3 luglio1996

di Nadia Scardeoni

Io e Alex quasi non ci conoscevamo eppure era come se ci conoscessimo da sempre perché Alex, cittadino del mondo, é in realtà cittadino di un mondo diverso da quello che tutti noi pensiamo.

Alex Langer appartiene alla categoria umana che non tutti conoscono ma di cui è bene prendere coscienza: la categoria degli uomini o donne, soli. Soli perché incapaci di adattarsi ad un sistema di vita che vieta ai bambini di crescere dignitosamente e li obbliga ad investire altrove le loro risorse.

Allora noi ci dobbiamo chiedere perché Alexander è morto.

Io credo che Alex sia morto perché di questo mondo così degradato, così impazzito, così fuori da ogni regola di sopravvivenza, non sapesse più che cosa farsene.

Cerchiamo allora di capire che cosa ci voglia dire con questa sua morte a Pian dei Giullari, lasciando le sue cose ordinate lì accanto, prendendo per sé uno spago e scegliendo un albero così bello come l'albicocco, alto, maestoso, in un pomeriggio di luglio, forse alle tre, così come era morto il padre adorato, perché, forse, ci vuole dire qualcosa.

Oggi, 3 luglio 1996, a distanza di un anno da quel pomeriggio, io voglio ricordarlo così: sforzandomi di capire la sua morte ingiusta, per continuare in ciò che è giusto. E ritengo sia giusto dedicare queste mie riflessioni ai bambini senza futuro, perché è bene che ne prendiamo atto, non c'è futuro per chi viene oltraggiato nell'età dell'innocenza.

C'è solo la fatica di vivere. Credo.

Credo che ci debba essere un momento nella storia in cui ci si debba fermare, quanti più possibile, davanti a ciò che è ineluttabile. Ma che cosa è ineluttabile?

Credo sia ineluttabile il corso suicida della storia contemporanea, l'evidente, condivisa volontà di correre verso la propria morte.

Quale morte?. La morte rimossa esorcizzata della non vita. Ed è con straordinaria consapevolezza che ogni giorno ha la sua dose, ogni ora il suo gusto e il suo piacere.

Sottratta alla vita la prima causa, il dono, non resta che la scienza per apprestare rimedi, sempre più sofisticati.

Così dentro la giungla dei veleni e degli antidoti non c'è più spazio per la normalità e, la normalità, diventa devianza.

Eppure in qualunque punto della storia dell'uomo noi ci troviamo, tutto dice che la fonte della nostra energia vitale è la ricerca della felicità. Esiste uomo sulla terra che desideri essere infelice?

Come sottrarci dall'assurdo esistenziale che la ricerca della felicità sia un rimedio?

Con la fuga, con le norme, con la retorica?

Guardiamo l'età dell'innocenza, la stagione della vita in cui l'energia vitale, pura come in ogni alba chiede solo di disvelarsi.

Lo sguardo è chiaro e dritto, il gesto è armonico, il cuore s'incendia con sincerità, è tutto uno zampillare argentino verso un'estensione di sé che trattenga e accompagni una misteriosa gioia di vivere.

E poi cosa accade?

Arrivano compatte le scienze esatte. Soprattutto la scienza del buon vivere, la più suadente.

Prende per mano la tua vita e ti dice non chi sei, chi vuoi essere, ti dice:" So ben io cosa ci vuole per te, non ti ribellare, ascoltami, seguimi." E dispone con larghezza di mezzi tante trappole vellutate, tanti morbidi trabocchetti per socializzare gli innocenti verso una condotta sempre più decentrata , estraniata dal prezioso anelito che apre libere emozioni, crescita di identità, passaggi di consapevolezza, sintesi di energia vitale.

Ma la scienza è benigna e scaltra e dice:" Vedi un po’ come vanno le cose! qui c'è una caduta d'interesse! qui c'è malessere! mio Dio questo sta proprio male, occorre un rimedio. Io ho un rimedio!"

Io credo che sia ora di fermarci. Così per un puro atto di intelligenza.

Fermiamoci senza che ci sia un lutto, un cataclisma, una guerra a metterci a nudo di fronte alla nostra stupidità.

C'è una speranza?

Forse si. Io credo nell'artista. Nell'artista che non vende la propria opera ma la dona.

Per quella sapienza che gli fa svelare la fonte di un inesauribile benessere: la comunicazione di sé, il fare comune.

Sappiamo però che la sapienza si è organizzata in scienza, che la creatività è stata deviata in artificio. Si è spezzata ovunque, per la furbizia di chi ne deve trarre un vantaggio, la sintesi che consente ad entrambe di partecipare all'evento salutare che, dall'interno della coscienza, dentro la misura libera e armonica della propria vocazione, costruisce l'oggetto della sapienza creativa:

il dono.

Oltre il dono c'è tutto il resto.

E diventa arduo, per chiunque, inneggiare all'unicità ed alla irripetibilità della vita umana quando è consegnata alla massificazione senza volto senza cuore dei .....rimedi.

E gli innocenti?

Gli innocenti che non sanno di essere innocenti, si ribellano e fuggono.

Fuggono da sé stessi verso rumori sempre più ottundenti per ripararsi dal miele delle nostre lusinghe di "benessere", fuggono dentro sé stessi comprandosi la dose che li fa riappropriare, per qualche ora del benessere che la nostra violenza ha loro sottratto.

Così si chiude il cerchio e noi, onorata società, facciamo finta che siano vivi, invece stanno morendo.

Per questo credo sia un dovere sacrosanto riaprire il gioco dell'arte, della creatività, della comunicazione, della relazione, della conoscenza dell'altro, del fare insieme, della fiducia, dell'esposizione di sé.

La speranza ha visitato i sepolcri e ci chiede di essere solidali verso un significato un po’ più verosimile della nostra esistenza rischiando un'opzione d'amore, piuttosto che una certezza di morte e mortificazione.

Ciao, Alex.

Inviato al Parlamento Europeo il 3 luglio 1996.

 

 

" Che dire allora, degli zingari, popolo mite e nomade, che non rivendica sovranità, territorio, zecca, divise, timbri, bolli e confini, ma semplicemente il diritto di continuare ad essere quel popolo sottilmente "altro" e "trascendente", rispetto a tutti quelli che si contendono territori, bandiere e palazzi?

Un popolo che, un pò come gli ebrei, fa parte della storia e dell'identità europea proprio perchè, a differenza di tutti gli altri, hanno imparato ad essere leggeri, compresenti, capaci di passare sopra tutti i confini, di vivere in mezzo a tutti gli altri, senza perdere se stessi, e di conservare la propria identità anche senza costruirci uno stato intorno! " (Alex Langer)