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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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cura di
Stefano CANALI

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Alter Ego
DROGA E CERVELLO

Presentazione

La mostra "Alter Ego. Droga e Cervello", realizzata dal Centro per la Diffusione della Cultura Scientifica dell'Università di Cassino, è il risultato di un lungo lavoro di preparazione, cominciato quasi casualmente, dietro diretta sollecitazione di centinaia di giovani, di insegnanti, di cittadini che visitavano "La fabbrica del pensiero. Dall'arte della memoria alle neuroscienze", l'esposizione sulla storia delle neuroscienze che l'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze inaugurò al Forte di Belvedere nella primavera del 1989.
La mostra, nelle sue tappe di Parigi (Cit‚ des sciences et de l'industrie, La Villette, Aprile 1990-gennaio 1991) e di Madrid (Ottobre 1991-febbraio 1992), e nell'itineranza in più di trenta città tra Italia, Europa e Stati Uniti di un modulo espositivo appositamente realizzato, venne visitata da milioni di spettatori. Da questionari distribuiti in diverse occasioni, e da un monitoraggio del comportamento del pubblico, risultò ben presto chiaro che la piccola sezione dedicata alle droghe era quella che maggiormente attirava l'attenzione dei visitatori. Emergeva con forza la richiesta di maggiori informazioni sulle principali droghe d'abuso, sul loro effetto sul sistema nervoso centrale e, di conseguenza, sulla personalità di chi le assume. Molte erano le domande: è vero che l'hashish non provoca assuefazione? E' vero che un certo numero di persone, per ragioni ancora non chiare, subiscono danni irreversibili al cervello anche dopo poche assunzioni di sostanze come l'eroina o la cocaina? Vi sono cure che permettano di alleviare le sofferenze di chi è ormai vittima della droga?

Nell'aprile del 1991, l'allora Ministro dell'Università e delle Ricerca Scientifica e Tecnologica, Professor Antonio Ruberti, istituiva, all'interno della Commissione Nazionale per la Diffusione della Cultura Scientifica, un Comitato per l'informazione scientifica sulle tossicodipendenze, con l'incarico di elaborare il progetto di una mostra itinerante, di filmati, testi e strumenti di divulgazione su supporto informatico che potessero elevare il tasso di conoscenze di base sull'azione delle droghe sul cervello e la personalità umana.

I mutamenti di direzione politica del Ministero succedutisi negli ultimi tre anni non hanno determinato, e' gradito sottolinearlo, un allentamento dell'appoggio del MURST al progetto, anche grazie alla convinzione con cui il Professor Paolo Galluzzi, Vice-Presidente della Commissione Nazionale per la Diffusione della Cultura Scientifica, ha caldeggiato la realizzazione dell'iniziativa e alla dedizione del Dottor Carmine Marinucci, per molto tempo segretario della Commissione stessa. Un contributo significativo e' anche venuto dal Ministero della Famiglia, nel quadro delle iniziative di prevenzione e di informazione sulle tossicodipendenze.

Come già per "La fabbrica del pensiero", la mostra "Alter Ego. Droga e Cervello" è stata realizzata grazie al concorso entusiasta di singoli ricercatori e di centri di ricerca italiani ed internazionali. La Professoressa Rita Levi Montalcini, i Professori Luigi Amaducci, Jean-Pierre Changeux, Gianluigi Gessa, Giancarlo Pepeu e Gualtiero Ricciardi hanno collaborato attivamente alla stesura del piano della mostra, mentre il Professor Alessandro Tagliamonte ha generosamente dedicato molte giornate del suo tempo a rivedere i testi dei pannelli, delle didascalie e dei filmati, permettendo cosi' quell'indispensabile dialogo tra scienziati ed educatori senza cui non è possibile avventurarsi sui frequentati ma raramente attendibili o efficaci sentieri dell'informazione scientifica. La Cattedra di Botanica Farmaceutica dell'Università "La Sapienza" di Roma, e il Servizio Radiologico dell'Ospedale Amedeo di Savoia di Torino hanno fornito una preziosa assistenza nel reperimento di parte del materiale iconografico.

Una collaborazione entusiasta è stata generosamente fornita da amici e colleghi americani, impegnati in modi diversi (ricerca, cura, prevenzione ed informazione) sul fronte del contrasto alla diffusione della piaga delle droghe.

Sue Rushe, dinamica fondatrice e animatrice dell'associazione di volontariato National Families in Action di Atlanta, Georgia, ha partecipato a molte delle nostre riunioni, e si è fatta promotrice di una fattiva collaborazione tra il nostro progetto ed analoghe iniziative negli Stati Uniti. Grazie al suo interessamento, un contributo di grande rilievo e' venuto dal Dottor Jerome H. Jaffe, Associate Director del Center for Substance Abuse and Treatment del Department of Health and Human Services del Governo degli Stati Uniti, dal Dottor Christine R. Hartel, Acting Director della Division of Basic Research del National Institute on Drug Abuse dei National Institutes of Health, dal Dottor Herbert D. Kleber, Executive Vice-President del Center on Addiction and Substance Abuse at Columbia University, e dal Dottor Richard A. Lindblad, Direttore dell'International Office del National Institute on Drug Abuse. Tutti hanno messo a disposizione le loro competenze, i risultati delle ricerche condotte nei loro laboratori ed immagini di grande efficacia realizzate con le tecniche piu' moderne di indagine non invasiva sulle funzioni cerebrali.

Il Dottor Stefano Canali, storico della scienza e consulente del Centro per la Diffusione della Cultura Scientifica dell'Università di Cassino, oltre a coordinare in modo efficiente ed attento i lavori del Comitato Scientifico, e' l'autore dei testi della mostra e del catalogo: a lui va il ringraziamento piu' sentito di tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di questa iniziativa. Un ringraziamento che non può non estendersi al Dottor Roberto Lugli e alla Dottoressa Maria Ferrara, animatori dell'esigua e motivata équipe del Centro per la Diffusione della Cultura Scientifica dell'Università di Cassino, e al Professor Federico Rossi, Magnifico Rettore del nostro Ateneo.

 

Prefazione

Lo Zenone di Marguerite Yourcenar definisce il cervello un alambicco dove si distilla l'anima. E' una definizione che molti ricercatori impegnati nelle neuroscienze vorrebbero propria, Ad essi interessa capire il processo di quella distillazione, per cui sono impegnati a studiare la struttura dell'alambicco e le eventuali differenze tra alambicchi, che definiscono interindividuali. Essi studiano varie sostanze distillabili (stimoli), cercando di stabilire se e quando il prodotto finito (risposta/comportamento) sia ripetibile e, eventualmente, se e in che modo lo stimolo sia capace di modificare l'alambicco stesso.

Spesso utilizzano stimoli artificialmente costruiti per ottenere risposte controllabili; ne studiano gli effetti immediati (acuti), protratti e, con maggior interesse, quelli conseguenti a esposizioni ripetute (cronici). Si è così appreso che l'alambicco/cervello può essere strutturalmente modificato anche stabilmente dagli stimoli che recepisce: addirittura, l'elaborazione da parte sua di uno stimolo può coincidere con una sua modificazione. Per cui, dopo aver distillato certi stimoli, un cervello spesso modifica la sua risposta sia allo stimolo modificante che ad altri stimoli apparentemente con esso non correlati.
Il neurobiologo ha difficoltà a privilegiare il cervello rispetto agli stimoli, siano essi ambientali che interiori, e considera le risposte non in termini di anima ma di criteri di valutazione di una funzione d'organo. Il religioso privilegia il prodotto finito perché espressione dell'anima e non epifenomeno d'una funzione d'organo. Il materialista privilegia nella sua analisi le sostanze da distillare, cioè l'ambiente, che attraverso i suoi stimoli influenzerebbe in termini quasi deterministici i comportamenti di un individuo, indipendentemente dalle caratteristiche dell'alambicco.

Il religioso ha il mandato di salvare le anime e il politico quello di promuovere o imporre il suo modello di società civile. Con tali mandati è difficile agire entro limiti rispettosi di interessi e opinioni altrui. Nella accezione religiosa o politica il tossicodipendente è un disadattato, peccatore o vittima di una società ingiusta, e il rimedio alla sua condizione deve essere salvifico. Tale rimedio però non esiste, poiché la tossicodipendenza è malattia cronica ad andamento recidivante, in certe forme controllabile clinicamente con farmaci, ma non eradicabile. Questa risposta del medico è scarna, lascia poche illusioni, mentre il tema tossicodipendenza acquista una maggiore audience se trattato con enfasi da chi propone soluzioni definitive che passano attraverso percorsi di ristrutturazione della personalità o sovvertimenti radicali della società.

Queste diverse posizioni potrebbero facilmente essere integrate nella visione biologica. Infatti, a detta di Tommaso d'Aquino, l'anima è puro spirito e non si ammala. Per cui, i disturbi del comportamento non sono malattie o segni di sofferenza dell'anima, ma qualcosa di fisico. Corpora non agunt nisi fluxata: anche i farmaci che alterano il comportamento hanno necessità di un substrato molecolare con cui interagire.
Gli stimoli ambientali e interiori, quali i ricordi carichi di emotività, agiscono sugli stessi substrati molecolari con cui interagiscono gli psicofarmaci. In certe condizioni uno stimolo ambientale può produrre effetti e modificazioni profondi: stress intensi e ripetuti giungono a superare i limiti di adeguamento di qualunque cervello, producendo gravi forme di patologia psichiatrica. Allo stesso modo, alcuni psicofarmaci, quali le sostanze d'abuso, sono in grado di produrre modificazioni cerebrali a livello subcellulare e molecolare che si traducono in gravi e durature alterazioni del comportamento. L'ambiente è, quindi, potenzialmente patogeno anche per il cervello, sia tramite stimoli emotivi di intensità e durata superiori alle capacità di adattamento dell'individuo, sia come fonte di sostanze psicoattive.
Tutti questi stimoli agiscono sulle funzioni più complesse del cervello: quelli del quotidiano modificano lentamente le connessioni tra neuroni tramite i processi adattativi di apprendimento e memoria. Quelli eccezionali per contenuto e intensità, inducendo delle modificazioni profonde, vere forme di patologia del comportamento, verosimilmente perché superano le capacità adattative del sistema nervoso.

Dette capacità adattative non sono le stesse per tutti gli individui e le differenze hanno una base genetica, innegabile anche se non sempre dimostrata, e una appresa, culturale o adattativa. Per cui il privilegiare l'individuo rispetto all'ambiente, o viceversa, non ha senso se non per motivi strumentali alla didattica. Chi lo fa aprioristicamente e non accetta il dialogo, si pone in una posizione dogmatica di rifiuto del nuovo che è incompatibile col progresso scientifico.

 

Definizione di droga

Con il termine droga si indica ogni sostanza capace di alterare gli equilibri dei diversi, ma interconnessi, livelli su cui può rappresentarsi il nostro essere: il livello biologico, quello psicologico e quello sociale. Gli equilibri del primo livello sono quelli della fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui meccanismi delle funzioni cerebrali, interferendo sugli eventi biologici che sono alla base delle normali attività delle cellule nervose: la trasmissione e l'elaborazione di impulsi nervosi, cioè a dire di segnali ed informazioni.
Gli equilibri del livello psicologico costituiscono la rappresentazione mentale e comportamentale dei meccanismi cerebrali di cui abbiamo appena parlato. Perturbando le funzioni delle cellule nervose, le droghe compromettono o addirittura annullano gli equilibri psicologici e quindi la capacità di adattamento dell'individuo e le possibilità che esso ha di far fronte a situazioni di disagio intra-psichico, ambientale o interpersonale.
Le droghe condizionano le possibilità d'inserimento sociale dell'individuo, minando da un lato le sue capacità adattative e dall'altro determinando una reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale. Gli equilibri del livello sociale sono legati alle condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta, il livello sociale influenza e vincola la dimensione psicologica e quella biologica.

 
Il significato dei comportamenti, delle abitudini, degli stili di vita che un individuo ricava dalla cultura e dall'insieme dei valori della società è infatti uno dei fattori che più condizionano l'esito del riaggiustamento psicologico e quindi biologico conseguente all'uso delle droghe. Il valore storico-culturale di normalità e di devianza, infine, è l'elemento che più contribuisce a determinare l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa uso di droghe e quindi, conseguentemente, le possibilità che ha quest'ultimo di adattarsi con i minori danni possibili alla sua nuova condizione.

 

Alter Ego e le droghe legali

Alter Ego non affronta l'analisi dei meccanismi d'azione delle droghe legali: alcoolici, tabacco e psicofarmaci e dei danni che il loro consumo eccessivo produce sull'organismo e sul comportamento. Ciò non è dovuto ad una sottovalutazione del problema dell'alcoolismo, del tabagismo e dell'abuso degli psicofarmaci. Abbiamo ben presente il fatto che gli alcoolici, il tabacco e gli psicofarmaci rappresentano le droghe più incidenti, a livello epidemiologico, sulla salute dell'uomo moderno, poiché sono le sostanze psicoattive di cui si fa più uso.

 
La nostra scelta è stata dettata da esigenze pratiche, legate alle strutture espositive della mostra e dalla volontà di evitare inutili e dannose "overdose" di informazioni. L'esame della complessa realtà storica e scientifica delle droghe legali sopraindicate avrebbe imposto una pesante limitazione allo sviluppo dei temi importantissimi legati alle droghe illegali (stimolanti, stupefacenti e allucinogeni), riducendoli a presentazioni didascaliche di difficile comprensione.


Queste ultime sostanze meritano invece una attenta e ampia trattazione. Pur essendo meno diffuse, esse infatti sono sicuramente più pericolose dell'alcool, del tabacco e degli psicofarmaci, in quanto posseggono un'attività farmacologica superiore e sono assunte con modalità e sotto forma di presentazioni adulterate e contaminate (dosi, polveri e pillole vendute dagli spacciatori) che ne moltiplicano l'effetto tossico sino a renderle mortali.

 

Classificazione delle droghe

In base agli effetti positivi ricercati da chi ne fa uso, le droghe possono essere classificate in sei gruppi:

  1. Stupefacenti: oppio e derivati (morfina, eroina, codeina).
  2. Stimolanti: cocaina, amfetamine, tabacco, caffè, tè e, se assunti in dosi piccole, i derivati di sintesi come le metossiamfetamine (DOM, conosciuta comunemente come STP - serenita', tranquillita', pace -, DMA, conosciuta come pillola dell'amore e MDMA, meglio nota come ecstasy).
  3. Sedativi o ipnotici: benzodiazepine, barbiturici.
  4. Inebrianti: alcool, etere, solventi, colle e, fino alla fine dell'Ottocento, il cloroformio e l'assenzio.
  5. Allucinogeni: LSD, hashish e marijuana, mescalina, psilocibina, psilocina e se assunte in dosi appropriate le metossiamfetamine indicate sopra tra gli stimolanti

 

Le Droghe nella Storia

 Introduzione 


Si ritiene comunemente che l'uso e l'abuso delle droghe siano problemi tipici della società contemporanea e che le droghe vengano usate nel tentativo di risolvere o di eludere le difficoltà. Questa convizione trova conforto nella attuale grande diffusione delle sostanze che modificano il funzionamento del sistema nervoso e modulano o controllano gli stati del cervello e della mente: psicofarmaci e droghe. Le indagini storiche, etnologiche e geografiche, hanno tuttavia dimostrato che la ricerca della manipolazione della coscienza, dell'alterazione degli stati della mente e del controllo del comportamento sono costanti della storia dell'umanità. Lo psicotropismo infatti si presenta, con metodologie e percorsi diversi, in tutte le epoche e a tutte le latitudini geografiche e sociali.


Attraverso le droghe l'uomo ha sempre cercato di curare il male, di fuggire gli affanni, le preoccupazioni, la tristezza, di rompere i vincoli della quotidianità, di acquisire una percezione mistica e giungere all'esperienza del sacro.


Ma quali sono le ragioni di un fenomeno così vasto e radicato nella storia dell'umanità? Perché l'uomo ricerca con tanto accanimento di agire sugli stati di coscienza e di modificare artificialmente i processi mentali, nonostante tutti i rischi e i danni che ciò comporta? La paradossalità dello psicotropismo forse si risolve se si tiene presente il fatto che l'uomo è un animale intelligente e dotato di coscienza. Vivendo l'esperienza della propria coscienza, l'uomo sembra portato a controllare gli stati mentali che percepisce, a riprodurre in maniera artefatta tonalità emotive piacevoli, a fugare - con ogni strumento valido al fine - le afflizioni e il dolore. In quanto essere intelligente, l'uomo intende controllare la sua coscienza con strumenti artificiali, le droghe, così come controlla con utensili da lui messi a punto i fenomeni naturali e le cose che maggiormente lo coinvolgono.

 

 Par .1 - L'Oppio e i suoi derivati - 

L'oppio è il succo lattiginoso, condensato all'aria, estratto per incisione dalle capsule non mature del Papaver somniferum album (papavero sonnifero). Il suo nome deriva dal termine greco opos: succo. L'oppio grezzo e' la sostanza base di tutti gli stupefacenti e contiene circa 20 tipi di alcaloidi, composti organici azotati dotati di elevata azione farmacologica a livello del sistema nervoso. Tra questi alcaloidi sono presenti alcune sostanze di diffuso uso clinico nella terapia del dolore e della tosse, come la codeina, la papaverina, la narcotina. L'alcaloide principale dell'oppio e' invece la morfina. Per le sue elevate proprietà analgesiche, essa e' stata anche soprannominata la "medicina di Dio" e rappresenta tuttora il farmaco piu' usato nella terapia contro il dolore. La morfina e' stata anche la prima droga iniettabile e costituisce la base da cui si sintetizza uno degli stupefacenti più tossici e pericolosi: l'eroina.


Papaver somniferum
Dioscoride, Codex Vidobonensis (512 d.C.). Osterreische Nationalbibliotek, Vienna


Storia dell'Oppio

 L'uso dell'oppio è attestato sin nei primi documenti scritti prodotti dall'uomo. Hul gil, l'ideogramma con cui i Sumeri indicavano, gia' nel 4000 a.C., il papavero da oppio, stava per pianta della gioia, dimostrando così come le antiche popolazioni della Mesopotamia conoscevano bene le proprietà euforizzanti del succo di tale pianta.
L'oppio veniva usato dagli Egizi come calmante per i bambini ed era l'ingrediente principale del pharmakon nepenthes che Elena versa nel vino durante il banchetto con Telemaco alla corte di Menelao, raccontato da Omero nell'Odissea (IV, 219-228).Nella mitologia greca e romana l'oppio era una presenza ricorrente. Un mito raccontava come Demetra, la dea della terra feconda, sorella di Zeus, usasse il papavero per alleviare il dolore provocatole dal rapimento della figlia Persefone.
Per questa ragione, esso veniva usato nel culto ufficiale di tale divinità e
il papavero veniva collocato immancabilmente tra le spighe di grano che Demetra tiene in mano nelle raffigurazioni, veniva usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva l'insegna delle sue sacerdotesse.


Capsula di papavero da oppio e
attrezzature per il raccolto

Litografia anonima dell'Ottocento.
Wellcome Institute for the History of Medicine, Londra

Il papavero è spesso presente nelle mani di Morfeo, dio del sonno, mentre Nyx, dea della notte, dispensava papaveri agli uomini. In talune rappresentazioni, anche Hermes si fa avanti con un papavero, quando arriva a recare il sonno ristoratore e la fantasia dei sogni.
L'oppio era presente in moltissimi tipi di pozione (teriaca) messi a punto dai medici greci e romani. La teriaca più famosa ed usata era il galenos (soave) elaborata dal cretese Andromaco il Vecchio, medico alla corte di Nerone.

Il galenos era raccomandato come una infallibile panacea. Il più grande medico dell'antichità romana, Galeno, prescriveva tale pozione diluita in alcool per una serie incredibile di disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee, problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra.
Con questa pozione, stemperata in abbondanti dosi di miele, Galeno curò il più eminente dei suoi pazienti, l'imperatore Marco Aurelio, sino a farlo divenire dipendente dall'oppio, come testimoniano i resoconti clinici compilati dal medico.

 
L'oppio era un principio curativo fondamentale della farmacopea araba e da questa passò quindi nella medicina europea. Il famoso alchimista Paracelso metteva a punto un preparato a base d'oppio destinato ad avere una straordinaria diffusione: il laudano.
A partire dal Cinquecento l'oppio diveniva d'uso comune nel nostro continente, come testimonia il fatto che tale sostanza si trasformava in una sorta di topos dell'immaginario occidentale, tanto che in letteratura il riferimento all'oppio costituiva una sorta di pretesto narrativo, una chiave simbolica, per l'analisi e la descrizione delle lotte umane contro le tristezze e le sofferenze, contro i ricordi angosciosi, ma anche un elemento fondamentale nell'invenzione e nello sviluppo del racconto di intrighi e illecite macchinazioni.
Nonostante la crescente diffusione dell'oppio, tuttavia, l'uso di tale droga non assunse mai livelli epidemici. Esistevano consumatori occasionali e sporadici, individui farmaco-dipendenti, ma socialmente accettati e capaci di mantenere una vita di relazione nei canoni della normalita' ed infine gruppi significativamente piccoli di tossicomani completamente dipendenti ed asserviti alla droga, ma che non rappresentavano un reale pericolo sociale, data la loro scarsa consistenza numerica.

L'era industriale e la sintesi in forma pura dei principi psicoattivi

Questa condizione doveva mutare con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, quando l'oppio, ormai prodotto in larga scala, diveniva una merce acquistabile a basso prezzo. In Inghilterra, ad esempio, l'oppio veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci volte piu' bassi di quelli della birra e dell'alcool. Gli inglesi disponevano delle enormi piantagioni d'oppio dell'India, la cui produzione, data la quantita' e dato il basso costo della manodopera, poteva essere commercializzata a prezzi estremamente concorrenziali. La grande disponibilita' d'oppio a basso prezzo determinava, soprattutto nella classe operaia, l'instaurarsi di un'epidemia d'abuso ancora piu' grave di quella dell'alcoolismo.

Gli interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale favorirono allo stesso tempo un'impressionante proliferazione di rimedi a base d'oppio, largamente pubblicizzati e distribuiti capillarmente.

Sciroppi, cordiali e polveri dai nomi familiari ed accattivanti (lo sciroppo dolce della signora Winslow, l'elisir all'oppio di McMunn, il Cordiale Godfrey, lo Cherry di Ayer e così via) e dalle confezioni appariscenti venivano reclamizzati su giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio rappresentavano il prodotto più acquistato.

Questa convergenza di interessi determinava quindi una rapida estensione del consumo dell'oppio e dei suoi derivati anche ai ceti sociali privilegiati. Negli Stati Uniti l'oppio diventava una sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del sesso femminile. Stime ufficiali dell'Amministrazione Sanitaria della confederazione americana indicavano un rapporto variabile da uno a venti a uno a cento tra individui dipendenti da oppioidi e popolazione totale, laddove oggi tale rapporto negli Stati Uniti va da uno a duecento a uno a cinquecento.


Fig. 2: Fumeria d'oppio nella Parigi dell'Ottocento

L'oppiomania divenne un grave problema nell'Europa dell'Ottocento e molti intellettuali denunciarono i pericoli derivanti dall'uso del succo di papavero. Ne I paradisi artificiali , ad esempio, Baudelaire scriveva: "quanti cercano il paradiso con l'oppio si costruiscono un inferno, lo preparano, lo scavano con un successo la cui previsione forse li spaventerebbe"

 L'abitudine di fare uso dell'oppio si diffuse anche tra gli intellettuali e tra i letterati, soprattutto inglesi: George Byron, Percy Shelley, Walter Scott, John Keats, Wilkie Collins e Charles Dickens facevano ricorso, saltuario o sistematico, al laudano per curare i mal di capo, l'insonnia, l'ansia. I casi più famosi però sono quelli di Samuel T. Coleridge e soprattutto di Thomas De Quincey. Quest'ultimo ci ha lasciato un mirabile racconto autobiografico della sua esperienza di tossicomane, Le confessioni di un mangiatore d'oppio. Anche la cultura francese produsse originali posizioni sul problema dell'oppiomania (fig.2), come quelle illustrate da Honorè de Balzac nel racconto Massimilla Doni e quelle discusse da Charles Baudelaire nei famosi saggi raccolti ne I paradisi artificiali.

 L'oppiomania della Rivoluzione industriale e' un esempio eloquente di come sia l'offerta delle droghe a creare la domanda, e non viceversa.

La facile disponibilità di tale droga, sia in termini di diffusione al minuto che in termini di prezzo, contribuì in maniera determinante all'origine dell'epidemia d'abuso del secolo scorso.

La grande diffusione dell'uso dell'oppio nella società di quel periodo, infine, rendeva il dominio della normalità sociale molto diverso da quello che vige nella cultura attuale. La gente considerava l'uso dell'oppio e l'oppiomania come comportamenti non devianti e i governi continuavano a sancire la piena legittimità di tali abitudini. La grave epidemia d'abuso dell'oppio dell'Ottocento trasformava la produzione e il commercio di tale sostanza in un colossale affare. Ciò e' testimoniato eloquentemente dal fatto che proprio in quegli anni l'Inghilterra si decideva a scatenare una guerra contro la Cina per costringerla a ripristinare la legalita' dell'oppio revocata nel lontano 1729 dall'imperatore Yung Chiang.
L'espandersi dell'uso dell'oppio incitò a nuovi studi sulla sostanza.
Nel 1804, Armand Séquin isolava per la prima volta il costituente fondamentale di tale droga, chiamandolo morfina, in onore a Morfeo, dio greco del sonno e dei sogni. Un anno più tardi Wilhelm Setürner, un giovane speziale tedesco di soli vent'anni, metteva a punto un efficace ed economico metodo di isolamento e produzione della morfina.

Nel 1853, Alexander Wood inventava la siringa ipodermica (Fig.3), rendendo così possibile l'assunzione di droghe in forma pura direttamente nel circolo sanguigno. Si determinava così una svolta radicale nel rapporto tra l'uomo e le droghe, in quanto l'iniezione endovena aumenta in modo drammatico l'azione delle droghe sul cervello. Il successo dell'accoppiata morfina-siringa diveniva ben presto tale che su di essa cominciava a svilupparsi una terapeutica dalla casistica praticamente sterminata. La morfina non era soltanto un rimedio alle patologie organiche, ma diventava anche un farmaco per le malattie sociali.


L'alcaloide dell'oppio doveva servire, secondo teorie mediche accreditate nella seconda metà dell'Ottocento, a sconfiggere la piaga dell'alcolismo e a risolvere così tutti i problemi sociali conseguenti a tale abuso. Non si doveva attendere molto per assistere alle prime tragiche dimostrazioni della pericolosità dell'uso irrazionale della morfina iniettabile.


Fig. 3: La morfinomane

Eugene Grasset, Cromolitografia, 1897.
Biblioteca Jacques Doucet, Parigi

Durante la guerra di secessione americana (1861-1865) e con il conflitto franco-prussiano (1870-1871) decine di migliaia di militari divennero assuefatti alla morfina, tanto che la dipendenza a questa droga venne significativamente chiamata "malattia del soldato". Gli ufficiali medici avevano purtroppo imparato a somministrare la morfina non soltanto come anestetico per le operazioni sui soldati feriti, ma anche per dare sollievo ai più piccoli malanni fisici e al disagio psicologico provocato dalla tensioni delle battaglie. La guerra franco-prussiana diffondeva la pratica della morfina anche tra lo stato maggiore dell'esercito tedesco e quindi tra le classi più agiate del Secondo Reich, sino al cuore dell'intellighenzia.
Il musicista ufficiale del regime, Richard Wagner, e l'artefice dell'unificazione nazionale, paladino del militarismo prussiano e cancelliere del Reich Otto von Bismarck, erano consumatori abituali di morfina. La moda della morfina si radicava anche in Francia, soprattutto tra i ceti medio alti. Il derivato dell'oppio faceva adepti tra intellettuali, scienziati, uomini di stato. Il generale Georges Boulanger, ministro della guerra nella Terza Repubblica francese e capo del movimento nazionalista e autoritario del boulangismo, era stato visto varie volte iniettarsi morfina in pubblico. Guy de Maupassant usava la morfina a scopo voluttuario e per stimolare la creativita'. Negli ultimi anni della sua vita, il grande neuropatologo e maestro di Sigmund Freud, Jean-Martin Charcot, si iniettava una dose di morfina al giorno per trovare sollievo da una lombaggine cronica. Jules Verne ricorreva alla morfina per ridurre il dolore che gli provocava una pallottola conficcata nel piede che non poteva estrarre a causa del diabete che lo affliggeva.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la morfina assurgeva a simbolo caratterizzante la cerchia elitaria di esteti e raffinati decadenti e per estensione degli intellettuali in genere. Si fabbricavano astucci d'argento ornati da emblemi, incisioni, stemmi e iniziali di famiglia, contenenti il necessaire per la somministrazione della droga: una siringa d'oro ed un grazioso flacone di vetro intarsiato. I morfinomani della buona società si regalavano l'un l'altro questi preziosi strumenti scegliendoli con grande cura ed attenzione. Non era difficile incontrare nei caffé, al teatro, negli angoli dei salotti alla moda, dame e signori del bel mondo che si iniettavano con fare disinvolto la morfina in una coscia, anche attraverso gli indumenti.
Così, la «medicina di Dio» si era rivelata essere anche un potenziale veleno, il germe portatore di una delle più gravi epimedie della storia moderna, la causa scatenante di una piaga sociale apparentemente insanabile.

Occorreva pertanto trovare un farmaco parimenti efficace contro il dolore, che non provocasse pero' la dipendenza. Questa ricerca rappresentava un nuovo colossale affare commerciale e le maggiori industrie chimico-farmaceutiche dell'epoca investirono su di essa ingenti quantità di denaro. Nel 1898, la Bayer annunciava al mondo di essere finalmente pronta a commercializzare questo farmaco miracoloso. Il lancio del nuovo prodotto veniva preparato con una massiccia e capillare campagna pubblicitaria. Foglietti illustrativi, depliant e campioni gratuiti della sostanza vennero inviati praticamente a tutti i medici e a tutte le farmacie dei paesi industrializzati. «Contro tutti i dolori, sedativa della tosse, per la cura dei tossicomani», cosi' recitava il foglietto inviato con il campione. Era la diacetilmorfina, il cui nome commerciale, Eroina, derivava dalla parola tedesca heroisch, energico, eroico, che più caratterizzava, secondo la Bayer, questo farmaco potente e apparentemente privo di controindicazioni.

 Par. 2 - Le droghe stimolanti -

2.1 Coca e Cocaina

I metodi di datazione applicati su reperti archeologici scoperti nelle Ande centrali, testimoniano come l'uomo abbia cominciato a masticare le foglie di coca, da cui si estrae la cocaina, in epoche precedenti al 2500 a.C.

La pianta della coca ha avuto un'importanza enorme per tutte le civiltà andine. Ciò è testimoniato dal fatto che essa era protagonista principale di tutti i moltissimi miti d'origine con i quali si raccontavano le vicende leggendarie della fondazione delle varie civiltà andine. La coca costituiva inoltre la pianta per eccellenza, la classe paradigmatica dell'intero regno vegetale, come attestavano i significati stessi della parola. Nel linguaggio della civilta' Tiahuanaca, ad esempio, la parola coca significava semplicemente pianta o albero.
La coca aveva un posto particolare nell'olimpo Incaico. Essa era il dono che il dio Sole aveva fatto a suo figlio, Manco Capac, mitico fondatore dell'impero Inca, per alleviare le sofferenze umane ed infondere vigore alla nuova civiltà.

 Dato il carattere sacrale della coca, la consuetudine e le leggi incaiche ne limitavano l'uso all'aristocrazia imperiale e alla potente casta sacerdotale. Sino all'arrivo degli spagnoli, pertanto, la popolazione poteva consumare la coca soltanto in occasione di particolari riti religiosi e per scopi terapeutici. Nel 1532, con la caduta dell'impero Incaico per mano degli eserciti spagnoli guidati da Francisco Pizarro, la situazione doveva mutare radicalmente. Con l'uccisione dell'ultimo imperatore incaico, Atahualpa, gli indios dell'impero cominciavano a fare libero uso della coca, tanto che, sin dai primi resoconti che gli storici e i cronisti spagnoli pubblicavano sulla nuova provincia, e' costante il riferimento all'estrema diffusione del consumo di coca e al fatto che gli indigeni considerassero la coca una ricchezza inestimabile, tanto da preferirla all'oro.Gli spagnoli usarono dunque la coca come compenso per il massacrante lavoro nelle miniere e nelle piantagioni degli Incas schiavizzati. Le complicanze sull'organismo prodotte dall'abuso generalizzato di coca amplificarono la mortale azione delle armi e dei virus europei per i quali gli indigeni non avevano alcuna resistenza immunitaria, accelerando il gia' rapido processo di eliminazione degli indios da parte degli spagnoli.

Coca e bevande toniche

I primi seri studi di tossicologia e sull'uso della coca in clinica iniziavano nella seconda meta' dell'Ottocento, con la pubblicazione di un'importante opera di Paolo Mantegazza, un eclettico professore italiano di patologia generale ed antropologia, intitolata Sulle virtu' igieniche e medicinali della coca e degli alimenti nervosi in genere. Il Saggio conobbe un successo straordinario in tutta Europa e divenne il maggiore veicolo di promozione del potente stimolante nella societa' occidentale. Ispirandosi all'opera di Mantegazza, un chimico farmacista corso, Angelo Mariani, ideava nel 1863 una bevanda preparata con coca sciolta in vino: il Vin Mariani (Fig.5).
Questa bibita tonificante veniva usata anche in medicina, perché si pensava capace di sollevare il morale ai depressi e di curare praticamente ogni tipo di disturbo fisico, dal mal di gola alle affezioni nervose,dall'impotenza all'insonnia, dall'anemia alle febbri, finanche ai morbi di tipo contagioso.

La bevanda acquistava immediatamente una popolarità clamorosa, annoverando tra i suoi acquirenti personalità famose del mondo dell'arte e della cultura, come Emile Zola, August Rodin, Charles Gounod, Alexandre Dumas figlio, Paul Verlaine, Jules Verne, Heinrik Ibsen, Thomas Alva Edison, della politica, come Ulysses Grant, presidente degli Stati Uniti, come lo zar di Russia e il Principe di Galles. Mariani era ritenuto un benefattore dell'umanità, tanto che papa Leone XIII regalava al chimico corso una medaglia d'oro in segno di riconoscenza.

Il successo mondiale del Vin Mariani spingeva l'artigianato e l'industria chimico-farmaceutica a mettere a punto un preparato capace di trarre profitto dal ricchissimo mercato creato dal tonico francese. Fu un farmacista americano di Atlanta, John Styh Pemberton, a commercializzare nel 1885 la prima bevanda in concorrenza con il Vin Mariani, il French Wine Coca.


Fig. 5: Manifesto pubblicitario del Vin Mariani

L'eccezionale campagna pubblicitaria che accompagno' la commercializzazione del Vin Mariani mirava non solo a far conoscere la bevanda, ma anche a provare la "realta'" delle straordinarie virtu' del tonico attraverso le autorevoli e favorevoli testimonianze delle grandi personalita' che l'avevano usato. Per raccogliere e rendere noti ai consumatori questi testimonial, Mariani comincio' a pubblicare, dal 1891, una elegante serie di quattordici Album. In essi erano presenti i ritratti e le autografe attestazioni di gratitudine che la gente illustre gli aveva inviato.
Gentilmente concessa dall'editore Casamassima, Udine


L'anno successivo Pemberton modificava il suo preparato eliminando l'alcool e aggiungendo estratto di noce Kola - una sostanza ricca di caffeina -, oli di agrumi e dolcificanti. Il nuovo analcolico (soft drink) era destinato, secondo la pubblicità che ne accompagnò l'immissione sul mercato, «agli intellettuali e agli alcolisti in astinenza»: il suo nome commerciale era Coca Cola. Sino al 1903, anno in cui il governo federale statunitense imponeva la decocainizzazione delle foglie di coca usate per la preparazione, la cocaina fu un ingrediente della Coca Cola.

 

Dalla Coca alla Cocaina

Nella storia dell'uso delle foglie di coca non si trovano, eccetto che per il consumo coatto imposto agli indios dai conquistadores, testimonianze di abuso e di problemi di una certa rilevanza sociale (nella sanita' e nell'ordine pubblico) connessi all'utilizzo della pianta peruviana. Tali problemi invece apparivano drammaticamente a partire dal 1860, quando Albert Nieman, un chimico di Göttingen, riusciva ad isolare l'alcaloide principale delle foglie di coca, la cocaina. La disponibilità della cocaina in forma pura facilitava anche le ricerche medico-scientifiche e l'impiego in clinica, soprattutto nel settore delle malattie mentali. Fiorirono cosi' una serie di bizzarre proposte per l'utilizzo "razionale" del potente stimolante. In Francia, alla fine degli anni settanta, si consigliava la somministrazione della cocaina agli operai per l'aumento della produzione nelle fabbriche.

Negli Stati Uniti si usava curare l'esaurimento nervoso e persino la timidezza con dosi di cocaina. Nel 1878, il dottor Bentley suggeriva di utilizzare la cocaina per la disintossicazione dei morfinomani. La pratica del dottor Bentley trovava purtroppo vasta applicazione, soprattutto negli Stati Uniti, dove peraltro veniva estesa al recupero degli alcolisti, producendo infallibilmente nei pazienti la conversione della dipendenza dagli oppioidi (e dall'al-cool) al farmaco stimolante. Agli inizi degli anni '80, in Germania furono condotti studi sulle proprieta' stimolanti ed anoressizzanti della cocaina somministrandola di nascosto ai soldati. Lo Stato Maggiore tedesco sperava di trovare una sostanza in grado di migliorare il morale, l'efficienza e la resistenza delle truppe alla fatica e alla fame, in modo facile, sicuro e relativamente economico.

Tali pericolose teorie erano ben conosciute e condivise da Sigmund Freud e lo spingevano a sperimentare, entusiasmandosene, gli effetti della cocaina su se stesso.
Nel suo famoso saggio Sulla cocaina, pubblicato nel 1884, il padre della psicanalisi raccontava come dal 1864 avesse cominicato a fare uso di cocaina per combattere i suoi ricorrenti stati depressivi. L'ingenua fiducia nel nuovo farmaco era tale da indurlo a regalare la cocaina alla sua fidanzata, Marthe Bernays e a consigliare il suo uso come farmaco disintossicante a un caro amico, il patologo Ernst Fleischl, divenuto morfinomane in seguito ad una lunga terapia del dolore.

Dopo aver trovato iniziale giovamento, Fleischl sviluppò una fortissima dipendenza alla cocaina, sino ad aver bisogno di dosi eccezionali, cento volte superiori a quelle usate nei normali trattamenti: un grammo al giorno che si autosomministrava per iniezione sottocutanea. Fleischl cominciava quindi ad avere spaventosi episodi paranoidei: allucinazioni e deliri che aveva sperimentato talvolta anche Freud, nei quali terrorizzato ed impotente doveva lottare contro i morsi e le aggressioni di miriadi di insetti sopra e sotto la pelle.
I racconti delle angoscianti allucinazioni sensoriali di Fleischl costituiscono il primo resoconto di un sintomo classico del cocainismo, la zoopsia, eufemisticamente indicata come "sintomo delle bestioline". I deliri di Fleischl divennero sempre più frequenti, sino a renderlo vittima di una delle prime forme documentate di psicosi cocainica.

La triste esperienza di Fleischl accomunava presto folte schiere di ex-morfinomani e nuovi drogati, facendo finalmente spegnere l'acritico entusiasmo della comunita' medica.
L'epidemia dell'abuso si diffuse quindi tra gli intellettuali, dato che la cocaina veniva ritenuta una sostanza capace di amplificare le capacità critiche e creative. Scritto in tre giorni e tre notti da un autore dedito all'uso dei piu' diversi farmaci, Robert L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde, è forse l'opera letteraria più famosa redatta sotto l'effetto di cocaina.
Il famosissimo Sherlock Holmes, immaginario detective dei gialli di Conan Doyle, al quale il suo ideatore faceva consumare notevoli quantità di cocaina, diede un indiscutibile contributo alla propaganda di questa droga.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la moda della cocaina guadagnava consensi sempre più vasti anche al di fuori delle elite intellettuali, soprattutto negli Stati Uniti. Nelle grandi metropoli europee e americane si inauguravano ritrovi per il consumo di cocaina. La cocaina, come la morfina, si consumava poi durante le feste private e nel buio delle platee dei teatri. La cocaina conquistava nuovi adepti anche nelle classi lavoratrici. I conduttori di mezzi di trasporto pubblico o le guardie notturne lo usavano per sopportare il sonno durante i turni di notte. Per le stesse ragioni, la cocaina diveniva sostanza d'abuso nel variegato mondo del popolo della notte. La assumevano scassinatori, prostitute, giocatori d'azzardo, frequentatori di locali più o meno alla moda.

Negli stati meridionali dell'unione americana la cocaina costituiva una parte del compenso elargito ai negri raccoglitori di cotone. In Europa l'abuso di cocaina trovava in Francia la sua patria adottiva. Nel 1924 nella sola Parigi si contavano almeno 80.000 cocainomani. Nel 1914, un'indagine epidemiologica pubblicata sul Journal de Médicine française rivelava che almeno metà delle prostitute di Monmarte era dipendente dalla cocaina. Molti tra i dadaisti e i surrealisti francesi erano dediti a tale droga. La cocaina servì purtroppo a qualcuno di loro per darsi la morte.

La cocaina dunque era divenuta un grande affare commerciale e, attirando conseguentemente gli interessi della malavita, si era trasformata in una grave minaccia per l'ordine pubblico. A partire dagli inizi del Novecento, le autorita' dei vari stati americani cominciarono a prendere seri provvedimenti restrittivi e ad iniziare una vigorosa campagna educativa nelle scuole e presso gli eserciti.

L'atteggiamento degli Stati Uniti veniva presto imitato a livello internazionale. Il documento elaborato per la «Convenzione dell'oppio» all'Aja dalla Società delle Nazioni, nel 1912 e nel 1914, sanciva infatti la messa al bando della cocaina e restringeva la liceità del suo uso esclusivamente alle applicazioni mediche e alla ricerca.

2.2 Le amfetamine

La storia delle amfetamine e' piuttosto recente rispetto a quella delle altre sostanze psicotrope che abbiamo gia' illustrato. Le amfetamine, infatti, vennero sintetizzate verso la meta' degli anni trenta da un chimico di Los Angeles, Gordon Alles. Tali sostanze dovevano costituire un sostituto sintetico dell'efedrina, un principio farmacologico naturale della pianta Efedra molto efficace nella cura dell'asma, ma di difficile estrazione.
Le amfetamine, poste liberamente in vendita alla fine degli anni trenta in confezioni con inalatore, ebbero immediatamente un successo commerciale, non solo per la loro efficacia nel trattamento delle affezioni asmatiche, ma soprattutto per le proprietà stimolanti, la cui conoscenza si diffuse immediatamente, in special modo nel mondo degli studenti americani. Questi ultimi avevano imparato ad assumere il farmaco per vincere il sonno durante la preparazione agli esami.

In quegli anni le amfetamine venivano prescritte come antidepressivi e per la cura degli "esaurimenti nervosi". La potente azione anoressizzante, inoltre, veniva utilizzata per la produzione di farmaci per le cure dimagranti. Vennero dunque messe a punto numerosissime "pillole dietetiche", la cui pubblicità cominciò ad invadere non solo le riviste di medicina ma anche i rotocalchi a larga diffusione. Ciò determinava, agli inizi degli anni cinquanta, una grave e particolare forma di epidemia d'abuso, con moltissimi casi di persone diventate dipendenti all'amfetamina nel corso di cure dimagranti, ed induceva i governi dei paesi occidentali a regolamentare la produzione e il commercio di farmaci a base di amfetamine.

Le amfetamine e la seconda guerra mondiale

La prima grave epidemia d'abuso, in realtà, si era verificata durante la seconda guerra mondiale. Le pillole a base di amfetamine venivano infatti distribuite ai soldati, specialmente ai piloti, per aumentarne l'efficienza e sostenerne il morale. Secondo alcune stime, circa il 10% delle truppe inquadrate nell'esercito americano era dedito all'uso cronico e pesante di amfetamine. Tra i soldati dei corpi speciali e tra i prigionieri di guerra tale percentuale si alzava sino al 25%. I tedeschi distribuirono agli alleati giapponesi dell'Asse grandissime quantità di amfetamine, esportando verso l'Impero del Sol Levante anche le conoscenze e le tecnologie necessarie allo loro intesi.

A differenza dei tedeschi, però, i giapponesi distribuivano le amfetamine soprattutto alla popolazione civile, nelle fabbriche di munizioni e materiale bellico, per aumentare la produttività.
"Ammine della veglia" fu il nome dato dai giapponesi a queste sostanze e che indicava sinteticamente i loro effetti più manifesti ed apprezzati.

Alla fine della guerra, le industrie farmaceutiche nipponiche cercarono di vendere le enormi scorte di amfetamine accumulate con anni di produzione esasperata, attraverso una martellante campagna pubblicitaria, che decantava l'efficacia di queste droghe nei casi di depressione, sonnolenza, stanchezza cronica, obesità. La campagna pubblicitaria ebbe un grande successo in quanto sfruttava scientificamente il diffuso stato di frustrazione e sfiducia che si era impadronito del paese, soprattutto dei giovani, in seguito alla sconfitta militare, proponendo un rimedio estremamente economico, rapido e potente. Con gli inizi degli anni '50, quindi, scoppiava in Giappone una vera epidemia dell'abuso di amfetamine.
Una statistica del 1950 rivelava che circa il 5% della popolazione compresa tra i 16 e i 25 anni era costituita da tossicodipendenti dediti all'uso di amfetamine. Un'altra statistica del 1954, invece, dimostrava che su sessanta omicidi commessi nel paese, trentuno erano in qualche modo in rapporto più o meno diretto con l'abuso di tali sostanze.

 

 Par. 3 - Gli allucinogeni -

 
3.1 La Canapa Indiana

La canapa indiana (Cannabis indica) è una pianta comune largamente diffusa nelle zone tropicali e temperate della terra. Dalla canapa indiana si traggono la marijuana e l'hashish, sostanze con blanda azione euforizzante ed allucinogena. La marijuana e' una miscela delle foglie, dei fiori e degli steli della canapa indiana, mentre l'hashish rappresenta la resina della cannabis estratta dal polline dei suoi fiori. L'hashish possiede effetti stupefacenti molto più forti rispetto alla marijuana in quanto la resina del polline contiene una percentuale di principi psicoattivi, i cannabinoli, più elevata di quella propria della pianta al naturale.

Dalla preistoria agli "assassini"

Si suppone che l'uso della canapa indiana cominci in età neolitica nei territori situati a sud ovest del Mar Caspio e corrispondenti all'attuale Afghanistan. La conoscenza della canapa si sarebbe da qui diffusa verso la Cina, dove il suo uso e' documentato nel Rhyya, un trattato cinese di botanica del XV secolo a.C. Nel trattato farmacologico risalente al leggendario imperatore Shen Nung, la canapa veniva descritta come sedativo e panacea. Il testo indiano Atharveda indicava la canapa come elemento magico e medicinale.
In India la canapa era ritenuta di origine divina, in quanto derivava dalla metamorfosi dei peli della schiena di Visnù.

Come tutti gli oggetti sacri essa possedeva vari epiteti tra i quali quello di Vijahia (fonte di felicita' e successo) e di Ananda (che produce la vita). La canapa era coltivata dai bramini negli orti dei templi e serviva alla preparazione di un infuso chiamato bhang, che assunto in determinate occasioni rituali favoriva l'unione con la divinità.

Gli Assiri bruciavano una sostanza chiamata qunnabu nei loro templi, mentre Caldei e Persiani la conoscevano rispettivamente col nome di kanbun e di kenab. Nell'Avesta persiano la canapa occupava il primo posto in una lista di migliaia di sostanze terapeutiche.
Nel mondo islamico la canapa era tenuta in grandissima considerazione. Hashish in arabo significa erba, anzi è l'erba per eccellenza, come se l'attività psicotropa della pianta costituisse la chiave definitoria dell'intero regno vegetale.

La canapa è stata protagonista della vicenda leggendaria del "Veglio della Montagna" e della feroce setta dei suoi assassini, che Marco Polo riprendeva con alcune varianti nel Milione, una storia che ha stimolato per secoli l'immaginario occidentale, soprattutto quello dell'epoca Romantica. In essa si raccontava di come l'imam Hasan, infallibile ed onnipotente capo della città fortezza di Alamut si servisse dell'hashish per arruolare dei giovani e renderli privi di volontà e da lui assolutamente dipendenti in modo tale da spingerli nelle imprese più pericolose, non escluso l'omicidio. Il termine assassini, con cui si indicavano in Europa i componenti di questo devotissimo corpo armato di vendicatori, e quindi per estensione gli autori di omicidio, derivava dall'arabo hashishen, cioè dediti all'erba.

L'hashish e l'indagine sulla follia

L'uso voluttuario della canapa veniva introdotto in Europa (soprattutto in Francia), nell'Ottocento, in seguito alla conquista delle province dell'impero Ottomano da parte delle truppe napoleoniche. Gli estatici abbandoni ed il vacuo torpore, il kif, cui si lasciavano andare gli islamici e divennero presto esperienza comune tra i borghesi e i giovani romantici parigini. Nascevano quindi circoli di fumatori d'hashish, luoghi consacrati ad un nuovo culto laico. Il «Club des Haschischins» era forse il più noto di questi. Vi convenivano alcuni tra i maggiori letterati ed artisti parigini dell'epoca, come Gérard de Nerval, Théophile Gautier, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac.


Fig. 7: L'accenditrice di narghilè

Jean-Leon Gerome, olio su tela, 1898. Collezione privata.
Il fumo della canapa, che gli europei avevano riscoperto con le conquiste coloniali nel Nord Africa ed in medio Oriente, divenne una pratica piuttosto diffusa nella buona società dell'Ottocento, soprattutto in quella francese.

Diverso era l'approccio che caratterizzava l'altro famoso cenacolo dei fumatori di hashish (Fig. 7), quello di cui era capo indiscusso il medico Jacques Joseph Moreau de Tours. In questo circolo l'hashish era usato "sperimentalmente", come una sorta di sonda chimica per indagare la follia dal di dentro.

Nel saggio Du haschisch et de l'aliénation del 1845, Moreau de Tours scriveva di aver visto «nell'haschisch, o piuttosto nella sua azione sulle facoltà morali, un mezzo potente, unico, per esplorare le patologie mentali». Ciò perché, per comprendere le straniate architetture del pensiero folle, bisognava averci vissuto dentro, almeno per un momento,

ma senza perdere coscienza del delirio, mantenendo la capacità di osservare e giudicare le alterazioni via via sopraggiunte. Secondo Moreau de Tours, questo era possibile assumendo hashish.

3.2 Piante allucinogene del sud America


Fig. 8: Statuetta messicana che rappresenta una donna sciamano con fungomagico


La sacralità della Psylocibe mexicana, è attestata dal gran numero di ritrovamenti di statuette simili a quella raffigurata.

 Molto antica è anche la storia dell'uso religioso del fungo magico del Messico e dell'America centrale (Psylocibe mexicana Fig.8) in cui sono presenti due potenti sostanze allucinogene, la psilocibina e la psilocina, straordinariamente simili nella struttura chimica all'LSD.


Teonanacatl è il nome indio di questo fungo e significa carne di dio, perché i sacerdoti messicani pensavano che esso permettesse di entrare in comunicazione con gli dei e di acquisire facoltà magiche e curative. L'idea dello Psylocibe come veicolo di un viaggio a ritroso verso una grandezza e una ricchezza perdute e' ancora oggi comune in alcuni riti degli Indiani mazatechi e zapotechi.


Gli aztechi, invece, ritenevano sacro il
cactus peyote (Fig. 9), la pianta da cui si ricava un allucinogeno naturale, la mescalina, la cui ingestione dà effetti simili a quelli dell'LSD. I mescaleros, così i conquistadores spagnoli chiamarono gli indios del Centro America, avevano fatto dell'assunzione di peyote il fulcro dei cerimoniali religiosi.

L'esperienza di trascendenza e di illuminazione che questa sostanza è capace di dare costituisce ancora oggi un elemento centrale della cultura religiosa di alcune tribù indiane d'America. I sacerdoti del Peyotismo non impongono nessun dogma specifico ai fedeli, poiché ritengono che ciascuno può entrare in comunione con Dio tramite la "grazia" che da' l'ingestione del peyote. Il peyotismo e l'uso rituale del peyote e del fungo psylocibe sono il tema fondamentale di alcune delle opere più famose di un antropologo brasiliano, Carlos Castaneda: A scuola dallo stregone, Una realta' separata e Viaggio a Ixtlan. Piuttosto che illustrare in maniera oggettiva i risulati di una ricerca scientifica condotta sul campo, esse tuttavia rappresentano una ingenua ed acritica apologia della mistica e dell'irrazionale, tanto che Castaneda è diventato una sorta di guida spirituale per la ribellione antintellettualistica condotta da molti giovani negli anni della contestazione del '68.

La mescalina ispirava un'altra opera letteraria di grande fortuna: Le porte della percezione, scritta da Aldous Huxley, l'autore de Il mondo nuovo. Egli riteneva che la mescalina fosse il mezzo piu' efficace per gettare luce su quelle zone della coscienza umana che la cultura occidentale, cosi' improntata alla razionalita', aveva messo in ombra. Per tale ragione, egli accettava di fare da cavia agli esperimenti con cui gli psichiatri Humphry Osmond, John Smythies e Abraham Hoffer stavano indagando la possibilita' di studiare i meccanismi biologici della schizofrenia attraverso l'induzione di psicosi sperimentali con mescalina. Le porte della percezione narrano le esperienze e raccolgono le riflessioni suscitate dai viaggi allucinati condotti da Huxley sotto l'effetto della mescalina.


Fig. 9: Cactus peyote (Lophophora williamsi)

In seguito alla loro conversione al Cristianesimo, le popolazioni del centro America hanno incorporato il culto del peyote nei rituali cattolici. Nel 1918, questo singolare sincretismo, che ancora oggi viene praticato, e' stato proclamato ufficialmente Chiesa indigena americana.

3.3 Gli allucinogeni di sintesi

Le metossiamfetamine

Tra gli allucinogeni di origine naturale, la mescalina è sicuramente la sostanza meno attiva. Negli anni '60, l'interesse sorto in ambito psichiatrico intorno alla mescalina diede un forte impulso alle ricerche chimiche e farmacologiche tese a potenziare gli effetti del principio attivo del peyote. Nascevano così le metossiamfetamine. Le prime metossiamfetamine hanno conosciuto una grandissima diffusione nel movimento hippy, soprattutto tra gli hippies di quello che era il centro mondiale della produzione di nuove sostanze psicoattive e dell'esplorazione dei loro effetti, San Francisco. Una tra queste, la 2,5-Dimetossi-4-metilamfetamina (DOM), cento volte più potente della mescalina, era stata soprannominata STP, abbreviazione di serenità, tranquillità, pace, ma anche chiaro riferimento ad un noto additivo della benzina usato per dare più potenza al motore.

Il tramonto della cultura psichedelica hippy e l'avvento di quella efficientistica e più "effimera" degli yuppies determinava quindi il declino dell'uso delle sostanze allucinogene. La trasformazione del mercato delle sostanze psicotrope impose così all'industria chimica illegale la produzione di droghe capaci di aumentare la vigilanza e la consapevolezza del sé senza produrre effetti psicotici e distorsioni percettive. La più tristemente famosa di queste sostanze e' l'MDMA, nota come ecstasy. Una droga che ha raggiunto il massimo della popolarità negli anni '80, in quella parte della popolazione giovanile che ha assimilato le istanze e gli stereotipi più deteriori - soprattutto per quanto riguarda le pratiche di aggregazione sociale - proposti da alcuni nuovi modelli culturali.

L'ecstasy è così diventata una sostanza molto usata tra quelli che maniacalmente cercavano e cercano l'esasperazione del divertimento nelle discoteche, nelle feste private e nei locali notturni, perché conferisce euforia e possiede una potente azione eccitante. Al suo uso non è certo disgiunta la drammatica crescita della mortalità sulle strade del sabato sera.

LSD: la dietilamide dell'acido lisergico

Nella grandissima varietà delle sostanze allucinogene, la dietilammide dell'acido lisergico, o più brevemente LSD (Fig.10), e' sicuramente la più conosciuta. Essa è stata la prima droga psichedelica ad incidere in maniera profonda sulla cultura e sull'immaginario del mondo occidentale. Intorno all'esperienza psicheledica prodotta dall'LSD, infatti, si originarono alcuni tratti fondamentali della "metafisica" e, in certi casi, della mistica che animava la rivolta hippy e che sul finire degli anni '60 si diffuse da San Francisco in tutti i paesi industrializzati. Il 16 aprile 1943, Albert Hofmann, un chimico dei laboratori Sandoz, ingerendo accidentalmente l'LSD nel corso di esperimenti sull'attività farmacologica dei derivati dell'acido lisergico, veniva colto da allucinazioni, da un flusso ininterrotto di vivide visioni, immagini distorte, giochi caleidoscopici di colori, forme grottesche, durato qualche ora.

 

Egli aveva scoperto casualmente le straordinarie proprietà psichedeliche dell'LSD. Uno dei primi utilizzi dell'LSD (Fig.10) tentati in medicina fu quello in ambito psichiatrico. Esso venne usato con l'intento di rendere conscio l'incoscio, ma anche, come nel caso degli altri allucinogeni, quale strumento per indurre delle psicosi sperimentali e studiare quindi i meccanismi della malattia mentale. Agli scarsi successi terapici, tuttavia, si accompagnava una straordinaria e rapida diffusione nel consumo voluttuario di LSD.


Fig. 10:

Pannocchia di granturco infestata da Claviceps purpurea, fungo da cui si estrae l'acido lisergico, sostanza base la sintesi dell'LSD

L'LSD diveniva in breve una bandiera ideologica, il simbolo dell'anticonformismo e del rifiuto dei valori della cultura occidentali.

Secondo gli hippies e i ragazzi della beat generation, l'LSD doveva servire a promuovere quella rivoluzione psichedelica che avrebbe finalmente liberato la coscienza e i comportamenti dai legacci dell'educazione all'individualismo e del pensiero raziocinante imposti come norma dalla societa' occidentale.


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