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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Foto Don Milani

L’obbligo disobbligato, la formazione professionale, e i miei poveri disabili

…..Temo per i miei amati disabili. Con la riduzione delle ore comuni per tutti, le iscrizioni ballerine (aumenterà il loro ingresso ritardato), fino al sistema duale, il messaggio subliminale è chiaro. Si abbasserà l’impegno sui potenziali individuali per fermarsi  sui “bisogni speciali” (vedi  la citazione di Don Milani in Bertagna). Vorrà dire dare ai disabili di meno perché “sono” meno (meno capaci, meno competitivi), perfino con un messaggio caritatevole: mica vi abbandoniamo, solo che non vi illudiamo, preferiamo darvi un bel lavoro come attaccare francobolli (i Down hanno una lingua perfetta allo scopo) piuttosto che mescolarvi con azzimati liceali. Già oggi i disabili sono all’80% sospinti in modo mellifluo verso l’istruzione professionale.

Questo provocherà un  effetto  grave: staranno di meno con  gli altri, facendo male a tutti, anche ai signorini che vivendo meno con ciechi, storti,  e muti  impareranno meno a dare e a ricevere diversità e solidarietà. Daranno  ancora l’obolo fuori delle chiese (i signorini non sono cattivi), ma andare a cena con loro che noia: ci pensino le suore o le cooperative sociali...


MESSAGGIO CONCLUSIVO DELLA MANIFESTAZIONE DI BARBIANA DEL 19 MAGGIO 2002

Alessandro Bolognesi, Sindaco di Vicchio

 

A nome mio e delle amministrazioni del Mugello, degli ex alunni di Don Milani, a nome, cioè, dei firmatari dell’appello, grazie per essere qui.

Grazie per aver aderito alla nostra marcia per la scuola di tutti e di ciascuno, grazie per essere venuti o tornati a Barbiana dove 35 anni or sono nacque quello che per molti di noi è stato il "manifesto della scuola democratica": Lettera a una professoressa di Don Lorenzo e dei suoi alunni.

Quando abbiamo cominciato a lavorare a questa marcia non pensavamo di incontrare tutto questo consenso, l’interesse di tanta gente comune, preoccupata del futuro della scuola italiana.

Sono lieto, molto lieto, che abbiano aderito migliaia di studenti, genitori, insegnanti, dirigenti scolatici e – come Sindaco ne sono particolarmente felice – tanti amministratori degli enti locali. Tutti preoccupati del futuro della scuola pubblica italiana, che si intende piegare agli interessi finanziari e politici del governo Berlusconi, e all’ideologia della quale è portatore, per la quale la scuola e il sapere sono solo un problema aziendale.

Così è nato l’appello per una scuola che insegni a ragionare e ad essere cittadini, per una scuola laica e pubblica, preoccupata di garantire ad ognuno la propria realizzazione personale, senza dimenticare chi ha di meno, per una scuola della ricerca, della cooperazione e per l’uguaglianza delle opportunità.

Con questa iniziativa vogliamo provare a dare forza ad un movimento pluralista e democratico che nel paese, nelle scuole, nelle autonomie locali, tra gli studenti sviluppi maggiore passione politica e culturale per qualificare il percorso formativo e curriculare del nostro sistema educativo.

L’ipotesi di cambiamento del sistema formativo del ministro Moratti è l’antitesi più radicale dell’esperienza di democrazia e di uguaglianza che è stato il cuore della scuola di Don Lorenzo Milani, della quale nel documento Bertagna si era strumentalmente e grossolanamente abusato per giustificare la necessità di una riforma, di quella riforma.

E i primi contraccolpi si fanno già sentire, in seguito alle disposizioni in materia della legge finanziaria (taglio di 34 mila posti previsti in tre anni, nessuna risorsa per l’edilizia scolastica), anche nella nostra zona in diversi Comuni sono state tagliate o sono a rischio classi di tempo pieno e prolungato con un impoverimento complessivo dell’offerta formativa su tutti i gradi d’istruzione.

Ma l’attacco all’impianto della scuola pubblica più grave è quello del disegno di legge 1306 che tra l’altro prevede:

l’eliminazione del tempo pieno e la sua sostituzione con un servizio individuale a pagamento;

l’eliminazione di intere materie che diventano facoltative (educazione musicale, educazione linguistica ecc.) e che si potrebbero svolgere a pagamento anche presso strutture private;

l’anticipo all’accesso della scuola dell’infanzia ed elementare;

l’eliminazione del limite di 20 alunni nelle classi in cui sono presenti portatori di handicap;

la precoce differenziazione dei percorsi liceali e professionali;

Si tratta di proposte che non tengono conto delle esigenze delle famiglie e penalizzano le situazioni con maggiori difficoltà sociali, territoriali, facendo venire meno un adeguato sostegno scolastico necessario per contrastare fenomeni di deprivazione culturale e d’isolamento, rendendo vano lo sforzo di prevenzione del disagio e della dispersione scolastica.

La nuova organizzazione scolastica ripropone modelli classisti senza porsi l’obbiettivo delle pari opportunità tra ragazzi, senza attenzione per l’esigenza d’integrazione degli alunni immigrati e tantomeno per quelli in situazioni di handicap, senza contare il fatto che l’anticipazione dell’età scolare e la diminuzione delle classi comporterà un decadimento anche della qualità ambientale delle nostre scuole con un rischio di sovraffollamento nelle aule.

Occorre ricordare che anche a Vicchio come in tutto il Mugello, negli anni gli enti locali hanno investito risorse nei servizi e nell’edilizia scolastica per rafforzare l’impegno educativo, in molti casi con una funzione di supporto alle carenze del Ministero della Pubblica Istruzione, qualificando e diversificando l’offerta formativa per le famiglie con uno spirito prettamente educativo e non assistenziale.

E’ per questo che anche l’A.N.C.I., in una recente audizione presso la competente commissione del Senato ha espresso a nome di tutti i Comuni d’Italia, un articolato parere che di fatto boccia su tutti i fronti il disegno di legge delega del governo di centrodestra.

Contro chi vuole affossare la scuola pubblica, dobbiamo riaprire la battaglia civile per garantire a tutti il diritto all’istruzione, con una scuola di qualità che dia più cultura e più strumenti a tutti ed essere in grado di capire ed interagire con la società, una scuola che sia luogo collettivo di crescita e di confronto dove si lavori per combattere le disuguaglianze e valorizzare le differenze; una scuola laica dove prevalga il principio educativo che aiuti a diventare cittadini di un mondo più vasto ed insegni a dialogare con gli altri, superando le diversità di storia di genere e cultura.

Siamo sicuri che insieme a noi su questa strada troveremo molti compagni di viaggio, magari non tutti convinti e consapevoli dell’obbiettivo che dobbiamo raggiungere, forse eccessivamente scettici, preoccupati di essere vittime di facili strumentalizzazioni forse ancorati ad un frazionismo che evidenzia le differenze ed affossa i punti in comune.

Vorrei sperare che tutti recepiscano il nostro messaggio di unità, la nostra volontà di riunire tutte le anime che sono la ricchezza di quel vasto movimento che crede nel futuro democratico della scuola, superando frammentazioni e arroccamenti che porterebbero solo acqua al molino di Berlusconi e della Moratti.

La nostra marcia è nata per unire, non per dividere. Per ripartire con più forza e con la partecipazione di tutti, senza bandiere, striscioni o quant’altro potesse apporvi un marchio di appartenenza. Soprattutto, la nostra marcia spinge ad avviare proposte costruttive e offre un contributo al vasto movimento nato in difesa della scuola laica e democratica

Don Lorenzo Milani ed i suoi ragazzi in "Lettera ad una professoressa" scrivevano che …"la scuola perfetta non esiste. Non lo è la nostra ne la vostra", se tutti saremo consapevoli di ciò e capaci di portare un contributo di idee e di essere aperti al confronto senz’altro riusciremo ad essere costruttivi e credibili, altrimenti saremo nuovamente condannati a dover fare i conti con la Moratti di turno.

Nessuno di noi è ancorato a una proposta di riforma ben definita e chiusa per sempre ma, consentitemi, non è moralmente accettabile l’equiparazione che qualcuno ha voluto fare tra il disegno di legge dell’attuale governo e la legge di riforma del centrosinistra, approvata pur con difficoltà, ritardi, incomprensioni e, certamente, limiti politici.

Basta pensare che uno dei primi provvedimenti presi dal governo Berlusconi, insieme alle leggi appositamente approvate a difesa della sua persona e della sua corte, è stato quello di cancellare del tutto la riforma a cui avevano lavorato Berlinguer e De Mauro e di avviare uno smantellamento dell’autonomia delle scuole.

Ciò credo sia sufficiente a rimarcare la distanza tra i due progetti, senza per questo vincolarsi a scenari precostituiti da cui ripartire, se non i valori di Barbiana che con questa marcia intendiamo tutti insieme rilanciare:

- i diritti di realizzazione delle opportunità educative per tutti e per ciascuno lungo tutto l’arco della vita;

- l’espansione dell’intero sistema scolastico, investendo in esso risorse e qualità;

- lo sviluppo dell’autonomia scolastica, intesa come strumento volto a garantire, ai nostri bambini e alle nostre bambine, alle ragazze e ai ragazzi, la libera espressione di tutte le loro potenzialità;

- una scuola come comunità della più vasta comunità locale;

- una scuola che abbia ancora la voglia di credere nell’utopia che l’investimento nella formazione delle giovani generazioni realizzi capacità di immaginare, progettare e costruire un mondo migliore.

Voglio proporvi che questa marcia diventi un appuntamento fisso, al quale offrire, ogni anno, il nostro Mugello – e Barbiana in particolare - come sfondo e soggetto di iniziative, confronti e proposte.

L’anno prossimo ricorre l’80° della nascita di Don Milani: può essere un motivo in più per ripensare e rilanciare il significato della scuola laica, pubblica e democratica.

Senza dimenticare che Barbiana non significa solo scuola, ma anche disobbedienza civile, pacifismo, antirazzismo, giustizia e affermazione dei diritti. Valori che sono all’attenzione di tutti noi e di cogente attualità.

Tutto questo fa sì che questa marcia sia, per me e per voi, un’occasione per ripartire da Barbiana, più forti e uniti sul futuro della nostra scuola, che è anche il futuro del nostro paese.

Siamo in tanti, le migliaia di adesioni di persone e di gruppi di tutti i tipi e da tutte le parti del paese mi danno il conforto e la certezza che il movimento per la scuola di tutti e di ciascuno è vivo, è qui a Barbiana … riparte da Barbiana!

Vorrei terminare, come è doveroso restituendo la parola a Don Milani, leggendo proprio il famoso brano di lettera a una professoressa da cui il professor Bertagna ha maldestramente e colpevolmente preso solo una manciata di parole:

"Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli accanto ci si accorge che non sono. E neppure svogliati . O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà, che ci deve essere un rimedio. Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra rimediare. E’ esattamente quello che dice la Costituzione quando parla di Gianni: "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza di cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana"….Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra diseguali. La scuola che perde Gianni non ha diritto a chiamarsi scuola".

Grazie e arrivederci all’anno prossimo.


Brani di don Milani letti dal Palco

Dalla Lettera ai Giudici
Barbiana 18 ottobre 1965

La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.

Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa.

Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola.

Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.

* * *

Vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta.

Scriviamo insieme.

* * *

Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati.

Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita.

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande «I care».

E' il motto intraducibile dei giovani americani migliori. «Me ne importa, mi sta a cuore». E il contrario esatto del motto fascista «Me ne frego».

* * *

Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d'una «guerra giusta». D'una guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata.

* * *

A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola.

E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona.

La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita.

La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.

E' l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità… , dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico….

La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.

* * *

Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre.

E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i «segni dei tempi», indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.

* * *

In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla.

Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).

Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.

La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero.

Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede.

* * *

Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.

Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore.

L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa.

Severarmente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusumi di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime!

* * *

Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali.

A sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria".

* * *

Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).

* * *

Lo dico perché alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti. Non è vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questa mi parrebbe di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo. Per esempio quel re che scappò a Brindisi con Badoglio e molti generali e nella fretta si dimenticò perfino di lasciar gli ordini.

Del resto il rispetto per i morti non può farmi dimenticare i miei figlioli vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno sapranno offrire la loro vita in sacrificio ne sarò orgoglioso, ma che sia per la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.

* * *

Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.

Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.

E dopo esser stato così volgarmente mistificato dal miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora?

Perseguite i maestri che dicono ancara le bugie di allora, quelli che da allora a oggi non hanno più studiato né pensato, non me.

* * *

Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine?…

Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre.

A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, pèrché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran Parte dell'umanità la chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca.

* * *

A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabilè perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.

C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.

Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto.

* * *

E infine affrontiamo il problema più cocente delle ultime guerre e di quelle future: l'uccisione dei civili.

La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a meno che la cosa avvenisse incidentalmenle cioè nel tentare di colpire un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno un articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists, aprile 1964).

Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari (si poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente").

Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere che i civili fossero morti "incidentalmente").

In quella di Corea 84% civili 16% militari (si può ormai sostenere che i militari "muoiono incidentalmente").

* * *

Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perché accusandomi di apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi domani.

Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra teologia e della vostra legislazione è ancora più evidente.

E' noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di missili atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima dell' "aggressore". Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa.

Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20 minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta non difesa.

* * *

Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una "guerra giusta" né per la Chiesa né per la Costituzione.

Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.

Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me.

Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità.

Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima.

* * *

lettera alla signora Lovato

Nella lettera alla signora Lovato scritta il 16 marzo 1966. Lorenzo difende il suo metodo.

Rifiuta, nella scrittura, qualsiasi segno di personalizzazione.

Prima di continuare proviamo ad immedesimarci in quel luogo e tempo, se vogliamo capire lo spirito con il quale il Priore praticava pastorale e insegnamento:

"Cara signora,

da qualche mese in qua la posta che riceviamo è tanta che facciamo appena in tempo a leggerla. Io poi sono malato e da molto tempo non prendo in mano la penna. Un ragazzo o due a turno sbrigano tutta la corrispondenza, mi sottopongono solo le lettere che giudicano più private. Così accade che rispondo a lei.

… Grazie della sua lettera. Spero di vederla un giorno quassù. Sto disfacendo la scuola. Ho mandato i più grandi a lavorare. Non prendo più ragazzi nuovi. Ho ancora una decina di ragazzi a cui faccio scuola qui in camera. Oppure quando son stanco si fanno scuola l'un l'altro nell'aula che comunica con questa camera. Allora la mia attività pedagogica consiste solo in qualche urlaccio per tenerli buoni. Ho una leucemia e non voglio morire stupidamente sulla breccia con ragazzi immaturi mezzo educati e mezzo no. Così sto organizzando da un anno un ragionevole e riposante tramonto. Mi godo i figlioli riusciti e i loro bambini. Ricevo con commozione i prodighi che tornano. Tengo lontani i prodighi che non tornano. Insomma vivo come un nonno amato e mi godo questa vita. Abbiamo scritto la lettera ai giudici come un'opera d'arte. Purtroppo nelle centinaia di lettere che ci arrivano dall'Italia e dall'estero ci accorgiamo che pochissimi se ne sono accorti. Tutti pensano che abbiamo delle bellissime idee. Pochi, forse due o tre persone in tutto, si sono accorti che per schiarire le idee così a noi stessi e agli altri bisogna mettersi a lavorare tutti insieme per mesi su poche pagine. Allora tutti sapranno scrivere come noi e non ci sarà più bisogno di rivolgersi a noi con venerazione come se fossimo toccati dalla grazia. Chiunque se vuole può avere la grazia di misurare le parole, riordinarle, eliminare le ripetizioni, le contraddizioni, le cose inutili, scegliere il vocabolo più vero, più logico, più efficace, rifiutare ogni considerazione di tatto, di interesse, di educazione borghese, di convenienze, chieder consiglio a molta gente (sull'efficacia non sulla convenienza). Alla fine la cosa diventa chiara per chi la scrive e per chi la legge. La lettera ai giudici è stato un dono che abbiamo ricevuto e abbiamo fatto. Prima di scriverla né io né i ragazzi sapevamo quelle cose. Le intuivamo né più né meno di quello che lei ha detto di se stessa: "Ero arrivata a capire da sola molte delle cose...."

Mi scusi, mi son distratto, le stavo dando una lezione dell'arte dello scrivere che lei non mi aveva chiesto. Ma è che l'arte dello scrivere è la religione.

Il desiderio d'esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l'amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo s'intuiscono le fa trovare a noi e agli altri. Per cui esser maestro, esser sacerdote, essere cristiano, essere artista e essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa".

* * *

Questa lettera è stata inviata da don Lorenzo ad una sposa nel giorno delle sue nozze.

Barbiana 26 - 4 - 1956

Cara,

il motivo principale per cui un cristiano prende moglie é quello d'aver sempre tra i piedi una donna che gli ricordi giorno per giorno gli alti ideali per cui egli ha promesso di vivere e dai quali gli impegni di lavoro rischiano giorno per giorno di distrarlo.

Ecco perché scrivo a te le cose che mi preme che Renato tenga presenti lungo il corso della vostra vita comune e della sua professione di medico.

Conserva dunque gelosamente questa lettera nel cassetto del tavolo di cucina e rileggila quattro volte l'anno, cioé al principio di ogni nuova stagione, per farci sopra l'esame di coscienza tuo e quello di tuo marito.

Appena avrai una tua casa affacciati alla finestra e guardati un pò intorno.

T'accorgerai che il mondo é mal messo. Dio l'aveva creato preciso, aveva fatto gli uomini tutti poveri e tutti ignoranti. Gli uomini invece, non si sa come, si sono accordati per tirar su qualche decina di persone molto ricche e molto istruite e lasciar tutti gli altri come Dio li aveva creati.

Da questa violazione dell'ordine naturale son nati infiniti mali che non starò qui a elencarli perché immagino che tu ne possegga già un chiaro concetto.

Vedrai poi dalla finestra della tua casa, che in questo mondo infelice ricchezza e istruzione viaggiano sempre a braccetto. Chi é più istruito guadagna più quattrini. Chi ha più quattrini fa più studiare i suoi figlioli. E via di seguito in un circolo chiuso.

I signori ti diranno che non é vero e che un contadino guadagna più d'un professore. Ma tu non li credere. Rispondi loro: "Se é così andate a fare i contadini".

Ma sarà meglio del resto che coi signori tu ti abitui a non parlare mai. I loro discorsi non sono mai seri, né necessari, né c'é mai verso d'impararne qualcosa.

Dicevamo dunque che ricchezza e istruzione vanno sempre a braccetto, ma (oh immensa grazia che Dio t'ha fatta) tu hai ora a braccetto un uomo che smentisce questa regola. Una di quelle rare eccezioni che perfino questo sbagliato e ingiusto mondo riesce talvolta a partorire.

Il tuo Renato é figliolo d'un povero operaio. Anzi un pò meno che figliolo d'un operaio. E' figliolo della vedova d'un povero operaio. Anzi un pò meno che figliolo d'una vedova. E' uno dei quegli infelici cresciuti nell'inferno dei figlioli delle vedove dei poveri operai: il collegio. Un santo collegio fondato da un santo, ma non per questo meno un inferno di sofferenza.

Queste cose non sono ricordi tristi che bisogna tentar di scordare in questo giorno di gioia. Sono anzi le glorie della tua nuova famiglia. Le cose di cui dovrai vantarti ogni giorno tra le tue amiche. Titoli nobiliari che illustrano la tua casata.

Eppure questo morto di fame che hai sposato porta accanto al suo nome l'attributo di "dottore".

Animale rarissimo come t'ho detto. La somma istruzione nella somma miseria.

C'é qui sul monte Giovi una ventina di ragazzi che non son mai stati a scuola. Non son stati a scuola perché avevano da badare le pecore. Le pecore han fatto agnelli, cacio e lana. E un fattore ha spartito. Il mezzo che é restato a questi ragazzi é bastato appena appena per non farli morir di fame. L'altro mezzo, che é partito verso un palazzo di Firenze, unito a molti altri mezzi é bastato per mantenere agli studi il Signorino. Il lavoro più pesante che egli abbia dovuto fare nel mondo é stato quello d'alzare la sua penna stilografica elettronica. La sua mente preziosa é un pozzo di scienza, i poveri che vanno da lui gli sganciano altri quattrini e lo rispettano.

Nessuno ricorda o nessuna sa che per far lui dottore questi miei bambini son rimasti analfabeti e bestiole tra le bestiole.

Giovanna. Come lui son quasi tutti i dottori fuorché il tuo dottore.

Gli operai italiani versano il loro sangue in 400.000 infortuni sul lavoro l'anno e infinite malattie professionali e non ricevono nessun utile dal loro lavoro e dal loro martirio non possono far studiare i loro figlioli. Ma la gran maggioranza degli studenti universitari studiano alle spalle del loro sudore, del loro sangue, del loro analfabetismo.

Se quel diploma di laurea potesse parlare allora si vedrebbe i dottori travestirsi da contadini e strisciare furtivi lungo i muri, a capo basso, intimiditi dallo sguardo d'ogni povero che incrociassero per via. Il tuo Renato in quel giorno non avrebbe invece da darsi nessuna pena. Il suo titolo é titolo incontaminato. Per ora.

Ma badaci te, cara, fino a oggi é andata bene. Da oggi in poi la gloria della tua casa é attaccata a un filo. Siine tu la custode. Ogni giorno amici, colleghi, giornali, libri congiureranno per corrompere il tuo Renato, farne un dottore come tutti, farne un animale simile a loro.

Tu sola puoi salvarlo da questo disonore, ma bisogna che tu te ne faccia l'obbiettivo di tutta la vita, che tu sia costante in questo proposito, pronta al martirio, a tagliare senza pietà anche nel vivo delle tue stesse vanità e ambizioni.

In pratica? come faccio a prevedere le occasioni in cui ti troverai? Ti accenno qui due o tre di quelle che mi vengono in mente. Per le altre bisognerà che tu ti arrangi da te.

P. es. non farti dare del tu dalle spose dei dottori, dei maestri dei farmacisti del tuo paese. Tienle lontane dalla tua casa. Spia ciò che leggono e come vivono, ma solo per esser sicura di non leggere mai ciò che leggono loro e di non vivere mai come vivono loro.

Quando le cose v'andranno un pò per il verso e comincerà ad esserci anche qualche soldo d'avanzo non sognare elettrodomestici per la tua casa. Pensa piuttosto ad attrezzare un ambulatorio ricco di tutto ciò che può alleviare ai poveri spese e sofferenze.

Cercati le benedizioni dei poveri non tanto con le tue elemosine quanto con il vivere povera più di loro.

Quando il tuo Renato, timoroso di non averti fatta abbastanza felice, vorrà portarti a spasso per il mondo o in villeggiatura sii tu invece la prima a proporgli invece di comprare i libri di scuola ai figlioli delle vedove perché diventino anche loro come lui i dottori dei poveri. Quando origliando all'uscio dell'ambulatorio sentirai il tuo Renato dire: qui ci vorrebbe custodimento, fa che nessuno possa dire di lui che ordinava bistecche ai poveri senza donarle. Non permettere che il tuo Renato si faccia scrupoli di solidarietà con gli altri dottori sulle tariffe.

Le tariffe preparale te giorno per giorno proporzionate solo alle tue necessità quotidiane scrupolosamente austere, scrupolosamente livellate colle necessità di casa delle spose operaie che vivono intorno alla tua casa.

Non permettere mai che il tuo Renato aderisca a scioperi contro la mutua.

La parola sciopero é sacra ai poveri, unica loro arma contro i signori. Stona in bocca ai signori dottori usata per combattere l'organizzazione della sofferenza dei poveri.

Ecc. Ecc. Ecc.

Ora non mi viene in mente altri esempi. Del resto spero che mi avrai già capito. Che farai che la tua casa sia povera e benedetta dai poveri e Dio penserà a tutto il resto. Se i poveri saranno con te, anche lui sarà con te e se Lui sarà con te di cosa hai paura? Camperà i tuoi figlioli e assicurerà il loro avvenire ben più sicuramente che un conto in banca o una polizza di assicurazione.

Se la tua fede é cosl poca da non credere queste semplici cose, cosa perdo tempo a parlare con te?

Ricevi ora i miei auguri affettuosi e nessuna benedizione.

Hai avuto stamani la benedizione del Padre che val più della mia. Cercati ora le benedizioni dei poveri che valgono più di quella del Padre e poi dormi serena tra quattro guanciali

tuo Lorenzo

Dalla Lettera a una Professoressa
Barbiana giugno 1967

Barbiana, quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Nè cattedra, nè lavagna, nè banchi. Solo grandi tavoli intorno a cui si faceva scuola e si mangiava.

D'ogni libro c'era una copia sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po' più grande e insegnava.

Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch'io.

* * *

La vita era dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare. Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non andavano avanti.

* * *

Insegnando imparavo tante cose.

Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia.

* * *

Delle bambine di paese non ne venne neanche una. Forse era la difficoltà della strada. Forse la mentalità dei genitori. Credono che una donna possa vivere anche con un cervello di gallina. I maschi non le chiedono d'essere intelligente .

E' razzismo anche questo. Ma su questo punto non abbiamo nulla da rimproverarvi. Le bambine le stimate più voi che i loro genitori.

* * *

Quella professoressa s'era fermata alla prima guerra mondiale. Esattamente al punto dove la scuola poteva riallacciarsi con la vita. E in tutto l'anno non aveva mai letto un giornale in classe .

Dovevano esserle rimasti negli occhi i cartelli fascisti " Qui non si parla di politica ".

* * *

La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde.

La vostra " scuola dell'obbligo " ne perde per strada 462.000 l'anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.

I problemi della scuola li vede la mamma di Gianni, lei che non sa leggere. Li capisce chi ha in cuore un ragazzo bocciato e ha la pazienza di metter gli occhi sulle statistiche.

Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di Gianni ce n'è milioni e che voi siete o stupidi o cattivi.

* * *

Ogni popolo ha la sua cultura e nessun popolo ce n'ha meno di un altro. La nostra è un dono che vi portiamo. Un po' di vita nell'arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri.

* * *

A lei le rombano sotto le finestre mille motori al giorno. Non sa chi sono nè dove vanno.

Io so leggere i suoni di questa valle per chilometri intorno. Questo motore lontano è Nevio che va alla stazione un po' in ritardo. Vuole che le dica tutto su centinaia di creature, decine di famiglie, parentele, legami?

Lei se parla con un operaio sbaglia tutto: le parole, il tono, gli scherzi. Io so cosa pensa un montanaro quando sta zitto e so la cosa che pensa mentre ne dice un'altra.

Questa è la cultura che avrebbero voluto avere i poeti che lei ama. Nove decimi del mondo l'hanno e nessuno è riuscito a scriverla, dipingerla, filmarla.

Siate umili almeno. La vostra cultura ha lacune grandi come le nostre. Forse più grandi. Certo più dannose per un maestro elementare.

* * *

La storia è la materia che più ne ha risentito.

Ci sarà qualche libro un po' diverso. Ma vorrei avere una statistica di quelli più adottati.

In genere non è storia. E' un raccontino provinciale e interessato fatto dal vincitore al contadino. L'Italia centro del mondo. I vinti tutti cattivi, i vincitori tutti buoni. Si parla solo di re, di generali, di stupide guerre tra nazioni. Le sofferenze e le lotte dei lavoratori o ignorate o messe in un cantuccio.

Guai a chi non piace ai generali o ai fabbricanti d'armi. Nel libro che è considerato più moderno Gandhi è sbrigato in 9 righe. Senza un accenno al suo pensiero e tanto meno ai metodi.

* * *

C'è una materia che non avete nemmeno nel programma: arte dello scrivere.

Basta vedere i giudizi che scrivete sui temi. Ne ho qui una piccola raccolta. Sono constatazioni, non strumenti di lavoro.

" Infantile. Puerile. Dimostra immaturità. Insufficiente. Banale ". Che gli serve al ragazzo di saperlo? Manderà a scuola il nonno, è più maturo.

Oppure: " Contenuto scarso. Concetto modesto. Idee scialbe. Manca la reale partecipazione a ciò che scrivi ". Allora era sbagliato il tema. Non dovevate neanche chiedergli di scrivere.

Oppure: " Cerca di migliorare la forma. Forma scorretta. Stentato. Non chiaro. Non costruito bene. Varie improprietà. Cerca d'essere più semplice. Il periodare è contorto. L'espressione non sempre felice. Devi controllare di più il tuo modo di esprimere le idee". Non glie l'avete mai insegnato, non credete nemmeno che si possa insegnare, non accettate regole oggettive dell'arte siete fissati nell'individualismo ottocentesco.

Finchè si arriva alla creatura toccata dagli dei: " Spontaneo. Le idee non ti mancano. Lavoro con idee proprie che denotano una certa personalità ". Ormai che ci siete metteteci anche " Beata la mamma che t'ha partorito ".

Così abbiamo capito cos'è l'arte. E' voler male a qualcuno o a qualche cosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra.

Pian piano viene fuori quello che di vero c'è sotto l'odio. Nasce l'opera d'arte: una mano tesa al nemico perchè cambi.

* * *

L'arte dello scrivere si insegna come ogni altr'arte.

Noi dunque si fa così:

Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un'idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola.

Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi.

Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due.

Coi nomi dei paragrafi si discute l'ordine logico finche nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.

Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l'ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene.

Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all'aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un'altra volta.

Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.

Si chiama un estraneo dopo l'altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire.

Si accettano i loro consigli purchè siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza.

Dopo che s'è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l'intellettuale cretino che sentenzia: " Questa lettera ha uno stile personalissimo ".

Dite piuttosto che non sapete che cosa è l'arte. L'arte è il contrario di pigrizia.

Anche lei, non dica che le mancano le ore. Basta uno scritto solo in tutto l'anno, ma fatto tutti insieme.

* * *

Povero Pierino, mi fai quasi compassione. Il privilegio l'hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta eguale. Perché non vieni via?

Lascia l'università, le cariche, i partiti. Mettiti subito a insegnare. La lingua solo e null'altro.

Fai strada ai poveri senza farti strada. Smetti di leggere, sparisci. è l'ultima missione della tua classe.

Non tentare di salvare gli amici vecchi. Se gli riparli anche una volta sola sei sempre come prima.

Neanche per la scienza non ti dar pensiero. Basteranno gli avari a coltivarla. Faranno anche le scoperte che servono per noi. Irrigheranno il deserto, caveranno bracioline dal mare, vinceranno malattie.

A te che te ne importa? Non dannarti l'anima e l'amore per cose che andranno avanti anche da sè.


 

Testimonianza
di EDA PELAGATTI

Lunedì 3 agosto 1987

Con don Lorenzo ho vissuto per 20 anni e fino al '61 eravamo io e mia madre Giulia a stargli vicino. Io e lui eravamo come fratello e sorella senza interessi né di soldi, né di altro. Quando fu mandato a Barbiana, mandò in macchina me e la mamma quassù perché decidessimo liberamente se volevamo seguirlo oppure no. Io ho vissuto con lui in famiglia, non al suo servizio.

Quando arrivò a Barbiana, don Lorenzo non pianse, o almeno io non l'ho visto piangere, poi non so se quando salì in camera sua pianse.

Cominciò con la scuola il giorno dopo e i suoi ragazzi oggi sanno fare ogni cosa. Non voleva che i ragazzi stessero in ozio: "il tempo è prezioso", diceva il priore. Lui non perdeva mai tempo e la sua vita era un insegnamento continuo.

Era un vero cristiano. Ricordo che un giorno trattò male una persona ed io, che amavo il quieto vivere, gli dissi: "Ma Priore, ora non tornerà più". E lui: "Ha paura che non ci porti più la roba, Eda? Ma se non ce la porta lui, ce la porterà qualcun altro". Perché a lui interessavano le anime e non le cose.

Certo gli dispiaceva che la gente potesse pensare male del suo trasferimento a Barbiana. Un giovane prete di soli 31 anni. Che male aveva mai fatto per meritare un tale esilio?

l priore aveva un profondo rispetto per la mamma. Io non ho mai visto una persona rispettare la propria mamma come lui.

Ai genitori dei ragazzi della sua scuola, per convincerli fino in fondo, diceva: " Se li mandate da me fate il vostro interesse. Se li mandate nei campi fate gli interessi del padrone ".

Ogni mattina si alzava alle 6,30. La scuola cominciava alle 7 o 8 e andava avanti tutto il giorno. Talvolta fino alle 10 di sera.

Per lui la preghiera era stare con i suoi ragazzi. Certo, brontolava con loro ogni volta che ce n'era bisogno, ma li amava tanto che anche malato non smise mai di fare scuola. Io ero contenta di essergli vicino anche se avevo sempre tanto da fare, perché la vita quassù era movimentata, e come!

D'estate, quando qui a scuola venivano i figli bocciati di amici o conoscenti, persone più benestanti, lui faceva loro scuola e quando a pranzo qualcosa non piaceva, il priore mi ordinava di dar loro doppia razione.

A proposito dei rapporti tra uomo e donna, ricordo che un giorno venne una francese con un ragazzo. La sera la ragazza, che aveva la sua camera vicino al bagno, sentì qualcuno. Credendo che fosse il ragazzo lo chiamò. Era invece il Priore, che non rispose, ma il giorno dopo le fece fare la valigia e la mandò via.

Non voleva per sé attenzioni particolari, nemmeno quando era malato. Un giorno che alcuni ragazzi rimasero a casa a dormire ed io diedi loro poco da mangiare, don Lorenzo mi disse: " Eda, ci manderebbe noi a letto senza carne: me, Michele, Francuccio e la nonna?! Io non mangio".

Durante il processo aveva un pò paura perché lo minacciavano.

Don Lorenzo parlava con tutti del tipo di rapporti che aveva con la Chiesa e don Cesare (Mazzoni), parroco di S. Lucia del Mugello gli fu sempre vicino: nel bene e nel male ".


Per la scuola di tutti e di ciascuno io riparto da Barbiana
Appello per la marcia di Barbiana

Manifestazione 19 maggio 2002
Ponte a Vicchio ore 11,00

Ripartiamo insieme da Barbiana, il 19 maggio 2002, con una marcia pacifica per la qualificazione e il rilancio della scuola per tutti e per ciascuno, per la garanzia dei diritti di cittadinanza sociale delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, per un futuro democratico e civile del nostro paese.

Don Lorenzo Milani e la sua scuola di Barbiana rappresentano un punto storico dei nostri valori educativi. A cinquant'anni da quella esperienza il messaggio di fondo che da lì viene, è il nostro messaggio. Una scuola di Socrate che insegni a ragionare e ad essere cittadini sovrani. 
Una scuola laica e pubblica, preoccupata di garantire ad ognuno la propria realizzazione personale, a partire da chi ha di meno.

Una scuola della ricerca, della cooperazione, per l'uguaglianza delle opportunità. La marcia vuol essere un'occasione per dare forza ad un movimento pluralista e democratico che nel paese, nelle scuole, nelle autonomie locali, tra gli studenti, nelle associazioni professionali e sindacali, sviluppi maggiore passione politica e culturale per migliorare il nostro sistema formativo, per una qualificazione professionale degli operatori, per un rapporto più intenso e integrato con il territorio. Il 19 maggio sarà una giornata di proposta e identità, perché si riparta da Barbiana, ridiscutendo quello che negli scorsi anni si era iniziato a realizzare, per migliorare l'autonomia scolastica e la riforma dei cicli.
Una giornata per dire no alle proposte dell'attuale governo perché porterebbero alla deriva la scuola pubblica. Diciamo no a provvedimenti che introducono nuova discriminazione e selezione, tagli allo stato sociale, scelte conservatrici sugli insegnamenti, separazione precoce tra percorsi liceali e percorsi professionali, curricoli etnico-regionali, forti limitazioni all'autonomia scolastica. Vogliamo confermare il valore costituzionale e democratico della nostra scuola, nata dalla Liberazione e figlia di valori comuni per tutti: libertà, uguaglianza, pluralismo, solidarietà.

Alessandro Bolognesi, Sindaco di Vicchio del Mugello

Giuseppe Notaro, Presidente della Comunità Montana del Mugello

Bruno Becchi, Presidente Istituzione culturale Don Milani di Vicchio

Edoardo Martinelli, Nevio Santini, Giorgio Pelagatti, Giorgio Falossi, Fabio Fabbiani, Mileno Fabbiani, Silvano Salimbeni, Luciano Batacchi, Aldo Bozzolini, allievi e/o coautori con Don Lorenzo Milani di "Lettera a una professoressa

 

Barbiana - Vicchio del Mugello, 5 aprile 2002

 
Comitato organizzatore: Alessandro Bolognesi, Antonio Lazzaro, Massimo Nutini, Alessandro Pazzaglia, Aladino Tognon

 

 

info@barbiana19maggio.it

 

 

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