CERVELLO - INFORMAZIONE - APPRENDIMENTO:

salute mentale e modelli cognitivi


Convegno Internet e Salute Mentale -
http://www.psichiatria.unige.it/congress/index.htm


Intervento di Paolo Manzelli - LRE- Università di Firenze.

(LRE@chim1.unifi.it)



Ciò che correla strettamente le strutture cerebrali con la i dati sensoriali della informazione ed il suo apprendimento significativo e la plasticità del funzionamento cerebrale.

Già Santiago Ramon J. Cajal nel 1894 scoprendo la struttura sinaptica della comunicazione neuro-chimica postulò che l’apprendimento fosse funzione di alterazioni morfologiche delle terminazioni nervose generate dall’informazione sensoriale ricevuta dall’ambiente.

Ai tempi di S.R. J Cajal però non fu considerato il fatto che la modulazione della eccitabilità neurochimica, che determina una modificazione plastica delle interconnessioni neuronali, può avvenire anche come attività di processi cognitivi endogeni del cervello, ciò poiché la concezione della rappresentazione sensoriale del mondo esterno era concepita come un fatto meccanico attuato da un sistema biologico riproduttivo della realtà esterna.


Oggi sappiamo che la realtà che percepiamo è il frutto di una ricerca cerebrale.


Così ad esempio limitandoci a discutere in questa sede della percezione visiva e delle sue correlazioni con le attività cognitive, ricordiamo che è stato confermato, da vari anni di ricerca, che i movimenti saccadici dei bulbi oculari, non sono casuali, come si era ritenuto in un primo momento, ma che essi sono il frutto di una attiva ricerca cerebrale finalizzata a rilevare una selezione di forti variazioni di intensità luminosa che permettono di definire i profili di una immagine.


La percezione visiva è organizzata nel cervello come una lettura di dati sensoriali conseguenti ad informazioni su intensità e frequenze della luce. Ad esempio, nella lettura di uno scritto, non leggiamo tutte le lettere in sequenza, una dopo l’altra, ma il cervello guida i movimenti oculari cercando il senso per assemblare lettere e frasi.


Possiamo quindi ritenere quindi che il vedere non privo di significanze, sia conseguenza di una elaborazione complessa ed attiva del cervello, che concerne l’evocazione di archetipi genetici fondamentali ed un processo di riconoscimento basato sul richiamo mnemonico di comparabili esperienze visive. Da quanto detto sopra si comprende come un bambino appena nato non veda nulla in quanto la percezione visiva frutto di un processo di apprendimento raffinato da strutture cognitive che e si sviluppano progressivamente in conseguenza a una progressiva ristrutturazione funzionale di associazioni ed integrazioni cerebrali che definiscono la plasticità del sistema nervoso.


Perseguendo tale concezione attiva della percezione cerebrale quale processo di apprendimento, si comprende la necessità che nel cervello vengano a formarsi degli insiemi di neuroni capaci di categorizzare rapidamente i dati sensoriali, dando come risultato della elaborazione cerebrale della corteccia visiva, le immagini che vediamo. Purtroppo per capire meglio tale impostazione concettuale della percezione visiva e delle sue relazioni con lo sviluppo cognitivo dei giovani, dobbiamo decodificare innanzitutto una concettualità corrente e storicamente affermata, che induce a presumere che sia l’occhio stesso lo strumento capace di riprodurre immagini del mondo esterno.

A tutt’oggi infatti possiamo vedere nei libri di fisica il disegno di un "occhio-decerebrato" che osserva l’ambiente esterno.


Per modificare questa concezione antiquata che e’ stata utile per definire un modello di interpretazione classico della scienza, il quale presume una netta separazione tra soggetto vedente ed oggetto veduto, bisogna ricordare che, la spiegazione di Newton della visione oculare dal punto di vista contemporaneo della scienza non è possibile considerarla più valida; in particolare, perché la luce non é composta di "raggi" capaci di disegnare sulla retina alcuna raffigurazione rovesciata del mondo esterno.

La radiazione infatti è più modernamente concepita come un campo elettromagnetico definito da fotoni che hanno un doppio carattere di onda/particella. Sappiamo inoltre che l’occhio reagisce alla radiazione luminosa con una reazione fotochimica oscillante che avviene sulla retina, le cui variazioni vengono interpretate dal cervello.

Il conclusione rispetto al modello Newtoniano dobbiamo ammettere che l’occhio di per se stesso non vede nulla e che quindi la percezione visiva e frutto dell’apprendimento della elaborazione cerebrale della informazione.

Coscienti di questa problematica scientifica e culturale il Laboratorio di Ricerca Educativa della Facoltà di Scienze M.F.N della Università di Firenze, ha sviluppato progetti educativi di divulgazione scientifica. Consideriamo infatti che , la persistenza nella educazione tradizionale della antiquata ed obsoleta concezione interpretativa di Newton della percezione visiva, oggigiorno inserita in un mondo di informazione nel quale la "realtà virtuale" viene ad avere un peso maggiore della "realtà oggettiva", tenda a deprimere ed anche a scoraggiare le abilità di osservazione degli studenti, ed che inoltre possa dare origine a problemi di apprendimento ed anche di salute mentale dei giovani, proprio come conseguenza di una loro inabilità cognitiva di capire la distinzione tra "realtà virtuale ed oggettiva".

Infatti la non considerazione attenta della interdipendenza tra soggetto conoscente ed oggetto percepito nella visione, così come viene prospettata dal modello tradizionale Newtoniano della osservazione della natura, applicata oggigiorno alle relazioni uomo/macchina. (computer, TV. ecc..), conduce ad inibire la creatività naturale dell’uomo alle esigenze della macchina, favorendo un trend di adattamento dell’uomo alla macchina, la cui origine concettuale risiede proprio nella acculturazione ad un modello antiquato di percezione indipendente dai livelli di evoluzione cognitiva dell’uomo, che provoca confusione profonda nel acquisizione cosciente delle differenze tra dimensione reale e virtuale.

E' utile ricordare a questo proposito una frase di Einstein relativa a un tale dibattito sull'importanza dell'aspetto mentale della costruzione della realtà che percepiamo e significhiamo:

"Reality is a feature of theory used to understand the world, rather than a feature of the world itself. One is danger of being misled by the illusion that the "real" of our daily experience, "exists really", and that certain concepts of physics are "mere ideas" separated from the " real " by an unbridgeable gulf."


Uno dei fenomeni comportamentali giovanili e più evidenti che può essere ricondotto alla incapacità di riflettere sulle relazioni tra reale e artefatto virtuale, come conseguenza di un sistema di adattamento ed adeguamento cognitivo dell’uomo alla macchina, si denota nel fatto che i giovani hanno generalmente tempi di attenzione notevolmente ridotti e quindi disponibilità di ascolto fluttuante e superficiale, causata in gran parte da un processo di adeguamento a sistemi meccanici di tipo azione e reazione che corrispondono a comportamenti immediati del tipo stimolo-risposta; quest’ultimi inibiscono l’apprendimento creativo che implica riflessione interiore in quanto si attua in corrispondenza allo sviluppo di abilità di ampia connessione ed integrazione di differenti funzioni cerebrali. Infine, nelle persone psicologicamente più deboli, la asincronia tra modelli cognitivi di percezione e significazione della realtà può certamente generare reali problemi di salute mentale.