Un ossimoro rampante: sviluppo sostenibile
Intervista a Serge Latouche

a cura di
Nadia Scardeoni


In un frangente così delicato, quale è il momento storico che noi tutti stiamo vivendo, oppressi dal debito mostruoso che ci vincola a produrre istericamente qualsiasi genere di risanamento o equiparazione , allettati da un quotidiano "trallicchere e ballacchere" a possedere qualsiasi cosa , pena l'estinzione della gioia di vivere , vogliamo provare a mettere un punto a capo su un concetto usato ed abusato : lo sviluppo sostenibile

Abbiamo chiesto a Serge Latouche di fare un breve percorso critico sul termine e avviare così la stesura di un glossario che a poco a poco ci restituisca alla realtà e alla dignità dei significati.

Autore di numerosi saggi che articolano il suo pensiero di economista e filosofo dai titoli incalzanti quali : L'occidentalizzazione del mondo, La megamacchina, L'economia svelata, Il pianeta uniforme, studioso dell' Africa o meglio dell' "Altra Africa", così come ha intitolato il suo libro più recente, Latouche non ha alcuna esitazione :

" "Sviluppo sostenibile" è un impostura, un ossimoro come dire - una luce oscura- dal momento che lo sviluppo , che l'unico sviluppo che noi conosciamo è quello che è sorto nella seconda metà del 700 in Inghilterra , dalla rivoluzione industriale e cioè una guerra economica contro gli uomini e degli uomini contro la natura.

E' impossibile chiedere allo sviluppo di essere "sostenibile", è contro la sua stessa sostanza.

Queste parole d'ordine retoriche invece di aprire la ricerca verso modi di vivere che siano rispettosi dell' ecologia ambientale mirano all'eternizzazione dello sviluppo, alla consacrazione del così detto "sviluppo durevole".

Allora diamoci un'altra parola d'ordine. Cosa sostituiamo allo …sviluppo sostenibile?

Se lo sviluppo sostenibile traduce il primato dell'economia nella vita, decolonizzando l'immaginario, deconomicizzando l'immaginario, non c'è bisogno di un'altra parola d'ordine : la volontà , il desiderio della gente è da sempre quello di stare bene., avere il necessario, vivere in armonia con tutto il resto.

Una modalità che significa semplicemente: civilizzazione.

Ma ciascun popolo, ciascuna cultura ha il suo modo di vivere bene; essere "civili" non ha lo stesso significato per tutti!.

Invece sotto il dominio dell'economia tutte le diversità sono livellate, intrecciate.

I Peuhl, i popoli nomadi del sud del Sahara che parlano il "Poular" hanno una parola per designare questo modo di vivere bene : è il "Bamtaare". Significa stare bene tutti insieme, vivere in armonia ; è l'obiettivo più importante della loro società, è ciò che indica il loro grado di civiltà. E' stata un'impostura tradurre questo ideale di vita - realizzare il bamtaare - con "sviluppo".

Il Bamtaare è il suo contrario.

Quali strategie per decolonizzare l'immaginario?

E' difficile da trasmettere : è una sorta di risveglio, tutto ciò che è necessario c'è già, ma non si vede.

Il dono per esempio.

Il dono crea e rafforza i legami sociali , il commercio invece li rende sterili e impersonali.

Occorre soprattutto svelare l'impostura della pubblicità: la promessa del dono che non c'è."

La rivisitazione del dono così come Serge Latouche la disvela ne :" L'altra Africa. Tra dono e mercato", apre ad una grande fertilità di ricerca e induce a provare nuove forme di comunicazione che rendano "sostenibile" il legame sociale nella sua esigenza primaria.

E' una strada tutta controcorrente. Solo l'esperienza diretta della fertilità del dono può alleggerire la nostra fatica di educatori impegnati nell' unica mediazione possibile fra la nostra vera sapienza e la richiesta drammatica di futuro che le generazioni a noi legate, reclamano.


Per gentile concessione di École

Via Assarotti, 15 - 10122 Torino - tel./fax: 011 54 55 67