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Elementari a cinque anni e mezzo?
Una soluzione …. "all’italiana"

di Grazia Perrone

 

Gaspare Barbiellini Amidei in una nota pubblicata sul Corriere della Sera del 13 gennaio 2002 dal titolo significativo ("Le ostilità preconcette") a proposito della paventata possibilità di iscrivere prima i bimbi alle scuole elementari e materne scrive: "Molti temevano che la riforma Moratti favorisse la scuola privata. Scattavano legittime riserve accanto ad antichi riflessi anticlericali. La materia del contendere è seria, annosa e in parte ancorata a un ostacolo costituzionale sul piano dei finanziamenti. Ora si apre un altro fronte completamente rovesciato. L’ipotesi di consentire ai genitori l’iscrizione di bambini al primo anno delle elementari anche se compiono i sei anni ad anno scolastico inoltrato trova perplessità di tipo opposto. Le "primine", zone franche per scolari in anticipo, sono una esclusiva degli istituti privati (…)".

L’autore della nota prosegue domandandosi perché la discussione che ne è scaturita non verta su questioni pedagogiche ( … è bene oppure è un male cominciare troppo presto?…) ma su questioni di tipo "mercantile" (questa norma – togliendo "clienti" alle private – favorisce la scuola pubblica?) che rafforzano la sensazione dell’autore che l’ostilità sia preconcetta e che sia – in ultima analisi - la manifestazione di diffidenza ideologica.

Vi è del vero in questa affermazione. E’ indubbio che vi sia – sul tema scuola e non solo – una eccessiva enfasi ideologica che – innalzando steccati ed esacerbando le posizioni – impedisce una serena e pacata riflessione.

Credo che la discussione su questo tema specifico vada – in qualche modo – "rovesciata".

A parer mio non importa quando (a che età) inizia la scuola ma come (con quali motivazioni emozionali e con quali prerequisiti didattici).

Per questo motivo, credo, che andrebbe proposto – a fianco del quinquennio delle elementari e a prescindere dall’età anagrafica di iscrizione – l’obbligatorietà dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia. Ritengo importante che gli alunni di cinque anni abbiano una scolarizzazione obbligatoria e che la scuola per l’infanzia assuma la forma di vera e propria istituzione educativa, una funzione che si configuri come il primo grado di sistema scolastico e concorra a promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini apportando un suo specifico contributo alla realizzazione dell’uguaglianza delle opportunità educative. Penso ad una scuola dell’infanzia come un ambiente professionalizzato per la piena educazione del bambino; a una scuola con una propria unitarietà, identità e specificità che - con queste caratteristiche peculiari - lavori in continuità con la scuola di base, perché per ottenere buoni risultati è necessario che tra docenti delle due scuole vi sia un raccordo pedagogico per:

1. avere un’impostazione comune verso l’esperienza scolastica al di là dei contenuti e dei prodotti ottenuti;

2. garantire agli alunni un itinerario di apprendimento che risponda alle motivazioni più profonde di crescita e di realizzazione di sé;

3. promuovere l’apprendimento che si basa sul patrimonio esperienziale del bambino. Ogni bambino ha un proprio bagaglio di conoscenze, esperienze, informazioni, stati d’animo ed emozioni;

4. stimolare l’insegnante ad entrare in "gioco" (in relazione) con il bambino.

Una scuola con queste caratteristiche è "nuova" e ha senso se è caratterizzata da forte unitarietà a livello di finalità educative, di impostazione metodologica, di curricolo.

La scuola dell’infanzia ha un proprio curricolo esplicito che deve essere messo in collegamento con il curricolo della scuola di base anche se l’articolazione interna deve poter consentire una notevole flessibilità del percorso e una specifica attenzione ai diversi momenti evolutivi.

L’educazione autentica – in questo contesto – non vuol dire fornire informazioni secondo un programma prestabilito e uguale per tutti. L’essere umano impara ciò che lo interessa e gli piace, e rimuove tutto il resto. Può sembrare banale ma è così…come ben sanno sia le colleghe di scuola materna che quelle (e quelli) della scuola elementare.

Come dovrebbe essere allora un "buon" educatore? Certamente non può essere un "tuttologo" incolto o, peggio, impiegatizzato. Né – a maggior ragione – la scuola primaria voluta da Berlinguer può essere la summa di due ex scuole "abborracciate" ope legis in cui far convivere – forzatamente – due professionalità – a parer mio – inconciliabili. Il docente della scuola primaria è uno specialista – meglio sarebbe chiamarlo professionista - che utilizza lo strumento didattico della gradualità ….. principio noto fin dal secolo scorso ed enunciato in forma completa da Antonio Rosmini*.

Il Rosmini, dopo aver premesso che l’istruzione è "la fonte principale del miglioramento dell’uomo" che dovrebbe costituire "il più importante affare" dei Governi, enuncia il "principio supremo" del metodo didattico che consiste, appunto, nella gradualità. Secondo questo principio l’insegnante deve esporre la sua materia con progressione graduale, seguendo l’ordine di sviluppo della mente umana che procede per gradi e muove dalle cose note e vicine per giungere a quelle ignote e lontane. Il metodo didattico rosminiano – ampiamente sviluppato e applicato nella nostra scuola elementare – è quello di disporre le conoscenze da apprendere secondo una serie ordinata, di modo che "quelle che precedono, per essere intese, non abbiano bisogno di quelle che seguono".

La moderna psicologia dell’apprendimento (grazie anche agli studi e alle ricerche di un uomo come Marcello Bernardi) e la didattica odierna hanno sviluppato ampiamente questo principio che Rosmini intendeva applicare alle progressive età dell’uomo e ai vari stadi dell’educazione.

Il processo educativo, dunque, si configura come un RAPPORTO tra due (o più) persone. Non è – né può essere - un’azione autoritaria esercitata da una persona su un’altra. Come direbbe Marcello Bernardi "l’educatore è anche educando". Il rapporto interpersonale educatore/alunno crea di per sé una reciprocità. Se un individuo – chiarisce Bernardi** – "ritiene di poter influenzare lo sviluppo di un’altra persona, senza esserne influenzato, costui è un ottuso prepotente, non un educatore". In questo contesto caratterizzato dal rapporto umano la continuità tra i due segmenti educativi è l’elemento da garantire per far sì che le esperienze che segnano lo sviluppo del bambino siano caratterizzate da un cammino concreto e graduale nel procedere in quell’incontro con i "linguaggi della cultura" avviati fin dalla loro nascita. La scuola – come ha scritto Italo Fiorin su un bell’editoriale di Scuola Italiana Moderna*** - "è ambiente a più dimensioni, e molte sono le parole che possono descriverla. Laboratorio, spazio di relazioni, centro di ricerca, ambiente di apprendimento….Tante, e altre ancora, le dimensioni che la costituiscono, che ne fanno luogo accogliente, "casa" del bambino". Tocca a noi professionisti dell’educazione – aggiungo io - mantenere "la casa" in ordine ed in perfetta efficienza.

 

Note

*Il concetto di gradualità è esplicitato dal Rosmini nell’opera di metodica: iniziata nel 1839 è rimasta incompiuta. Notevole – per l’epoca in cui è stato formulato – anche il saggio "Sull’unità dell’educazione".

** Consulta il saggio "Educare meno educare tutti" di Marcello Bernardi pubblicato come introduzione al libro di Joel Spring "L’educazione libertaria".

***cfr. Italo Fiorini - Scuola Italiana Moderna n. 16 del Primo maggio 1998.


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