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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

AUTONOMIA E’ ANCHE "RIBELLIONE"

 

E da ora in poi prepariamoci a essere più attente/i tutti, nessuno escluso: singoli, associazioni culturali e professionali, sindacati, scuole, dirigenti a vario titolo…

I decreti applicativi sono nell’aria, ma nulla è ancora stato deciso, quindi non addormentiamoci, non disertiamo gli incontri sulla riforma che vengono organizzati in ogni città.

Facciamoci sentire, non restiamo a guardare con occhio distratto ciò che succede nell’ordine di scuola a cui non apparteniamo e non conosciamo: cominciamo per una volta a riflettere che tutto riguarda sia noi docenti sia gli alunni e le alunne che vivono l’esperienza scolastica dai nidi all’università.

Finora ciò che si è percepito è un sostanziale attendismo, un lasciar che il tempo scorresse nella speranza svogliata che qualcosa facesse irruzione nella "calma" governativa e ministeriale e riportasse tutto alla "normalità".

Invece ci ritroviamo come chi è stato immobilizzato a sorpreso da un fulmine. Certo non mancano i movimenti che si sono battuti con determinazione e coraggio affinché si salvasse il salvabile, ma sono stati guardati con aria di sufficienza dagli stessi colleghi abituati a diffidare di tutto ciò che si muove e si discosta da un puro e comprensibile, quanto stimabile, interesse per le discipline, la cultura e la didattica, come se esse potessero non essere influenzate dalla cornice della riforma e dell’organizzazione proposta da chi l’ha architettata.

Da settembre il segmento delle elementari sarà in fibrillazione per l’ennesima volta da quando si esiste, e ancora una volta farà da apripista ai desiderata di chi pensa alla scuola senza minimamente coinvolgerla a pieno titolo nelle decisioni.

La scuola elementare e chi la abita da anni di onorata professione subiranno l’impostazione organizzativa della riforma e l’anticipo delle iscrizioni di bambine e bambini ignari di ciò che i "grandi" hanno deciso.

Però, gli edifici, le strutture, i materiali rimarranno tali e quali a lungo, sopravvivranno a chi vi e ci lavorerà dolendosi di non aver potuto proteggere e arricchire delle proprie competenze l’ambiente educativo.

Da poco sono terminate le assemblee di classe con i genitori, assemblee in cui noi docenti del team (prossimo alla scomparsa?) abbiamo parlato, questa volta con una sensazione triste di fine incombente, con le famiglie, delle innumerevoli sfaccettature che ognuna di noi aveva affrontato in un ambito disciplinare in totale e "studiata", programmata, unità con gli altri: abbiamo pensato, guardandoci allo specchio della nostra vita lavorativa e chiacchierando con i genitori, che quest’altr’anno tutte le nostre competenze e quelle dei bambini potrebbero essere ridimensionate dalla pretesa che qualcuna divenga tutor di qualcun’ altra e ci siamo dette che non sarebbe più possibile offrire e condividere il patrimonio di esperienze culturali fin qui formatosi.

Tuttavia non abbiamo voluto intristirci nella riflessione malinconica di una rinuncia alla sfida che, secondo noi, invece dovrebbe vedere le scuole autonome nuovamente lottare per tenere stretto ciò in cui si crede.

Abbiamo detto a noi stesse che tenteremo il tutto per tutto per lavorare alla pari, mescolando le carte delle materie e delle discipline, i quadri orario e le suddivisioni tra gli ambiti. Non ci piacciono i modelli orario che stanno circolando via internet e su alcuni documenti cartacei. Faremo ciò che potremo per difendere la professionalità conquistata in anni di aggiornamenti continui e volti a convincerci del valore dell’attività di squadra.

Intanto, dovremo cercare di prepararci a pensare un futuro degno di questo nome in cui non siano soltanto gli esperti a dirigerci, a dirci tutto e il contrario di tutto.

Dovremo cercare di documentare il valore della nostra pratica quotidiana e valorizzarne anche pubblicando, diffondendo, elaborando ciò che di bello la scuola fa, una scuola che vede ogni giorno le nostre teste e quelle delle bambine e dei bambini, insieme, misurarsi con il piacere di leggere, il piacere di scrivere, il piacere di far matematica, di affrontare arte musicale, motoria, iconica, di narrare e argomentare in storia geografia studi sociali e via dicendo…

Dovremo abituarci a opporci se ci dovessero togliere la possibilità di far fiorire nelle bambine e nei bambini la voglia di misurarsi in modo cooperativo con la ricerca, la poesia, la prosa, la grammatica, la geometria, le scienze nel nostro laboratorio più bello che ci sia: la classe compatta e stretta da un patto di rispetto e solidarietà, nessuno escluso. La "personalizzazione" degli interventi educativi è stata sempre nostra cura, altissima cura, ma nella consapevolezza assoluta che non fosse una resa all’individualismo e all’isolamento di nessuna/o. Il bambino, la bambina sono stati i nostri punti di riferimento e continueranno a esserlo fino a che ci sarà concesso: non è una qualsiasi riforma che ce lo insegna o che ce lo impone!

Se ogni prodotto della crescita e dell’espressione individuale e collettiva fosse reso pubblico, senza soccombere alla burocratizzazione delle procedure per farlo, si vedrebbe che le alunne e gli alunni delle elementari con le loro insegnanti in team hanno potuto affrontare la realtà nel suo complesso e con strategie molteplici, producendo riflessioni "concrete" e astratte degne di piccole persone mature che prendono sul serio ciò che fanno, degne di nota e considerazione che purtroppo spesso non hanno per mancanza di visibilità all’esterno.

Noi maestre conserviamo, negli anni, le immagini, i testi, le registrazioni di ciò che le/gli alunne/i elaborano e restiamo stupite dalla ricchezza interiore che siamo riuscite a portare a livello di coscienza collaborando con le colleghe; siamo stupite proprio noi che vediamo crescere ogni giorno le/i cittadine/i futuri, siamo stupite proprio soprattutto dopo che siamo state in relazione con esse/i, perché dentro la relazione non ne avevamo il tempo a causa o grazie a un modello d’insegnamento, quello elementare, che è stato sempre molto autocritico e meditato: forse nemmeno noi, che lo vivevamo dall’interno, ci siamo mai godute fino in fondo ciò che avveniva sotto i nostri occhi. Tuttavia è ora di non tenerci tutto dentro, di focalizzare anche l’altrui alta e dotta attenzione su ciò che riteniamo di sommo valore. Bisogna trovare in noi anche la forza (gli impegni sono tanti) di essere protagoniste della nostra professione insieme con le colleghe e di venire allo scoperto per mostrare il valore delle scoperte linguistiche, scientifiche, matematiche…che le bambine e i bambini fanno sotto la nostra guida esperta e riflessiva e che poi rischiano di perdere nel corso degli anni che seguono le elementari per cause indipendenti dalla sola volontà delle alunne e degli alunni e che vanno molto al di là della nostra possibilità di insegnanti di favorire la costruzione di una base per la vita di ognuno. Rischiano di andare perdute anche per la frammentazione in mille rivoli del sapere che la scuola dei "grandi" propone, a volte vanificando i nostri sforzi tesi a far lavorare le/i bambine/i intorno a una costruzione autonoma e ragionata in proprio del sapere, in tempi lunghi e privi della pretesa che alle scoperte si arrivi sotto l’incubo di valutazioni continue e castranti.

Quando osserviamo gli errori, anche apparentemente assurdi delle bambine e dei bambini, noi soffriamo intimamente temendo per loro e per il loro futuro, ma da quelli, alle elementari, siamo abituate a partire per decidere insieme come affrontarli: ci sono fra noi continue riflessioni di team sul perché e il percome un alunno non stia dando i risultati che speravamo, ci sono incontri-scontri-superamento degli stessi con le famiglie senza guardare l’orologio, senza contare i minuti, come probabilmente farebbe un altro professionista qualsiasi del campo della relazione e questo agire ha prodotto un bene inestimabile: quello della fiducia reciproca, nella maggior parte dei casi, e della collaborazione nella consapevolezza che nessuna famiglia, nessun bambino, nessun docente è in grado da sola/o di trovare soluzioni e creative possibilità di superamento delle difficoltà.

Autonomia è anche ribellione: questo insegniamo ai bambini e alle bambine senza che se ne accorgano, questo è quello che sappiamo noi adulti, tutte/i, a livello consapevole. E’ autoriconoscimento, e su questa parola dobbiamo ragionare per far sì che, democraticamente, la libertà di insegnamento, nel senso costituzionale dei termini, possa diventare ricchezza per ognuna/o, senza abbandonare le convinzioni che ci hanno sostenuto in questi anni di esperienze volte all’ educazione di noi stesse/i in direzione del superamento dell’individualità con la consapevolezza della grandezza di ogni differenza ideale e culturale.

Le maestre e i maestri hanno insegnato a far quadrato intorno al disagio, alle differenze di censo e categoria sociale di appartenenza: i grandi nomi del passato e del presente, maestre e maestri dell’infanzia, elementari e medie, ci chiamano a non abbandonare il campo alle facili semplificazioni di programmi e organizzazioni, per un ritorno a una visione della complessità del lavoro di educatori e allenatori di pensiero divergente e controcorrente, a unire l’inunificabile, ad affermare l’importanza della nostra professione "vicina all’inizio" come dice Cristina M., una maestra dell’Autoriforma gentile, che io stimo e ammiro.

Le legislature passano, i funzionari di stato anche, ma noi no e nemmeno la nostra volontà di essere propositivi al di là dei programmi che ci vengono indicati e delle imposizioni di organizzazione.

Non si può pensare di essere tutor di colleghi e colleghe che ci hanno dimostrato il valore, misconosciuto da grandi professori ed esperti, della loro azione educativa e del loro impegno ad aggiornarsi e formarsi dimenticando se stesse/i, la famiglia, gli impegni quotidiani, per assumere sopra di sé e dentro di sé la responsabilità dell’insegnamento iniziale a schiere di piccole persone.

Ora comincia e sarà diffusa una propaganda che tenterà di ridurre in polvere anni di lavoro, di studi che molte/i di noi hanno fatto per crescere e ci verrà detto, lo si avverte già, che non abbiamo prodotto validi risultati, ma non dobbiamo crederci passivamente.

Dobbiamo riuscire a resistere pensando, che senza la fatica della rielaborazione personale degli eventi, nulla ci verrà concesso, così come abbiamo insegnato a resistere alle/ai bambine/i impegnati nella sfida del raggiungimento dei livelli di apprendimento consoni per ognuna/o. Anche noi dovremo sforzarci per non accettare le decisioni altrui, consci del fatto che siamo sconosciuti, così come è quasi sconosciuto ciò che negli anni abbiamo conquistato insieme con le classi.

Dovremmo ribaltare la consuetudine che vuole i professori universitari, chiamati a elaborare i documenti per le riforme che ci riguardano, ai posti decisionali e chiedere il posto che ci spetta come cittadine/i che, anche senza accorgercene per un non so che di profondamente radicato in noi stesse/i, per questo essere consapevoli di essere "vicino all’inizio", della scuola hanno fatto spesso la ragione di vita.

13 aprile 2003

Claudia Fanti


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