluzione con l'uso di appropriati strumenti".

La situazione di problematicità, da cui si originano ed in cui trovano motivazione le attività di comprensione e di ricerca scientificamente impostate, esclude per se stessa ogni riferimento all'automatismo ed al modello precostituito. «Un problema – precisa  G. KANIZSA - sorge quando un essere vivente, motivato a raggiungere una meta, non può farlo in forma automatica o meccanica, cioè mediante un'attività istintiva o attraverso un comportamento appreso»[69] e ciò sta a significare che ogni attività  di soluzione del problema rappresenta non un dato ma un processo, il che poi vuol dire che l'atto del "problem  posing" e del "problem solving" sono del soggetto che conosce e non della realtà oggetto di conoscenza.

 Considera ancora Kanizka: «Si converrà senza difficoltà che esiste un problema solo là e quando vi è una mente che vive una certa situazione come problema. Diciamo di più, e più esattamente: vi è problema solo quando la mente crea o determina il problema: vi è problema solo nella dimensione psicologica, non in quella naturale, o oggettiva»[70].

 

E' per questi motivi che alla pratica delle attività di apprendimento per problemi,in aggiunta a quelli particolari e specifici della conoscenza, si connettono fondamentali valori educativi, come quelli connessi alla creatività del soggetto, e si collegano ad essi tensioni e progressioni che spingono ed orientano verso il nuovo, il cambiamento, il continuo oltrepassare i confini ed i limiti delle conoscenze già consolidate. E' l'elemento della "novità" che contraddistingue più di ogni altro la problematizzazione. «Un problema - ci ricorda P. OLERON - esiste solo quando il soggetto affronta una situazione nuova, il che esclude i casi in cui le situazioni sono di tipo abituale o sono dominate dalla messa in atto di automatismi...Non vi è dunque problema se la situazione attuale è la riproduzione di una situazione precedente»[71].

Il che vuol dire  che  nell'apprendimento corretto di tipo scientifico non vi possono essere ritualismi o reiterazioni di modelli e di procedure didattiche  e che l'intervento prioritario da parte degli insegnanti è da garantire  sulle condizioni e sulle situazioni che dovrebbero far sorgere problemi, ipotesi e controlli.  In questa prospettiva, osserva U. TENUTA, «il compito degli insegnanti non è tanto quello di proporre i problemi quanto quello di farli nascere negli alunni, di farli scaturire ed avvertire, per cui si può dire che l'insegnante non pone i problemi,  ma li suscita»[72]. 

Nell'attività di problematizzazione e di ricerca attraverso il problema vengono ad incontrarsi e ad armonizzarsi due funzioni speciali e tipiche dell'apprendimento dell'uomo: la procedura "euristica" o attività di ricerca e di indagine sulle cose e la funzione "ermeneutica" o azione di  interpretazione e di decodificazione della realtà simbolica.

L'una e l'altra attività, quella del ricercatore che procede secondo un ordine razionale alla  scoperta del mondo e quella dello studioso che si applica sulla interpretazione dei codici e dei linguaggi per intendere e capire sono vincolati alla stessa precondizione di problematicità e fanno riferimento alle stesse forze e risorse interiori dell'uomo, utilizzando in sostanza la stessa metodologia operativa.

Ma c'è di più: l'una e l'altra attività sono complementari nei confronti della conoscenza ed all'azione di ricerca è sempre associata quella di interpretazione, di decodificazione e di precomprensione, essendo essa codificata in un sistema simbolico particolare. E' da vedere in questa impostazione il vero superamento dell'ottica strettamente  empiristica: la ricerca scientifica, pur se riferita ad aspetti concreti e reali, è un fatto "culturale" e si esprime secondo i linguaggi elaborati dalla cultura del tempo.

Non vi può essere, allora, attività di scoperta e d'indagine senza attività interpretativa ed ermeneutica: il metodo scientifico di Popper, sintetizzabile nelle tre famose variabili "problemi - teorie - critiche",  s'incontra con il "circolo ermeneutico" di Hans Georg Gadamer, che descrive e chiarisce ciò che accade nel processo interpretativo, e ciò che quivi accade è molto simile a ciò che si verifica nel processo euristico: precomprensioni, anticipazioni, verifiche...

Dario Antiseri ha ben evidenziato questo rapporto d'identità: «Il circolo ermeneutica -  egli scrive - e il metodo delle congetture e delle confutazioni sono la stessa cosa: ambedue descrivono il medesimo evento e prescrivono la medesima procedura. Gadamer è il filosofo del pre-giudizio:  l'interprete non si accosta al testo con la mente vuota di baconiana  memoria; e Popper  ha sempre insistito sul fatto che noi viviamo costantemente al centro di quello che egli chiama <un orizzonte di aspettazioni>... Ecco quindi la mia tesi centrale: la teoria ermeneutica di Gadamer e l'epistemologia fallibilista di Popper sono lo stesso procedimento metodologico espresso in due lingue diverse[73].

 

   Il rapporto di complementarità tra euristico ed ermeneutico, esaminato da un'ottica un pò diversa da quella antiseriana, riesce a rinsaldare, nell'attività di apprendimento per problema e per indagine, i momenti analitico-sintetici che intervengono nel processo di comprensione ed a connettere tra di loro conoscenza e osservazione.  Con il comportamento euristico, rileva D. DEMETRIO, si potrebbe anche indicare «un'attività di analisi e sintesi di quanto si è osservato o esperito o sperimentato e, nell' atteggiamento interpretativo, invece, l'uso di sintesi entro le quali includere, ma non è sempre indispensabile per l'interpretazione,i dati analizzati e ricomposti dal momento precedente»[74].

 

Capire un problema  è un tutt'uno che impostarlo. E ricercare  la soluzione più giusta per quel problema non è altro che un procedere per interpretazioni e decodificazioni di teorie ed ipotesi che in precedenza hanno cercato di risolverlo. I passaggi obbligati di questo procedimento sono possibili se vengono attivate le risorse personali di critica, percezioni ed osservazioni, analisi e sintesi, dubbi e verifiche.

 

                                 I      P R O B L E M I

 

CAPIRE UN PROBLEMA E' :    

 

 1.  RIUSCIRE A PERCEPIRE IL PROBLEMA    

     Il che comporta le seguenti pre-condizioni:

        *   non accontentarsi delle conoscenze che già si possiedono;

        *   saper andare "oltre" l'ovvietà, l'evidenza o le suggestioni che possono provenire dalle percezioni;

        *   saper utilizzare e padroneggiare risorse e funzioni personali  quali:

                   -   curiosità cognitiva

                   -   intraprendenza inventiva

                   -   flessibilità mentale...

        *   ricercare le situazioni operative caratterizzate da:

                   +  colloquio

                   +  discussione

                   +  confronto con tesi diverse dalle nostre

 

2.   RIUSCIRE A COGLIERE GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL PROBLEMA                                 

          Il che vuol dire:

        --->   saper «ricondurre il tutto ad elementi semplici»[75];

        --->   saper individuare situazioni, dati, variabili e mappe concettuali;

        --->   saper discriminare e scegliere i dati che vanno  considerati, eliminando perturbazioni e devianze;

       --->    riuscire a tenere in considerazione ed a controllare  insieme tutti gli elementi essenziali e le loro relazioni.

 

3.    RIUSCIRE A SCOPRIRE LE SOLUZIONI POSSIBILI  DEL PROBLEMA                                   

       Il che comporta:

      #   la modifica della struttura mentale del soggetto:

             >>>    o per utilizzare le nuove conoscenze che nel  processo di problem solving si acquisiscono

                    ( STRUTTURAZIONE COGNITIVA);

             >>>    o per porre nuove relazioni tra i dati cognitivi già acquisiti (ATTIVITA' RISTRUTTURANTE).

        #    la  motivazione  a riproblematizzare ed a mettere in discussione le soluzioni provvisorie cui si è pervenuti.

 

 - PER RISOLVERE I PROBLEMI BASTANO LA RAZIONALITÁ E LA LOGICA?

 - POSSONO ESSERE UTILI ANCHE L'IMMAGINAZIONE E LA FANTASIA?

 

                                 L'equilibrio giusto va realizzato tra:

 

   DIMENSIONE RAZIONALE                           DIMENSIONE IMMAGINATIVA

  

     rigorosità dei rapporti                                      trasgressione dei  rapporti                                       
                 induzione -  deduzione                                       analogia   ­­­­

     convergenza                                                      divergenza 

     conoscenza  oggettiva                                        immaginazione  creativa 

 

                                              che portano alle

                                       IPOTESI     RISOLUTIVE

 

      

4.     VERSO  LE  SINTESI  UNIFICANTI

 

Si capisce che è oltremodo riduttivo discutere ed andare alla ricerca del miglior metodo possibile per poter impostare e gestire, oggi, nella dimensione culturale rappresentata dalla "complessità-in-divenire" e nella conseguente temperie scientifica  del post-positivismo e del problematicismo critico, una ricerca scientifica qualitativamente rilevante.

In questa dimensione  appaiono superate le forme tradizionali di dualismo o di contrapposizione tra il soggetto che svolge la ricerca e l'oggetto della ricerca stessa, grazie anche al contributo reso dalla fenomenologia husserliana con il suo  ricorso alla funzione dell' "intenzionalità" o punto di vista del ricercatore.  Sono superate anche  le teorie della doppia cultura, retaggio del dualismo cartesiano, come espresse dallo Snow, come pure la tradizionale separazione tra le discipline "nomotetiche" e quelle "idiografiche", riconducibile al Windelband.

Si va consolidando, invece, oggi, sempre di più la tendenza a ricondurre la ricerca nell'ambito del contesto specifico di riferimento, l'ambito del "micro", piuttosto che riferirla a "macrosistemi", e di impostarla  in riferimento a relazioni ed intersezioni di modelli, di paradigmi e di teorie che siano capaci di metterne in evidenza la specifica "singolarità", seppure inquadrata nel sistema simbolico e nel contesto culturale del momento.

a metodologia diventa sempre più  unificata ed il sapere va configurandosi come complesso sistema di saperi. Il sapere scientifico pur esso si svolge nella  situazione di complessità, incertezza, problematicità e complicazione; ma non per questo mette da parte un tratto peculiare della sua metodologia:  «il servirsi della categoria di “semplificazione” ovvero di riducibilità del reale»[76], come mezzo per proporsi come interpretazione del mondo e non più soltanto come una sua descrizione.

 

A conclusione di questo breve excursus nel campo della filosofia della scienza, piace fare riferimento a due sintesi che Duccio Demetrio ci propone  come veri e propri "Manifesti" dell'epistemologia e dell'ermeneutica di oggi.  In essi possono essere colti quei fondamentali parametri, sia di tipo euristico che ermeneutico, con cui siamo costretti a confrontarci quando ci accingiamo a mettere in atto progetti e programmi di comprensione della realtà, da qualsiasi punto di vista essa venga aggredita. Essi costituiscono, poi, le basi per  chi voglia  impostare  un insegnamento delle discipline scientifiche, che vada oltre il semplice obiettivo della divulgazione e dell' informazione, per  proporsi come opportunità ed occasione di formazione più complessa ed articolata.

Sintetizza, allora, il Demetrio:

« La filosofia della scienza post-empiristica, sorta in opposizione al positivismo, ha ribadito il suo manifesto:

  a)  l'inclusione nell'atto di osservare di elementi teoretici (secondo quanto ribadisce il  costruttivismo psicologico e  psicosociale)...;

  b)  le teorie non sono controllabili dai dati empirici perché sono le teorie stesse a spiegare ciò che è prodotto dell'osservazione;

  c)  ricerca empirica e ricerca teorica non sono separabili;

  d)  occorre includere l'imprecisione  e la nozione di ambiguità nel procedere scientifico, in quanto gli enunciati valoriali entrano a far parte dei linguaggi contingenti, parziali,       storicizzati, di cui si serve il ricercatore»[77].

 

A questi parametri si aggiungono, poi, quelli di tipo ermeneutico: gli uni e gli altri non possono essere disgiunti nella ricerca, visto che ogni tentativo di scoperta e di comprensione della realtà, intesa nel senso diltheyano di Verstehen, coinvolge nel suo processo d'indagine anche il ricercatore e si pone sempre come interpretazione, scoperta di senso e individuazione di connessioni. Anche se non evidenziate nella particolare singolarità dell' oggetto della ricerca, le variabili interpretative acquistano rilevanza nelle dimensioni storico-personali da cui la ricerca è condizionata.

Ogni evento significativo ed ogni fatto fornito di senso, rileva O. MARQUAD,  hanno sempre una loro connotazione umana ed una loro "provenienza", per cui è importante sapere e poter cogliere nella ricerca anche il rapporto che un fatto o un dato hanno con il loro passato[78].

Sintetizza ancora il Demetrio: «Insomma, per il pensiero ermeneutico, che prende le mosse dalla intrinseca storicità del fatto umano:

  -  l'interpretazione equivale allo scoprire il senso nascosto  che i soggetti attribuiscono alla realtà che vivono;

  -  il ricercatore deve penetrare , scegliere e scoprire il modo di pensare e di vivere dei soggetti;

  -  è chiamato a rendere conto della realtà sociale così come questa è vissuta e percepita dai protagonisti;

  -  l'oggettività è un'utopia, perché il ricercatore appartiene alla relatività storica, è vincolato ad una biografia che gli impedisce di procedere con una mente purificata da ciò  che ha appreso e che lo ha reso ciò che è;

  -  oggetto della ricerca sono quindi le interpretazioni di coloro che interagiscono con il ricercatore;

  -  il ricercatore cerca le sintesi: ovvero le “essenze” nascoste empiricamente e storicamente fondate del fatto umano»[79].

 

Impostata in tal modo, la metodologia scientifica trascende lo stretto ambito disciplinaristico e tecnicistico e si applica, con la sua tipica rigorosità procedurale, a tutti i campi del sapere umano come utile "paradigma" per poter impostare  validi progetti per la comprensione del mondo.

 

 

APPENDICE 1

 

I   COMPITI DELLA SCIENZA [80]

 

PRIMO:

-  DESCRIVERE  TALUNI FENOMENI APPARTENENTI AL MONDO DELL'ESPERIENZA

 

SECONDO: 

- STABILIRE I PRINCIPI GENERALI PER LA LORO PREVISIONE E SPIEGAZIONE

 

------>   Per svolgere tali compiti la Scienza utilizza:

 

·                     UN SISTEMA FORMALE DI CONCETTI, IPOTESI, TEORIE, LINGUAGGIO (SISTEMA IPOTETICO-DEDUTTIVO):

     ESEMPIO:  "TEORIA INFLATTIVA" O "BIG-BANG" SULLA NASCITA DELL'UNIVERSO                                     

 

·                     UN INSIEME DI RELAZIONI CHE COLLEGANO IL SISTEMA FORMALE  CON I DATI DELL'ESPERIENZA("REGOLE D'INTERPRETAZIONE" O "CORRELAZIONI EPISTEMICHE")

ESEMPIO:  "CORRELAZIONE TRA LO SCATTO DI UN AMPLIFICATORE  COLLEGATO CON
                     UN CONTATORE GEIGER E IL PASSAGGIO DI UN ELETTRONE"

 

                    - Ciò vuol dire impiantare una relazione tra una  impressione sensoriale (scatto del contatore) ed una costruzione concettuale realizzata sulla base di un sistema ipotetico-deduttivo (passaggio di un elettrone).                                        

 

------>  Per la Scienza le due parti dell'apparato concettuale che utilizza,  cioè:

                 * L' IMPIANTO FORMALE IPOTETICO-DEDUTTIVO,  

                 * LE REGOLE D'INTERPRETAZIONE O LE CORRELAZIONI EPISTEMICHE

vanno utilizzate entrambe ed in maniera correlata:

 

q   "UN SISTEMA IPOTETICO-DEDUTTIVO PRIVO DI REGOLE DI INTERPRETAZIONE DEGENERA IN UN CALCOLO DI CARATTERE SPECULATIVO NON SUSCETTIBILE DI VERIFICA...

q   ...UN SISTEMA DI CORRELAZIONI EPISTEMICHE PRIVO DELLA SOVRASTRUTTURA    TEORICA DI UN SISTEMA DEDUTTIVO  RIMANE UNA STERILE REGISTRAZIONE DI FATTI  OSSERVABILI, PRIVO DI OGNI POTERE DI PREVISIONE O DI SPIEGAZIONE"[81]

 

 

 

APPENDICE 2

 

ITINERARIO    BIBLIOGRAFICO

 

ALTIERI BIAGI M.L.- SPERANZA F., Oggetto, parola, numero, N. Milano, Bologna, 1981

ANTISERI D., Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, La Scuola, Brescia,1985

ARCIDIACONO S., Animali che stanno scomparendo, La Scuola,Brescia, 1992

ASIMOV I.,  Il vagabondo delle scienze, Mondadori, Milano, 1985

ASIMOV I.,  Il libro di fisica, Mondadori, Milano, 1986

ASIMOV I.,  Il libro di biologia, Mondadori, Milano, 1987

AA. VV.,    Dal discorso sul metodo alla pratica didattica,Voll.1-2, N. Milano, Bologna, 1980

AA. VV.,    Gioco, ragiono, opero, Jackson, Milano, 1985

AA. VV.,    La scoperta scientifica, Armando, Roma, 1984

AA. VV.,    Insegnare scienza, F. Angeli, Milano, 1982

AA. VV.,    L'educazione ecologica, Zanichelli, Bologna, 1983

AA. VV.,    Pianeta Terra, Voll. 18, Mondadori, Milano, 1985

AA. VV.,    Dizionario di scienze della terra, Rizzoli, Milano, 1984

AA. VV.,    L'educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze, 1979

AA. VV.,    Le trame concettuali delle discipline scientifiche, La Nuova Italia, Firenze, 1985

AA.VV.,     Corso di scienze fisiche, chimiche e naturali, Voll.5,  Zanichelli, Bologna, 1978/80

AA. VV.,    L'insegnamento delle scienze nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1987

AA. VV.,    Proposte per un curricolo elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1984

AA. VV.,    Progetto COPES: Educare alla scienza, C.I.E., Comune di  Milano, 1984

AA. VV.,    I Programmi della scuola elementare - Dalla teoria alla  pratica, Armando, Roma, 1986

AA. VV.,    L'educazione tecnica nella scuola di base, Il Mulino, Bologna, 1979

AA. VV.,    La  nuova scuola elementare, La Scuola, Brescia, 1986

AA. VV.,    L'insegnamento delle scienze, Maggioli, Rimini, 1987

AA. VV.,    Scienze sperimentali e nuovi programmi della scuola  elementare, Le Monnier, Firenze, 1988

BARONI C.- GIANNI R., Le stagioni del cielo, Mondadori & Associati, Milano, 1991

BINI S.,    Le scienze nei nuovi programmi, in Quale scuola?, Anno V, NN° 1-2, Napoli, 1986

BINI S.,    Appunti sul metodo scientifico, in Quale scuola?,Anno IX NN° 1-2, Napoli, 1990

BINI S.,    Scienze, in 85 Nuovi Programmi, Conte, Napoli, 1985-1986

BINI S.,    L' insegnamento delle scienze, in AA. VV., I nuovi  programmi della scuola elementare, Morano, Napoli, 1989  

BLEZZA F.,  Scienza e tecnica per l'educazione nella scuola primaria, in L'insegnamento della matematica e delle scienze integrate, Centro U. Morin, Paderno del Grappa (TV), 1984

BLEZZA F.,  L'insegnamento delle scienze, SEI, Torino, 1987

BLOUGH C. O.- SCWARTZ J., L'insegnamento delle scienze nella scuola dell'obbligo, La Scuola, Brescia, 1984

CALVANI P., Giochi scientifici, Mondadori, Milano, 1987

CHALMERS A. F., Che cos'è questa scienza, Mondadori, Milano, 1979

CONTI L.,   Imparare la salute, Zanichelli, Bologna, 1983

D'AMORE B.- PERSANO A., I programmi della scuola elementare.  Matematica. Scienze, Armando, Roma, 1986

DAVIES P.,  Superforza. Verso una teoria unificata dell'universo,  Mondadori, Milano, 1986

DAVIES P.,  Il cosmo intelligente, Mondadori, Milano, 1989

DEBLESSE M.L.- ARVISET, Ambiente ecologico e didattica, La Scuola Brescia, 1973

DEMETRIO D., Micropedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992

EINSTEIN A., Autobiografia scientifica, Boringhieri, Torino, 1979

EMILIANI ZAULI F. - BETTI F., Le  scienze nella scuola elementare, La Scuola, Brescia, 1991 ESPOSITO V.,Insegnare le scienze nella scuola elementare, Zanichelli, Bologna, 1987

GIORELLO G.,Filosofia della scienza nella cultura di lingua inglese,  in Storia del pensiero filosofico e scientifico, a cura di L. GEYMONAT, Vol. VII, Garzanti, Milano, 1976

GREGORY R., La mente nella scienza, Mondadori, Milano, 1985

GUITTON J.- BOGDANOV G. ed I., Dio e la scienza, Bompiani, Milano,  1992

HANN J.,    I perchè della scienza, Mondadori & Associati, Milano, 1991

HARRISON E., Le maschere dell'universo, Rizzoli, Milano, 1989

HAWKING S., Dal big bang ai buchi neri, Rizzoli, Milano, 1988

HEISEMBERG W., Natura e fisica moderna, Garzanti 1957, 1985    

HOYLE F.,   L' universo intelligente, Mondadori, Milano, 1985

I.R.R.S.A.E. PIEMONTE, Scienze. Libro, SEI, Torino, 1988

I.R.R.S.A.E. PIEMONTE, Scienze. Dossier, SEI, Torino, 1989

KATZ J.- SATTELLE D. B., Biotecnologia per tutti, La Scuola, Brescia, 1992

LAENG M.,   Pedagogia e informatica, Armando, Roma, 1984

LAUDAN L.,  Scienza e ipotesi, Armando, Roma, 1984

LOLLINI P., Didattica e computer, La Scuola, Brescia, 1985

MARRA BARONE A., Formazione scientifica e scuola di base, La Scuola, Brescia, 1987

MC ALEER N., Guida all'universo, Longanesi, Milano, 1989 

MEDAWAR P.B., Induzione e intuizione nel pensiero scientifico,  Armando, Roma, 1970

MENCARELLI M., Metodologia didattica e creatività, La Scuola, Brescia, 1974

MENCARELLI M., Nuovi impegni della scuola elementare, La Scuola, Brescia, 1987

MEZZETTI G., La natura e la scienza, La Nuova Italia, Firenze, 1986

MILANI COMPARETTI M.- MATTEI F., Il linguaggio scientificio tra  scienza e  didattica, La Scuola, Brescia, 1982

PENTIRARO E., A scuola con il computer, Laterza, Bari, 1983

PETTER G.,  Psicologia e scuola primaria, Giunti, Firenze, 1987

PRETI G.,   Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano, 1957

RESTAK R.,  Il cervello, Mondadori, Milano,1986

ROSSI P.,   Storia della scienza moderna e contemporanea, Voll 3, Tomi 5, UTET, Torino, 1988

RUBBIA C.,  Il dilemma nucleare, Sperling & Kupfer, C.D.E., Milano, 1987

SPANDL O.P., Didattica della biologia, La Scuola, Brescia, 1980

STEFANELLI G.- VALENTINI G., Scienze per la scuola media, Voll. 3, Paravia, Torino, 1988

TENUTA U.,  Itinerari di logica, probabilità, statistica, informatica, La Scuola, Brescia, 1992

TOROSANTUCCI G.- VINCENTINI MISSONI M., L'insegnamento delle scienze  nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1987

VERTECCHI B. (a cura di), La scuola italiana verso il 2000, La Nuova Italia, Firenze, 1984

 

 

 

 

NOTE



[1]    P. DAVIES, Superforza, trad. it. A. Mondadori, Milano, 1986 (consultato nelle edizioni CDE Spa, Milano, p. 25).

[2] Per un buon approccio ai temi della fisica moderna, oltre al testo  di P.Davies già citato, è possibile  consultare I.  ASIMOV, Il libro di fisica, trad. it., A. Mondadori, Milano, 1986 e R.P.CREASE - C.C.MANN, Alla ricerca dell'uno, trad. it. A.Mondadori, Milano 1987.

[3] E' la recente tesi sostenuta da JEAN GUITTON, Accademico di Francia, nel libro Dieu et la science - Vers le métaréalisme,  scritto in collaborazione con i fisici Grichka e Igor Bogdanov       (trad. it. Dio e la scienza - Verso il metarealismo, Bompiani  Milano, 1992).

[4] Ivi, pp. 59 - 60.

[5] Il cosiddetto "muro di Planck" rapresenta il limite invalicabile della nostra conoscenza in ordine al  "comportamento degli atomi nelle condizioni in cui la forza di gravità raggiunge un valore estremo" (G. GUITTON, op. cit., p. 26) e può essere indicato nel tempo di 10 elevato a -43       secondi. La "costante di Planck" indica invece "la più piccola quantità di energia esistente nel mondo fisico " ed il "limite della divisibilità della radiazione e di conseguenza il limite estremo di ogni divisibilità" (G. GUITTON, op.cit., p. 7) e può essere calcolata con la formula : 6,26 x 10 elevato a  -34 joule per secondo). Cosa esisterà oltre tali limiti?  E ciò che esisterà, quali tratti di materialità potrà avere?

[6] G. GUITTON, op. cit., pp. 65 - 66.   

[7] Cfr. S. W. HAWKING, Dal Big Bang ai buchi neri, trad. it., Rizzoli, Milano, 1988.

[8] G. GUITTON, op. cit., p. 28

[9] P. DAVIES, Il cosmo intelligente, trad. it., A. Mondadori, Milano, 1989.

[10] G. GUITTON, op. cit., p. 4.  

[11] Ivi, p. 74.

[12] P. DAVIES, Superforza, cit., p. 87.

[13] G. GUITTON, op. cit., p. 80.

[14] Cfr. D. ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, La Scuola, Brescia, 1985.

[15] G. GUITTON, op. cit., p. 85.

[16] Osservare, ad esempio, oggi la galassia  Andromeda, che dista da noi 2 milioni di anni luce, significa vederla  com'essa era due milioni di anni fa. Più distanti da noi sono le galassie o i corpi celesti che osserviamo, più ci  avviciniamo ad oggetti visti in un tempo prossimo al Big-bang.  Si tenga presente che l'anno-luce rappresenta la distanza  percorsa dalla luce in un anno alla velocità di 300.000 Km/sec  e che la distanza di un anno-luce è pari a 9.500 miliardi di km.

[17] L. LAUDAN, Scienza e ipotesi, trad. it. Armando, Roma, 1984, p. 16.

[18] Per Bacone le "tabulae" sono dei registri, degli elenchi o delle note che si usano nel corso  della ricerca scientifica  per sistemarvi le osservazioni effettuate e,così,tenerne conto. Le varie osservazioni effettuate  sulle cause di ciascun fenomeno oggetto della ricerca, possono essere sistemate "in tre tipi di elenchi o tabulae:  1)Tavola dell'assenza e  presenza, che raccolga tutti i casi più disparati in cui il fenomeno che interessa sia risultato presente; 2)Tavola della      deviazione o dell'assenza in prossimità , che raccolga tutti quei casi in cui il fenomeno che interessa risulti assente, sebbene siano simili ai casi in cui è presente; 3) Tavola dei  gradi o del confronto, che raccolga i casi in cui il fenomeno che interessa, risulti presente in gradi diversi" (E. RIVERSO,  Esperienza e riflessione, Vol. 2°, Borla, Roma, 1984,  p. 203).  

[19] Cfr. J. D. NISBET - J. ENTWISTLE, Metodologia della ricerca e della sperimentazione, Armando, Roma. 

[20] Scrive Bacone: «Perché si possa comandare alla Natura, occorre  che si obbedisca ad essa, e ciò che contemplativamente si presenta come causa, operativamente si presenta come regola» (Novum Organum, I, 3).

[21] G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano, 1957 (consultato nelle edizioni CDE, p. 195).

[22] L. LAUDAN, op. cit., p. 40.

[23] G. PRETI, op. cit., p. 194.

[24] L. LAUDAN, op. cit., p. 91.

[25] M. D.  GRMEK, Per una demitizzazione della presentazione storica delle scoperte scientifiche, in  AA.VV., La scoperta  scientifica , trad. it., Armando, Roma, 1984, p. 35.

[26] L. LAUDAN, op. cit., p. 48.

[27] Tratto da: G. PRETI, Newton, Garzanti, Milano, 1950. Citato  anche da: W. HEISEMBERG, Natura e fisica moderna, trad. it., Garzanti, Milano, 1985, p. 134. 

[28] G. PETTER, Psicologia e scuola primaria, Giunti Barbèra, Firenze, 1987, p. 99.

[29] Ivi, p. 101.

[30] J. LOCKE, Saggio sulla legge di natura, IV, 16,2, citato da  L. LAUDAN, op. cit., p. 72.

[31] M. PERA, Metodo intuitivo e scoperta scientifica, in   AA.VV., La scoperta sceintifica, trad. it., Armando, Roma, 1984, p. 64.

[32] The papers of Benjamin Franklin ( a cura di L.W. Labaree), Yale University Press, New Haven, 1969 sgg., vol. V, 1962, p. 524. Citato da M. PERA, op. cit., p.66.

[33] M. PERA, ibidem.

[34] Ivi, p. 58.

[35] Ivi, p. 65.

[36] L. LAUDAN, op. cit., p. 44.

[37] R. BOYLE, Royal Society, Boyle Papers, Vol. IX, f. 105.  Citato da L. LAUDAN, ibidem.

[38] I. NEWTON, Philosophiae naturalis principia mathematica, in  W. HEISEMBERG, op. cit., p.136. 

[39] In M. DAL PRA, Sommario di storia della filosofia, Vol.2°, La Nuova Italia, Firenze, 1963, p. 211.

[40] W. HEISEMBERG, op. cit., p. 39.

[41] Si tratta del principio secondo il quale non è possibile determinare nello stesso tempo la posizione ed il movimento di una particella sub-atomica. Tale impossibilità non dipende da limitazioni riconducibili agli strumenti di misurazione o di osservazione, ma dalla natura intrinseca delle particelle.

[42] Ivi, p. 42.

[43] L. DE BROGLIE, Materia e luce, trad. it., Bompiani, Milano, 1940,  p. 16. Il brano è riportato da Heisemberg nella sua op. cit.

[44] M. D. GRMEK, op. cit., p. 33.

[45] Ivi, p. 33. E' il titolo del paragrafo 9 dell'opera citata.

[46] M.C. BICCHIERI, Ragioni per credere, ragioni per fare, Feltrinelli, Milano, 1987, p. 11.

[47] Le note teorie di Kuhn sono espresse nella sua opera del 1962 The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago; trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969.

[48] Cfr. L. LAUDAN, op. cit., p. 51.

[49] S. BINI, Le Scienze nei Nuovi Programmi: itinerari metodologici,  in Quale Scuola ?, Anno V, nn. 1-2, Napoli, 1986, p. 85.

[50] L. LAUDAN, op. cit., p. 100.

[51] Citato da M. PERA, op. cit., p. 70.

[52] Ivi, p. 69.

[53] Ivi, p. 70. 

[54] Ivi, p: 59.

[55] R. CARNAP, I fondamenti filosofici della fisica, trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1917, p. 285.

[56] Ivi, p. 287.

[57] D. Demetrio, Micropedagogia, La Nuova Italia, Firenze,1992, p.42.

[58] L. LAUDAN, op. cit., p. 114.

[59] Si tratta del principio logico espresso da GUGLIELMO D'OCCAM (secolo  XIV) nel noto  assunto: "Entia non sunt moltiplicanda  praeter necessitatem".

[60] A. VISALBERGHI, Pedagogia e scienze dell'educazione, Mondadori,  Milano, 1978, p. 65. Il riferimento a J. DEWEY tiene soprattutto  conto della sua opera del 1938: "Logica, teoria dell'indagine" , trad. it., Einaudi, Torino, 1949.

[61] A. VISALBERGHI, ibidem, p. 66.

[62] Ivi, p. 70.

[63] D. ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca scientifica..., op.  cit., p. 14.

[64] Ivi, p.35.

[65] )  L'opera originale da cui lo scritto è tratto è: Albert Einstein: Philosopher - Scientist, a cura di P.A. Schilpp, The Library of Living Philosophers - Evanston, Ill. - 1949. In Italia l'opera è  stata edita nel 1979 da Boringhieri, Milano, ed è stata consultata nella seguente  edizione: A. EINSTEIN, Autobiografia scientifica (con interventi di W. Pauli, M. Born, W. Heitler, N. Bohr, H. Margenau, H. Reichenbach, K. Gòdel), Edizioni CDE Spa, Milano, su licenza della Editori Boringhieri, p. 16-17.

[66] V. CAPPELLETTI, La scienza come vocazione, in AA.VV. La scoperta  scientifica, op. cit., p. 124.

[67] Ivi, p. 125.

[68] Ivi, p. 130. Stevino è un ingegnere  olandese  vissuto verso la fine del Sec. XVI e viene citato da Mach nella sua Storia della  meccanica.

[69] G. KANIZSA, Il <problem-solving> nella psicologia della Gestalt, in  G. MOSCONI - V. D'URSO, La soluzione dei problemi.Problem solving, Giunti - Barbera, Firenze, 1973, p. 35.

[70] Ivi, p.31.

[71] P. OLERON, Le attività intellettive, Giunti - Barbera, Firenze, 1973, p. 146.

[72] U. TENUTA, Itinerari di logica, probabilità, statistica, informatica, La Scuola, Brescia, 1992, p. 45.

[73] D. ANTISERI, Teoria e pratica..., op. cit. pp. 212 - 216.

[74] D. DEMETRIO, op. cit., p. 4.

[75] G. ZANARINI, Diario di viaggio, Guerini, Milano, 1990, p.24.

[76] D. DEMETRIO, op. cit., p. 67.

[77] Ivi, p. 41.

[78] Cfr. O. MARQUAD, Apologia del caso, trad. it. Il Mulino, Bologna, 1991, p. 83.

[79] D. DEMETRIO, op. cit., p. 47.

[80] Da : AA.VV., Conoscenza scientifica e insegnamento, Loescher,  Torino, 1983.

[81] Ivi, pag. 7.