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BERTAGNA & dintorni:
oltre 500 docenti si confrontano a CESENA sul "curricolo"

a cura di Loretta Lega
Presidente del CIDI di Forlì

 

Si è svolta il 25-26-27 gennaio 2002 a Cesena un’intensa "tre giorni" dedicata alla "ricerca sul curricolo ed al ruolo degli insegnanti", un’iniziativa promossa dalle associazioni professionali (CIDI-AIMC-UCIIM dell’Emilia-Romagna) che ha coinvolto oltre cinquecento partecipanti. Il segnale è stato forte: la scuola, gli insegnanti, chiedono di "non tornare indietro", ma di proseguire la ricerca e l’impegno sul curricolo, perché questo è ormai lo scenario delineato dall’autonomia, che è prioritariamente autonomia di progettazione, di sviluppo e di (auto)valutazione del curricolo.

Non è possibile dar conto delle numerose relazioni nelle sedute plenarie (oltre una decina), degli interventi nei sei forum di discussione attivati (30 esperti "invitati" hanno dialogato con il pubblico sui nodi di fondo della questione), sui 12 laboratori gestiti "da colleghi" per i colleghi (un esempio di professionalizzazione orizzontale), sulle tavole rotonde finali che hanno messo a dura prova un navigato interlocutore come era il prof. Giuseppe Bertagna, coordinatore del gruppo di lavoro che ha elaborato i documenti preparatori della "riforma" Moratti.

Sceglieremo solo alcuni passaggi tra i tanti, rimandando i lettori al sito che un gruppo di scuole della provincia di Forlì-Cesena ha autonomamente organizzato e che ospita un’ampia documentazione del convegno (www.delfo.forli-cesena.it/scuoleinrete).

Ricordiamo allora la relazione di apertura affidata al Prof. Lucio Guasti, presidente dell’INDIRE (l’ex-BDP) che ha ricostruito il profilo storico ed epistemologico del concetto di curricolo, nei suoi risvolti prioritariamnente culturali ed antropologici (piuttosto che meccanicamente procedurali), richiamando l’esigenza di rispondere a quella domanda di "senso della conoscenza" (per gli allievi e per i docenti) senza la quale i "saperi" resterebbero nudi artefatti cognitivi. Coerente con tale impostazione è stato l’alto-là alle possibili "intrusioni" di un sistema nazionale di valutazione che pretendesse di azzerare i processi di autovalutazione (dei soggetti e delle istituzioni) indispensabili per rendere possibile lo sviluppo consapevole di competenze. In termini problematici ha posto il problema della "competenza della scuola nella ricerca sul curricolo", del rapporto tra innovazione curricolare e ripartizione degli ordinamenti, delle fonti –molteplici- che orientano le scelte curricolari. "Il confronto internazionale sul curricolo è appena iniziato. La ricerca si è mossa da tempo sul versante degli aspetti istituzionali della scuola e dei modelli strutturali ed ordinamentali del curricolo. Ha iniziato da poco ad affrontare il contenuto del curricolo e i suoi caratteri costitutivi. La cultura anglosassone ha da tempo sviluppato la riflessione sul curricolo, con un particolare esito centrato sul rapporto tra apprendimento e standards; la storia europea, invece, si è prevalentemente mossa intorno al rapporto tra contenuti e programmi di insegnamento".

Non si tratta di un dibattito astrattoha rilanciato Carlo Fiorentini, della segreteria nazionale del Cidi – perché "la scuola del curricolo è il cuore dell'iniziativa democratica nella scuola. A differenza della scuola del programma, da una parte, e di concezioni di segno opposto, ugualmente riduttive, di ispirazione sociologica, pedagogica, psicologica, ecc. dall'altra, la scuola del curricolo si basa sulla doppia centralità (il doppio vincolo) della cultura (delle discipline) e dello studente. Non dipende dalla stagioni politiche, ma si connette ai grandi pensatori della psicopedagogia (Dewey, Piaget, Vygotiskij, Bruner, ecc.), allo sviluppo che si è realizzato negli ultimi trenta anni nelle espistemologie e didattiche disciplinari, ai contributi teorico-operativi della ricerca e della sperimentazione effettuate dalla scuola militante.

David Meghnagi ha poi tratteggiato con ampi riferimenti il rapporto complesso ma necessario tra dinamiche affettive e cognitive nell’apprendimento, ove centrale appare il concetto di motivazione. Un richiamo alle esigenze della scuola e dei docenti è venuto dai rappresentanti delle associazioni, a cui ha cercato di rispondere il Direttore Generale dell’Emilia-Romagna, Emanuele Barbieri, richiamando le strategie cui si ispira il nuovo "stile" dell’amministrazione scolastica, d’intesa con il sistema delle autonomie locali, nel rispetto e nel sostegno convinto all’autonomia progettuale delle scuole e per la valorizzazione della professionalità dei docenti.

 

Nella seconda giornata il convegno si è articolato in 6 diversi forum di discussione, dedicati al rapporto tra le diverse discipline, agli aspetti affettivi dell’apprendimento, ai metodi di programmazione, al federalismo scolastico, oltre che ad un esame più approfondito dei contenuti del documento "Bertagna" (introdotto da un intervento di Giancarlo Cerini), e sui temi della professionalità.

Il filo conduttore è stato però il curricolo. Come ha ricordato Rossella D’Alfonso, presidente dell’Associazione Progetto Scuola di Bologna,"tutta la ricerca sul curricolo ci insegna ch’esso è, alla lettera, la gara e la pista di corsa di ogni studente, è il suo percorso: esso deve pertanto sapere coniugare la centralità dei saperi con la centralità della persona in formazione, e fare incontrare le discipline sul piano dello sviluppo delle competenze - le medesime, su oggetti diversi -, sul piano della traduzione fra i linguaggi loro specifici, sul piano dei nodi culturali attorno a cui si strutturano e si trasformano e, infine, sul piano del comune fondamento sistematico e storico.

In questa prospettiva, perciò, le discipline (nonché gli ambiti disciplinari nella scuola di base) non solo devono essere ripensate come campi di significato che forniscono un orizzonte intersoggettivo, ma devono acquistare anche un significato personale per chi impara e sapersi tradurre in operatività.

Un primo banco di prova delle discussioni dei forum si è avuta nei dodici laboratori didattici "gestiti" da insegnanti. Riprendiamo solo le considerazioni dell’insegnante Claudia Fanti che, nel tratteggiare le caratteristiche dei contesti operativi di una classe, ha utilizzato la metafora del teatro:

"E’ forse il teatro quello che assomiglia di più all’apprendimento "in società": si hanno le parti individuali, ma se non c’è rispondenza tra i protagonisti, se non si aspettano i turni, se non si collabora, se non ci si incoraggia a vicenda, se non si rispettano i ruoli e non si dà senso a ciò che si fa…la rappresentazione non solo non piacerà al pubblico, ma non darà soddisfazione agli attori! Allora bisognerà ricominciare da zero per ricostruire l’interpretazione e ci vorrà più tempo per ottenere un risultato degno della compagnia!

Il timore di perdere tempo per le/i docenti è forte inizialmente, ma, poi, una volta resisi conto che ogni apprendimento, costruito in compagnia e "simpatia", viene consolidato per sempre, allora si prende fiducia e si va avanti con entusiasmo.

Come a teatro, le regole e i tempi vanno rispettati, gli attori non possono cedere la propria parte, il risultato finale va condiviso, così come la responsabilità del successo o dell’insuccesso che è sempre in agguato, ma non sarà poi drammatico se si ha la consapevolezza che si può ricominciare assieme rivedendo le interpretazioni poco efficaci!"

Giuseppe Toschi, dirigente scolastico, ha ribadito lo stretto legame tra dimensioni cognitive ed affettive del curricolo, una integrazione indispensabile per rendere efficace l’insegnamento e produttivo l’apprendimento:

"ma com’è un insegnamento efficace ? l’insegnante efficace è autorevole (non autoritario), organizzato (non improvvisatore), gentile (non presuntuoso). Numerose ricerche hanno esaminato le qualità del "buon insegnante" così come vengono percepite dagli studenti, che sembrano preferire insegnanti: cordiali, caldi, amichevoli, sostenitori e comunicativi ma nello stesso tempo ordinati, altamente motivanti e capaci di controllare e gestire il comportamento della classe. Vari autori hanno svolto ricerche sull’insegnamento efficace che deve risultare per essere tale: chiaro, coerente, graduale, rispettoso, incoraggiante.

E l’apprendimento cooperativo ? cioè l’organizzazione della classe per organizzare l’insegnamento e l’apprendimento ? La classe va sempre strutturata adeguatamente per far comprendere agli alunni il senso e il significato di alcuni valori: l’interdipendenza, la responsabilità individuale e di gruppo, l’aiuto reciproco. Per l’insegnante è importante saper riconoscere il tipo di gruppo che sta attivando o ha attivato ed il tipo di lezione che sta utilizzando per capire e poter monitorare l’efficacia del suo intervento dal punto di vista dell’apprendimento di tutti ( o solo di alcuni ) allievi.

Il convegno ha poi avuto un suo momento forte nella giornata conclusiva, aperta da una serie di "pizzicotti" (benevoli) che il prof. Franco Frabboni, preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, ha rivolto al "collega" Giuseppe Bertagna, il cui intervento era –inutile nasconderselo- molto attesto. Frabboni ha tratteggiato, con dovizia di metafore, le coordinate culturali e pedagogiche del concetto di curricolo (non esauribile nell’enfasi di oggi sui "piani di studio"), come fonte e legittimazione della progettualità della scuola e degli insegnanti, ravvisando non poche ambiguità e reticenze nel documento della Commissione Bertagna.

Assai ampio e articolato, anche se è apparso condizionato da una preoccupazione "difensiva", l’intervento del prof. Giuseppe Bertagna. Il coordinatore della Commissione, esplicitando anche il mandato ed i vincoli ricevuti dal Ministro Letizia Moratti, ha via via sviluppato argomentazioni in merito al cosidetto "doppio canale", alle nuove prospettive "federaliste" aperte dalla Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, al superamento della "scuola di base", al curricolo orario "sobrio", alla figura del docente tutor (non solo nella scuola elementare).

Di fronte a chi critica l’abbandono della prospettiva dell’obbligo scolastico, in favore del concetto di obbligo formativo ha precisato:

"Non è più possibile, quando è in gioco il godimento e l’esercizio di diritti sociali e civili fondamentali come l’educazione attraverso istruzione e formazione fino a 18 anni, immaginare che l’obbligo scolastico sarebbe qualcosa di nobile e di centrale, magari perché statale, mentre quello formativo sarebbe più plebeo e residuale, magari perché regionale. Tradotto ulteriormente: non è più possibile, dopo il secondo comma lett. m) del nuovo art. 117 della Costituzione, concepire l’istruzione come educativa e la formazione professionale come addestrativa, la prima al servizio della persona, la seconda del mercato e dell’azienda: ambedue devono essere strade equivalenti sul piano culturale per l’educazione di ciascuno. La centralità è della persona e delle sue esigenze di crescita in una società della conoscenza democratica come la nostra; in ogni caso. Che cosa abbiamo fatto, allora, noi?

Bisognava, quindi, rendere la formazione professionale di serie A, come l’istruzione, se mai davvero l’istruzione che abbiamo è di serie A; rinvigorirla, riqualificarla sul piano epistemologico, culturale, educativo, sociale. Per questo abbiamo molto ribadito, nel Rapporto completo pubblicato dagli Annali dell’Istruzione di dicembre e in quello di sintesi, che theoria e téchne, istruzione e formazione, vanno viste in maniera interconnessa e, per alcune dimensioni, perfino integrata. Sempre. Non a partire da una certa età, come accade oggi. E che la vera sfida per il nostro Paese è superare la purtroppo esistente gerarchizzazione tra scuola e formazione professionale, tra licei e istituti, tra servizi educativi dello Stato e delle Regioni. Per questo siamo stati attenti a non proporre gerarchizzazioni nemmeno architettoniche tra istruzione (licei) e formazione (istituti): abbiamo cercato di vedere ambedue nel loro sviluppo dai 14 ai 21 anni, cioè considerate nella successione istruzione/formazione secondarie e istruzione/formazione superiori…"

Anche l’abbandono del concetto di scuola di base sarebbe stato dettato non da "rivincite" politiche, ma da una considerazione prettamente pedagogica:

"ovvero che dai 6 ai 14 anni deve esistere un forte salto anche qualitativo, del tutto visibile e anche organizzativamente, istituzionalmente e socialmente sanzionabile, nel modo con cui l’allievo si accosta a sé, al mondo e agli altri", anche perché –secondo Bertagna – "in tutta Europa, salvo che nei Paesi dove si comincia a 7 anni, esiste una scuola secondaria di I grado o inferiore, intermedia tra primaria e secondaria di II grado o superiore. Perché eliminarla da noi quando già l’abbiamo e per di più con le sensibilità pedagogiche definite fin dal 1962?"

Smentito anche il rischio di una precoce canalizzazione dei percorsi formativi, a 14 anni, con esiti socialmente diseguali. Tutto si fa per "valorizzare" il canale della formazione professionale, in termini innovativi:

"Ci siamo allora avventurati nella proposta di un istituto formativo che non è mai esistito nel nostro Paese e che, di conseguenza, non può vantare nessuna tradizione: l’alternanza scuola-lavoro. Questo istituto formativo non ha nulla a che fare con i contratti di lavoro a causa mista come l’apprendistato, ma esiste dappertutto nei Paesi industrializzati. Solo noi non l’abbiamo. Non è il caso di introdurlo? Il percorso in alternanza per acquisire i diplomi dell’istruzione e della formazione sarà, per forza di cose, più lungo di almeno un anno rispetto a quello normale, a tempo pieno. Nella nostra ipotesi, in ragione del fatto che prevede stage e tirocini aziendali prolungati.."

Con molta attenzione (e qualche moromorio di disapprovazione) sono stati seguiti i passaggi sulle nuove ipotesi di orario scolastico.

"Oggi, in media, le ore annuali di lezione disponibili per gli studenti italiani sono 980. Nella nostra ipotesi, passano a 1125. Di queste, 825 sono obbligatorie per tutti gli allievi (vuol dire anche un allievo può scegliere, soprattutto nella secondaria, nell’insieme delle 1125, le 825 che non può non dimostrare di aver seguito), mentre 300 sono facoltative. Bisogna, però, spiegare bene in che senso. Lo Stato detterà il profilo educativo, culturale e professionale che tutti gli allievi italiani devono obbligatoriamente realizzare entro la fine del corso di studi prescelto. Questo profilo si articolerà in conoscenze ed abilità da apprendere altrettanto obbligatoriamente entro ogni biennio di studio per le dimensioni linguistico-letterarie, matematico-scientifiche e socio-storico-filosofiche ed entro ogni quadriennio di studio per le altre dimensioni della personalità di natura espressiva, tecnologico-operativa, motoria, artistico-musicale. Chi riuscirà a trasformare le conoscenze e le abilità richieste in tutti questi campi in competenze personali, usufruendo soltanto dell’orario obbligatorio (perché, magari, si trova meglio con lo studio domestico o per altre sue ragioni), potrà fermarsi qui, ma chi avrà bisogno di più tempo per raggiungere questo risultato ha a sua disposizione altre ore annuali di attività didattica, fino ad un massimo di 300. È ovvio che ciò presuppone una scuola capace di organizzare unitariamente l’attività didattica sia attraverso il lavoro di classe sia attraverso la mobile combinazione di gruppi di livello, di compito oppure elettivi (di istituto e/o di rete) interni ed esterni alla classe".

Spesso il prof. Bertagna ha messo in evidenza come le proposte della commissione siano state –a suo dire- palesemente fraintese. Ad esempio, sulla "querelle" della durata della scuola secondaria (se di 5 o di 4 anni), non è corretto "considerare i 4 anni dell’istruzione e della formazione secondaria di II grado da soli. Vanno visti, invece, nel sistema: prima, perché si innalza il livello qualitativo di tutte le scuole precedenti, ma soprattutto dopo, con la laurea, ormai di massa e i moduli fino a tre anni di formazione superiore, altrettanto di massa. Insomma, dai 14 ai 21 anni il ciclo di studi è da considerare in maniera unitaria, oltre che per tutti. Altro che diminuzione del tempo scuola! E per non dequalificare la laurea o la formazione superiore, pochi hanno notato che abbiamo proposto, per chi ne ha bisogno e non ha una preparazione adeguata, accertata dall’università o dalla formazione superiore, anche fino ad un anno di riallineamento obbligatorio. Come a dire: i bravi, gli eccellenti possono andare anche prima in università o alla formazione superiore; chi ne ha bisogno ha, però, ha disposizione il tempo necessario per recuperare le lacune che gli impediscono di iscriversi ai corsi superiori che vuole."

Anche il rischio del ripristino del maestro unico nella scuola elementare, una prospettiva che ha riscaldato una platea dove molti erano i maestri, è stato "bypassato" con la prospettiva di forme di tutoraggio:

"Noi abbiamo previsto che, nella scuola dell’autonomia, paradossalmente spesso spersonalizzata e nella quale prevalgono funzioni piuttosto che relazioni personalizzate, debba essere il coordinatore di classe, chiamato a svolgere per i singoli allievi anche funzioni di tutorato. È lui, con il suo nome e cognome, con la sua responsabilità diretta, che cura la raccolta e la compilazione del portfolio delle competenze di ciascun allievo; è lui che convoca le riunioni dei docenti o che si mette in relazione con i docenti che hanno rapporti in classe o nei Laboratori con i singoli allievi per raccogliere a loro riguardo le informazioni ed i giudizi necessari per decidere il da farsi valutativo; è lui che convoca riunioni parziali o globali del gruppo docente per vagliare progetti, ipotesi di lavoro individualizzati e/o di gruppo, decisioni sanzionatorie; è lui che, con il coordinamento del direttore della progettazione didattica di istituto (altra figura che proponiamo di istituire, per collaborare con il dirigente scolastico), mantiene i contatti con i genitori e che coopera con la famiglia e con i singoli allievi per progettare e stabilire le scansioni del percorso formativo biennale o quadriennale, in rapporto agli obiettivi specifici di apprendimento da raggiungere; è lui, insomma, che diventa un punto di riferimento concreto e vitale per il singolo allievo e la famiglia (il tutore) e che dovrebbe mantenere, per quanto possibile, la continuità di questo tutorato per l’intera scuola primaria o scuola secondaria di I grado o scuola secondaria di II grado…".

Il meeting è stato concluso da un confronto tra i presidenti nazionali delle associazioni degli insegnanti: sono intervenuti il "decano" Luciano Corradini, presidente dell’UCIIM, Mariangela Prioreschi, fresca presidente nazionale dell’AIMC, e Domenico Chiesa, presidente nazionale del CIDI. Quest’ultimo ha riassunto i motivi che portano le associazioni e gli insegnanti ad impegnarsi nell’attuale momento di ridiscussione delle riforme della scuola:

"Vogliamo continuare il lavoro di sempre con le modalità di sempre: tenere insieme un progetto di scuola adeguato alle sfide della contemporaneità, che abbia un disegno culturale alto e di grande respiro, che non escluda nessuno, che guardi a una società più equa, più produttiva, più sostenibile, senza mai perdere di vista i tanti e a volte impensabili problemi del quotidiano fare scuola.

Infatti dalle azioni del governo sembra emergere la volontà di contrapporre ad una scuola che, non senza difficoltà, sta cercando la strada per essere veramente una scuola del "diritto di tutti alla cultura", una scuola con percorsi e luoghi di formazione divisi e differenziati… una scuola, insomma, dell’"eccellenza" per alcuni e della "solidarietà" per gli altri. Sullo sfondo l’illusione che il mercato possa porsi come regolatore dell’ efficienza del sistema.

Noi siamo certi che la scuola sia più avanti di quella che viene delineata nei documenti della commissione Bertagna e nel disegno di legge del Ministro.

Abbiamo chiesto all’ispettore Giancarlo Cerini, tra i promotori del convegno, alcuni commenti circa il significato dell’incontro di Cesena ed i motivi del suo indubbio "successo" di pubblico e di critica.

"Il convegno è coinciso con un momento assai delicato per la scuola italiana, perché proprio in questi giorni viene presentata dal Ministro Moratti una nuova proposta di riforma diversa da quella sostenuta dai precedenti ministri Berlinguer-De Mauro.

"Il progetto Bertagna-Moratti è assai articolato e ampio perché prende avvio dalla scuola dell’infanzia (non obbligatoria, ma che si vorrebbe anticipare) per giungere dopo le elementari e le medie (distinte, ma raccordate in un curricolo di base che si snoda per bienni) ad una istruzione secondaria che, a 14 anni, prevede tre strade molto diverse: i licei, l’istruzione professionale, l’alternanza scuola-lavoro. E’ questa scelta precoce ad attirare le maggiori critiche. Inoltre, fa assai discutere la proposta di ridurre l’orario obbligatorio a sole 25 ore settimanali, creando un’area facoltativa di 10 ore per laboratori e attività espressive. Novità in vista ci sono anche per la valutazione degli allievi (solo ogni due anni) e per la formazione e la carriera dei docenti".

Il convegno ha rappresentato un’occasione importante –segnala Cerini- per conoscere e approfondire le motivazioni culturali e gli aspetti di contenuto del nuovo progetto. Gli insegnanti non vogliono tutele e desiderano capire in prima persona le innovazioni. Le riforme della scuola, come dimostra l’esperienza europea, hanno bisogno innanzitutto della partecipazione, dell’impegno e del consenso degli operatori scolastici: uno scoglio che neppure Berlinguer era riuscito a superare. L’impressione è, ancora una volta, che si vada troppo in fretta".

Visto il momento attuale, il convegno ha assunto un significato politico ? C’è stata contestazione del prof. Bertagna da parte di gruppi di studenti e insegnanti ?

"Tutto si è svolto con molta ospitalità (eravamo in Romagna, no!); abbiamo praticato l’arte della cortesia del dialogo (il "punto e a capo" che azzera ogni storia ed ogni rapporto l’abbiamo lasciato tutto ai promotori degli Stati generali). Per questo dobbiamo ringraziare il prof. Bertagna per la sua presenza, così pure dobbiamo prendere atto dell’attenzione e della partecipazione di tutti. Un convegno di insegnanti non è un’arena politica, né un presidio "militante", ma una sede di confronto scientifico e professionale. Al centro del seminario di studi ci sono stati i problemi culturali e didattici, le condizioni per migliorare l’insegnamento, le innovazioni nei metodi e nella professionalità dei docenti. Inoltre, il programma della manifestazione è stato apprezzato per il taglio pluralistico, con la presenza di voci di diverso orientamento culturale e ideale, di esperti nelle discipline e di pedagogisti favorevoli o contrari alle ultime proposte della Moratti.

Il messaggio su cui gli insegnanti e le loro associazioni concordano è che la "scuola è più avanti" di quella che viene rappresentata dai mass-media e dalle proposte politiche di questi giorni e quindi reclamano una riforma che riconosca questo lavoro "sommerso" e lo valorizzi."

Si delinea un’immagine di scuola simile ad un organismo che pulsa, che chiede e dà emozioni, che realizza già un’alternativa possibile: e lo può fare grazie all’autonomia, antidoto contro qualunque tentazione di regime. Di questo Cerini è ampiamente convinto.

"Le 10.000 scuole autonome sono ormai garantite dalla Costituzione e, con la loro libertà e la loro capacità progettuale, sono 10.000 punti di luce accesa per le nostre comunità".


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