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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Rapporto Bertagna due
Ovvero: scommettiamo che ….?

di Grazia Perrone

 

La Commissione Bertagna rilancia. Anzi raddoppia!

Al primo documento interamente redatto dal Presidente (il prof. Bertagna, appunto) il Gruppo Ristretto di Lavoro ne aggiunge un altro. Di sintesi … dicono. Se il primo documento era impostato sul "relativismo positivo" del suo estensore il secondo – più modestamente – sembra animato da minori pretese e maggiore umiltà. Anche se non manca un "sano" e "politicamente corretto" spirito …. imprenditoriale.

Scommessa, infatti, è il termine più enfatizzato – in quest’ultimo documento - per esplicitare la "ratio" del progetto riformatore proposto. Nel paragrafo intitolato "Educazione, istruzione e formazione" si legge: (…)"il sistema della formazione deve essere ripensato e riorganizzato superando quella che oggi è impropriamente definita formazione di primo livello e dando vita a una formazione che "scommetta" sulle competenze più rare e meno presenti sul mercato, meno esposte alla concorrenza internazionale, in modo da mantenere costante, e possibilmente aumentare, il differenziale positivo di professionalità della forza lavoro del sistema paese rispetto a quella dei paesi caratterizzati da un’elevata disponibilità di manodopera (…)" (cfr. Documento di sintesi Commissione Bertagna pag. 5).

Spirito imprenditoriale, "scommettere" sul nuovo mercato, "puntare tutto" sulle nuove tecnologie, sulle "competenze più rare", sulla "glocalizzazione" e sulla diversificazione del "mercato culturale".

Siamo alla teorizzazione di una sorta di "parcellizzazione culturale" del corpo docente (o di parte di esso) e – di conseguenza – alla sua subordinazione, in prospettiva, ai "capricci" e alle "leggi" del … mercato globale. Una simile impostazione metodologica spinta alle estreme conseguenze da una legislazione regionale "concorrente " (a quella dello Stato) mina alla base il principio costituzionale della libertà di insegnamento che – per sua, intrinseca, natura – è soggettiva e non può essere connessa a variabili oggettive come – ad esempio – l’esigenza di formare (in un determinato territorio) un certo numero di soggetti con caratteristiche socio/culturali e professionali ben definite così come richiesto dal … mercato del lavoro globale.

Tutto questo è in perfetta sintonia con le esigenze della "nuova classe globale" (la definizione è di Ralf Dahrendorf) che - pur rappresentando non più dell’uno del cento della popolazione mondiale - è quella che (…)"fissa i trend, indica la direzione, esercita l’egemonia culturale (…)" (cfr. R. Dahrendorf – Dopo la democrazia – Laterza Editori, 2001, Bari, pag. 19).

Sembra essere questo lo spirito – la "cornice" ideologica potrei definirla - del progetto di riforma scolastica proposto dalla Commissione Bertagna. In questo contesto – pur registrando positivamente alcune, timide, aperture formulate in chiusura degli Stati Generali dal Ministro Moratti - permangono immutate le riserve, le critiche e le perplessità inizialmente formulate … e, di seguito, riportate. (gp)

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(…)"Nell’orario di cui al comma 1 (orario di insegnamento per i docenti di scuola elementare - nota di gp) è compresa l’assistenza educativa svolta nel tempo dedicata alla mensa". (cfr art. 131, comma 7 Testo Unico n. 297/94)

Può sembrare un paradosso ma la prima conseguenza del "rapporto Bertagna" (qualora fosse tramutato in testo legislativo) sarebbe:

a) La scomparsa del tempo pieno nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie e – conseguentemente – una riduzione dell’organico ed un impoverimento dell’offerta formativa in una fascia d’età fondamentale per lo sviluppo socio/culturale del fanciullo, il ritorno (nel primo biennio delle scuole elementari) all’insegnante unico o "prevalente" come – in linguaggio burocratico – viene definito;

b) la scomparsa delle mense scolastiche;

c) l’obsolescenza e la decadenza giuridica del comma 7 dell’art. 131 del Testo Unico (citato in premessa) che ha imposto l’assistenza educativa alla mensa come elemento connaturato con gli obblighi della docenza.

Ma procediamo con ordine.

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Pur senza commentare le dichiarazioni del presidente della Conferenza delle Regioni (Enzo Ghigo) che lamenta (a ragione… visto il disposto normativo di cui all’art. 3, punto n del nuovo articolo 117 della Costituzione Repubblicana introdotto con legge costituzionale il 18 ottobre 2001) il (…)"tardivo coinvolgimento delle Regioni nella progettazione e nell’organizzazione degli Stati Generali" o la presa di distanza dal primo documento Bertagna degli altri cinque componenti il gruppo ristretto è possibile formulare una prima critica.

Di metodo.

Il Ministro – Letizia Moratti – nell’affidare il mandato al gruppo "ristretto" (e culturalmente omogeneo) presieduto dal prof. Bertagna ha posto dei precisi paletti metodologici limitando – di fatto – il lavoro e le prerogative (intellettuali!!) della Commissione. Si può dire che – in un certo senso – la Moratti abbia "ipotecato" il prodotto finale con grave pregiudizio di quella prerogativa democratica che è la libertà di pensiero. Che può – a parer mio - svilupparsi compiutamente solo in presenza di una pluralità di opzioni metodologiche e/o scientifiche. Sembra quasi che la Moratti abbia – per così dire – "capitalizzato" il vissuto esperienziale del suo predecessore in V.le Trastevere al fine di evitarne gli errori.

L’On. Berlinguer – infatti – da Ministro della P.I. si è sempre servito – per formulare le sue opzioni riformatrici - di commissioni allargate (o "miste") in cui sono state esplicitate varie strategie e soluzioni possibili. Clamoroso ed emblematico – sotto questo aspetto – il dissenso emerso in seno alla Commissione mista MPI/MIUR ad opera del suo presidente (il prof. Tranfaglia) che – sia pure in minoranza – chiarì di non condividere il progetto di riforma universitaria (le lauree "brevi" per alcune tipologie professionali docenti compresi) caldeggiata dall’Ulivo (e dalla CGIL) e diventata legge dello Stato con voto "blindato" in Parlamento poco prima della fine della legislatura.

Ebbene, lo scopo di questa Commissione ristretta e a … "sovranità (intellettuale) limitata" mi sembra evidente: ottenere un documento univoco e – fino all’ultimo momento – "segreto" che, da un lato toglie spazio, visibilità mass-mediatica e "vis polemica" al dissenso parlamentare e sociale e dall’altro fornisce un argomento (documento unitario) immediatamente spendibile in ambito mediatico. Cosa – quest’ultima - che è riuscita solo in parte a causa delle divergenze scaturite in seno alla Commissione "ristretta" e riportate dai media.

Se mi è consentita una similitudine maliziosa la scelta della Moratti mi sembra molto simile a quella operata da un certo Collegio docenti di mia conoscenza in cui, a fronte di una "sovranità" conclamata e virtuale, ci si trova di fronte ad un gruppo pre-costituito (ed omogeneo ) che "pensa e decide" per tutti ed in cui il dissenso (per non parlare del merito) sempre enunciato ma mai rispettato rimane rigorosamente fuori … dalla porta. E dal verbale.

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Una prima lettura del testo proposto dal Gruppo ristretto di Lavoro (Grl) presieduto dal prof. Bertagna presenta una novità assoluta rispetto al testo proposto dal governo di centro-sinistra e – in un certo senso – coglierne la "ratio" significa comprendere la svolta – radicale – impressa alla riforma scolastica dalla nuova maggioranza. Questa novità riguarda la definizione del tempo scuola. Dopo lo straordinario – inizialmente obbligatorio!! – che qualcuno ancora spaccia per aumento stipendiale il documento Bertagna propone una riduzione generalizzata a 825 ore annue pari a 25 ore settimanali per tutti gli ordini e gradi di scuola. Di queste, 660 ore annuali (20 settimanali) rappresentano la quota obbligatoria nazionale e 165 (pari a 5 ore settimanali) la quota locale finalizzata, come precisano gli autori (..)"non tanto come aggiuntiva, bensì come intensiva (….)". Destinata, insomma – secondo le intenzioni della Commissione - ad approfondire il curricolo nazionale in un’ottica "regionale" e non a favorire "glocalismi"* culturali.

Siamo, dunque, in presenza di una riduzione del tempo scuola formale che va da un minimo del 21% (delle scuole elementari) fino ad una punta massima del 40% che riguarda la scuola superiore e tutti gli istituti che funzionano a tempo pieno.

Alla luce di queste – schematiche - considerazioni credo di poter affermare che la "ratio" prevalente nel documento proposto dalla Commissione presieduta dal prof Bertagna sia il risparmio generalizzato a tutto vantaggio del "mercato" (e delle scuole private) che non si è ancora coniugato in "riforma a costo zero" (di berlingueriana memoria) ma …. poco ci manca. Scopo del mio intervento sarà proprio quello di dar corpo e fondamento a questa tesi. Per farlo mi servirò di uno schema comparativo.

 

* NOTA: Ralf Dahrendorf a proposito di glocalizzazione scrive: (…)"Noi sappiamo che la globalizzazione è intrinsecamente una tendenza ambigua, duale, nella quale la gente è attratta verso il più vasto mondo ma anche verso il conforto del vicino più prossimo. Essa ha dunque prodotto anche un rafforzamento della spinta verso il locale, un’aspirazione a portare le decisioni a quel livello. (…) Una cosa è il comune, la città, la comunità storicamente unita da elementi e interessi comuni. Altra cosa è l’invenzione del "locale", la dimensione che oggi va tanto di moda delle "regioni omogenee". Non c’è dubbio che questo secondo tipo di localismo non è compatibile con la democrazia così come l’abbiamo descritta all’inizio della nostra conversazione. Uno dei grandi temi della nostra epoca è la ricerca di omogeneità, la voglia di stare tra i propri simili, tra coloro che ci assomigliano di più da tutti i punti di vista. Una delle grandi forze della democrazia, invece, è consistita nel far sì che gente diversa – dal punto di vista etnico, religioso o politico – potesse vivere insieme e sottoscrivere valori comuni.(…) Il fenomeno cui oggi assistiamo non è localismo in senso stretto, ma piuttosto regionalismo, che io trovo particolarmente indesiderabile perché presenta una sfida più insidiosa ai valori dell’ordine liberale (…)". (cfr. Ralf Dahrendorf – opera citata – Laterza Editori, Bari, 2001 pagg. 26/27).

 

 

Equità (pag. 16 doc. Bertagna)

"Don Milani era solito ricordare che nulla è più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali. Dare di più e meglio a chi ha meno e peggio è uno dei principi generali cui il Grl ha cercato di ispirare la proposta di riforma del sistema educativo di istruzione e di formazione. La giustizia intesa come equità non si promuove, infatti, con l’uniformità distributiva, ma con la differenziazione individualizzata degli interventi e dei servizi".

 

 

 

 

 

 

 

 

"L’obbedienza non è più una virtù ma la più subdola delle tentazioni". Questa frase che Don Milani rivolgeva ai ragazzi della sua scuola con l’invito ad obbedire solo alle leggi giuste è stata spesso citata ed … equivocata. Avulsa dal contesto storico in cui è stata formulata la frase è stata interpretata come un invito alla ribellione e alla disobbedienza "tout court". In realtà Don Milani parlando di disobbedienza – ed elevandola al rango di "virtù" – si riferiva alla guerra ed al sacrosanto e umanissimo diritto di dire NO al servizio militare (obbligatorio, in quel periodo) che – negli anni ’60 – conobbe un rinnovato impulso grazie anche alla propaganda pacifista e non violenta di Aldo Capitini e del suo gruppo. "Quando è l’ora – rammentava il coraggioso sacerdote – non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza ; cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva ed accettarne la pena che essa prevede" (cfr. L. Milani – L’obiezione di coscienza, Verona, 1965). La frase citata dal "gruppo Bertagna" ed inserita nel documento è completamente stravolta nel suo significato più profondo poiché la si interpreta per affermare il principio della diversità formativa. Don Milani – al contrario – affermava che "dare di più (in termini non solo educativi) a chi ha meno costituisce un beneficio per tutti …. soprattutto i più ricchi e dotati". Nel rapporto Bertagna è totalmente assente il problema dell’integrazione dei soggetti portatori di handicap. Eppure questa scelta educativa (e culturale) costituisce "il fiore all’occhiello" della scuola pubblica italiana … oltre a favorire un reale inserimento sociale a soggetti già penalizzati dalla vita. Secondo quanto enunciato da Raffaele Iosa su pavonerisorse del 16/12/01 che cita una recente indagine internazionale (…)" i bambini Down italiani hanno il 30% di quoziente intellettuale superiore ai colleghi tedeschi e belgi (chiusi nelle classi speciali) solo perché stanno in mezzo a tutti gli altri bambini. La socialità è apprendimento (..)" conclude (giustamente) l’autore del saggio … l’individualità è segregazione e ignoranza …. aggiungo io!!

Dallo Stato alla Repubblica (pag. 11)

(…)"Già ora formazione e istruzione professionale sono attribuite alle Regioni, che con la legge 3 acquistano altresì capacità di legislazione concorrente (sottolineatura di gp) anche in materia di istruzione(…)".

Educazione, istruzione, formazione (pag. 12)

(…)"l’art. 3, punto n del nuovo art. 117 della Costituzione, introdotto con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, mutuando l’espressione dal Titolo II, art. 33 della Costituzione del 1948, riserva a legislazione esclusiva dello stato ‘le norme generali dell’istruzione’. Introduce poi, una distinzione tra "istruzione" e formazione professionale che è legislazione esclusiva regionale (…)".

E’ indubbio che – al di là delle formule retoriche o propagandistiche – questa nuova formulazione giuridica risvegliando "appetiti autonomistici" dilata enormemente il potere delle Regioni e "attenta" – empiricamente, almeno – la libertà di insegnamento intaccando i curricoli, le materie di insegnamento, la scelta e l’adozione dei libri di testo, il reclutamento dei docenti … per non parlare del "controllo" politico del corpo docente. Maragliani docet!! Non vi sono – in estrema sintesi – le necessarie garanzie culturali e giuridiche per evitare che la "devolution regionale" - divenuta concorrente allo Stato in materia di legislazione scolastica - trasformi le scuole in aziende finalizzate alla customer satisfaction (la soddisfazione – sempre e comunque – dell’allievo/cliente) e i "diri-manager" in ottusi burocrati interessati più alla gestione patrimoniale dell’azienda/scuola che alla crescita culturale di allievi e docenti. Valga – per tutti – l’esempio del "buono scuola" lombardo.

 

Riduzione tempo scuola

 

Il documento Bertagna propone una riduzione generalizzata del tempo scuola a 825 ore annue (25 ore settimanali) così suddivise: 660 ore annuali (20 ore settimanali) rappresentano la quota obbligatoria nazionale e 165 ore annue (pari a 5 settimanali) per quanto attiene la quota locale. Nel rapporto si specifica che la quota locale (…)"è pensata non tanto come aggiuntiva rispetto a quella nazionale, bensì come intensiva (…)".

 

Premesso che già nell’enunciazione della Commissione ristretta traspare la preoccupazione che la quota locale si trasformi in qualcosa d’altro (da qui la raccomandazione affinché sia ‘intensiva’ piuttosto che … ‘aggiuntiva’) come non notare la contraddizione tra quanto enunciato nell’introduzione e quanto proposto successivamente? La commissione Bertagna dapprima enuncia che "il sistema di istruzione e di formazione è al servizio della società e del progresso economico" subordinando tali obiettivi "prioritariamente allo sviluppo delle capacità di tutti" e poi propone una diminuzione secca del tempo scuola. Diminuzione oraria che, nella scuola elementare, è pari al 21% in meno e nella secondaria superiore arriva al 40%. Contestualmente si prevedono da 0 a 300 ore facoltative di non ben definite attività laboratoriali e altre ancora a pagamento. E’ evidente che si ribalta il principio della scuola intesa come luogo di socializzazione/formazione (e di pari opportunità per tutti) e si privilegia la scuola elitaria o, meglio, strutturata in senso (gerarchicamente) economicista. Diversificare l’offerta formativa in un’ottica di soddisfacimento (a pagamento!) dei bisogni del cliente/studente. Sembra essere questa – in ultima analisi – "la ratio" della proposta Bertagna. La legge del mercato sancirà – in questo contesto – il successo, o meno, di alcune materie (considerate "minori") su altre.

 

Equità (pag. 17)

"Esistono quindi tutte le condizioni di opportunità e di merito per concentrare l’attenzione di tutti sull’importanza sociale e pedagogica della scuola dell’infanzia e per ribadire il ruolo istituzionale centrale che essa assume nell’insieme del sistema educativo di istruzione e di formazione. La proposta del credito riconosciuto a chi frequenta la scuola dell’infanzia è ritenuta un contributo in questa direzione (!?)".

 

 

 

 

La scuola dell’infanzia è frequentata – in media - dall’87% di bambini e bambine. Percentuale che sale al 95% se si considera solo l’ultimo anno. In questo contesto appare in contrasto con l’enunciazione di (…)"valorizzare ulteriormente il ruolo e la funzione educativi della scuola dell’infanzia (..)" il non prevedere l’obbligatorietà della frequenza di almeno un anno (l’ultimo). La Commissione Bertagna si limita a proporre il "bonus" di un anno per coloro che frequenteranno l’intero ciclo triennale della scuola dell’infanzia. Troppo poco e troppo vago per una valorizzazione professionale vera del personale docente impegnato in questo importante segmento della scuola pubblica. Pur non volendo corredare questa impostazione metodologica di un significato improprio – quale quello di un implicito "regalo" alle scuole materne private – non posso fare a meno di rilevare come il settore "prima infanzia" sia quello in cui la Chiesa Cattolica è presente in modo capillare e diffuso su tutto il territorio nazionale ragion per cui inserire la possibilità di un "bonus" o "credito" di un anno scolastico senza favorire – contestualmente – l’obbligo di frequenza per tutti i bimbi appare contraddittorio e discriminante per quella fascia (circa il 15% di utenza) che risulterebbe esclusa dal beneficio del bonus.

Valutazione e Servizio nazionale per la Qualità del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione (pag. 35)

 

(…)"Le competenze aggiuntive, acquisite in itinerari di sviluppo degli apprendimenti scolastici o in attività formative extrascolastiche, valgono, inoltre, come credito formativo legale se certificate non solo da enti esterni riconosciuti, ma anche dalle istituzioni di istruzione e di formazione a cui si domanda il loro riconoscimento. (sottolineatura di gp).

 

 

 

 

 

A parte – l’evidente e già rilevato – "regalo" alle scuole private a cui viene riconosciuto uno status di parità con il servizio pubblico (e che Mario Pirani in uno splendido articolo pubblicato su Repubblica del 18 dicembre definisce … "scuolette" di arti e … mestieri!!) nulla viene detto nel documento su come e chi valuterebbe e certificherebbe gli apprendimenti legati alle 300 ore facoltative. A questa ambiguità va aggiunto che la discrezionalità – attribuita agli istituti – di attivare o meno la facoltatività della frequenza porrà problemi organizzativi, di problematicità nell’assegnare il budget annuale, di stato giuridico dei docenti che saranno coinvolti nelle attività facoltative. Se – come pare – i docenti delle discipline "minori" - nonché "facoltative" - saranno assunti solo se i corsi saranno attivati (e solo per la durata del corso) è possibile ipotizzare due scenari: il primo è che le assunzioni saranno definite dal "diri-manager" e dal "comitato di amministrazione" con criteri di assoluta discrezionalità (che presumiamo "manageriali") il secondo – ancor più inquietante – è che si introdurrà nelle scuole/azienda un sistema di flessibilità del personale docente che si tramuterà – in prospettiva – in una nuova (e più subdola) forma di precariato. In mancanza di norme trasparenti, univoche a livello nazionale e condivise a livello socio/politico non si escludono forme di clientelismo nell’assunzione e nella gestione di questa opzione didattica. Rappresenta – in ogni caso – il primo elemento di rottura sociale all’interno della scuola pubblica ed il principale pilastro di sperequazione culturale tra scuola e scuola e – soprattutto – tra Regione e Regione.

 

Maestro prevalente o unico. Questo concetto è esplicitato nella parte seconda del documento di sintesi proposto agli Stati Generali il 19 dicembre 2001 dal Gruppo Ristretto di Lavoro presieduto dal prof. Bertagna (cfr. Raccomandazioni del gruppo di lavoro) paragrafo 3.5

Team pedagogico

(..)"Invitiamo a identificare sempre, in ogni gruppo docente di una classe di scuola primaria, un docente coordinatore che, fatto salvo il ruolo insostituibile del team pedagogico (!?) nei compiti di insegnamento, assuma una funzione temporalmente prevalente nel primo biennio (21 ore di insegnamento frontale in una classe e 3 ore delle sue ore di servizio dedicate al coordinamento del team della classe stessa). Proponiamo che l’insegnamento frontale del docente coordinatore di una classe scenda fino ad un minimo di 15 ore nel secondo biennio, per cui sarà affiancato da un altro docente. Proponiamo che in quinta, il docente coordinatore divida le 25 ore settimanali obbligatorie d’insegnamento frontale con altri due colleghi(Lingua , Matematica e Scienze, Storia-geografia e studi sociali). Il coordinatore nelle quinte classi inoltre avrà la responsabilità di assicurare i collegamenti con i docenti della prima media, di pianificare e organizzare con loro i programmi d’insegnamento, l’orientamento e la valutazione degli studenti (…)".

La legge 148/90 prevede - nel primo biennio della scuola elementare (art. 5, c. 5) - la figura dell’insegnante prevalente al fine di (…)"consentire una maggiore presenza temporale di un singolo insegnante in ognuna delle classi (…)" ma tale dettato giuridico (mai applicato, in verità), viene contraddetto dall’articolo 3, c. 3.1 della C.M. n. 271 del 10.09.1991 che sancisce la pari dignità giuridica di tutti e tre gli insegnanti del modulo e dall’art. 1, c. 8 del D.M. 10 settembre 1991 che ribadisce la pari dignità culturale e didattica degli ambiti disciplinari definiti dal Collegio dei docenti. L’ambiguità normativa è una costante nella giurisprudenza nostrana (e scolastica in particolare) ma, nella fattispecie, una regressione così netta pone seri problemi di natura interpretativa, didattica e organizzativa. Per non parlare degli organici che risulterebbero drasticamente ridotti. Il sistema modulare nella scuola elementare – a meno che non sia stato formulato (come sussurrano i maligni) in funzione di serbatoio elettorale per assunzioni clientelari – ha la sua ragion d’essere nella vastità del curricolo e delle competenze disciplinari richieste dai programmi dell’85. Impensabile che un simile programma possa essere svolto – congruamente – da un unico docente…sia pure nel primo biennio di scolarizzazione obbligatoria. Ancora più impensabile che tale progetto possa essere attuato in presenza di una diminuzione (da 27 a 25 nel primo biennio e da 30 a 25 nel triennio successivo) dell’orario curriculare obbligatorio. La stessa formulazione (orario obbligatorio) è ambigua e non chiarisce le modalità di esplicitazione dell’orario "facoltativo" né spiega le modalità di attuazione del tempo pieno. Per non parlare del servizio di mensa scolastica – attualmente – gestito dai Comuni. Si ritorna, dunque, al passato anche per quanto attiene le materie? Compito della scuola primaria – e del suo personale docente - tornerà ad essere (nel primo biennio, almeno) quello di insegnare a leggere, scrivere e .. far di conto? E ancora. Che fine faranno le due ore di programmazione settimanali obbligatorie nella scuola elementare? Rimarranno obbligatorie? Si va, dunque, verso una contrazione – ope legis – dell’orario di servizio nella scuola elementare? Chi – e come – designerà il "docente coordinatore" del gruppo classe? Come evitare che si trasformi in una nuova figura clientelare scelta non per acclarate e documentate competenze professionali ma in base a simpatie … "imprenditoriali"? L’esperienza – fallimentare!! - delle Funzioni Obiettivo non ha insegnato nulla?

Introduzione (pag. 5)

Il ministro (…) ha poi chiesto al Grl di procedere a questa ‘complessiva riflessione’ e ad una ipotesi di un ‘nuovo piano di attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici’ tenendo conto (…) delle seguenti raccomandazioni:

1. ribadire il principio che il sistema di istruzione e di formazione del Paese è al servizio della società e del progresso economico se e solo se è primariamente al servizio della persona di ciascuno e mira al massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti; in questa prospettiva va collocato l’obbligo di 12 anni di istruzione e/o formazione per tutti. (…)

 

Come esplicitato nello stesso documento Bertagna – tabella 4 – non tutti i Paesi europei terminano il percorso di studi a 18 anni. Perché, allora, si continua a parlare di adeguamento alla maggioranza dei paesi europei? Scartando l’ipotesi della subordinazione intellettuale della Commissione ristretta alle "raccomandazioni" ministeriali il motivo vero non sarà – ancora una volta – il risparmio (in termini di ore di lezione, di personale docente e ausiliario, di strutture ecc.?)

 

Bocciatura (anche alle elementari) e sette in condotta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se questa opzione è intesa come impegno a dare serietà, autorevolezza e prestigio (sociale ed economico) ai docenti e a responsabilizzare maggiormente (in termini di impegno) gli studenti l’intento è positivo. Se – invece – si intende dare un "taglio" al passato ripristinando – magari in forma codificata – il principio di autorità o di subordinazione docente/discente allora NO! L’educatore è tale per l’autorevolezza morale che riesce a trasmettere e per educazione si intende quel complesso di operazioni dirette a fornire ad una persona tutte le informazioni e le norme che lo rendano adatto a vivere secondo i suggerimenti e le esigenze della comunità in cui quella persona è inserita. Si tratta – in estrema sintesi – di una operazione fondata essenzialmente sui rapporti interpersonali, delicata e difficile, non inquadrabile in uno schema di prescrizioni, regolamenti e … punizioni.

 

(…)"il sistema della formazione deve essere ripensato e riorganizzato superando quella che oggi è impropriamente definita formazione di primo livello e dando vita a una formazione che "scommetta" sulle competenze più rare e meno presenti sul mercato, meno esposte alla concorrenza internazionale, in modo da mantenere costante, e possibilmente aumentare, il differenziale positivo di professionalità della forza lavoro del sistema paese rispetto a quella dei paesi caratterizzati da un’elevata disponibilità di manodopera (…)" (cfr. Documento di sintesi Commissione Bertagna pag. 5).

Siamo alla teorizzazione di una sorta di "parcellizzazione" culturale e – di conseguenza – alla subordinazione del personale docente (o di una parte consistente dello stesso) ai "capricci" del mercato. E’ evidente che una simile impostazione metodologica – analizzata in prospettiva – mina alla base il principio della libertà di insegnamento che – per sua, intrinseca, natura – è soggettiva e non può essere connessa a variabili oggettive come – ad esempio – l’esigenza di formare – in un dato contesto socio/economico – un certo numero di specialisti richiesti dal "mercato del lavoro globale". E’ la subordinazione del corpo docente retrocesso – in ultima analisi – al rango di "proletariato intellettuale" alle esigenze della "nuova classe globale" che – come direbbe R. Dahrendorf già citato (…)"fissa i trend, indica la direzione, esercita l’egemonia culturale (…).

 

Strutture scolastiche: esistenza (dieci anni dopo la promulgazione della L. 104/92) di barriere architettoniche e mancato adeguamento delle strutture scolastiche alle norme anti-incendio (ai sensi della L. 626/94 e successive modifiche ed integrazioni).

 

 

 

 

 

Non vi è alcun accenno – nel documento Bertagna – all’obsolescenza delle strutture e degli edifici scolastici. Questa "omissione" non ha ragioni evidenti a meno che….

 

A meno che l’ossessivo richiamo alle strutture di rete in cui istituire i laboratori (a frequenza facoltativa oppure a pagamento!) non significhi il "sacrificio" delle vecchie scuole – che continueranno ad essere dei "contenitori" di alunni – a vantaggio delle strutture più moderne dotate di tutti i "comfort". Contenimento della spesa, razionalizzazione delle strutture. RISPARMIO, insomma. Come dire … sì alla riforma ma senza dimenticare il …budget!!.

Un’ultima considerazione per concludere: l’On. Franceschini (Margherita) ha denunciato in Parlamento che (…) "c’è aria di intimidazione nelle scuole italiane" (cfr. Mario Reggio – La Repubblica - 17 dicembre 2001 pag. 23). Ebbene, questa "strategia intimidatoria" in atto in molte scuole e che colpisce in primis il "pensiero divergente" (da quello del "diri-manager" e dello staff che – poco democraticamente - si sceglie) ha un nome (ed una finalità) ben delineata e chiara.

E’ un fenomeno terribilmente squallido e violento che fa fatica ad emergere e ad evidenziarsi ma da cui la scuola non è esente.

Si chiama MOBBING.


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