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Sperimentazione nel tempo della complessità alla n.
Scenari culturali ed epistemologici

di Gabriele Borselli
gbose@tin.it

Un nuovo sentiero di sperimentazione si apre allo sguardo della scuola dell’infanzia ed elementare italiana. In Romagna non solo l’innovare ma anche lo sperimentare non sono certo un fatto nuovo: fin dai primi anni ottanta, nel panorama nazionale allora piuttosto fermo della scuola, si aprirono sperimentazioni a San Mauro Pascoli, Forlimpopoli, Faenza, Cesenatico, Savignano. Poi Roma si svegliò e specie nell’era berlingueriana l’innovazione -non la vera e propria sperimentazione- assunse ritmi frenetici, divenne un generalizzato fatto nazionale; quel che si guadagnò in quantità si perse in profondità (esplicitazione delle radici), larghezza (nesso con il non-oggetto sperimentale), altezza (rigore formale, valenza astrattiva). Ora si riprende, con qualche interrogativo

Vogliamo riprendere davvero a fare sperimentazione o ci accontentiamo di piazzare comunque sul territorio pezzi della prossima riforma? La domanda è retorica ma, credo, non inutile.

Credo si debba sperimantare seriamente, cioè innovare con metodo di ricerca scientificamente solido. Si tratta dunque di ripartire lasciando da parte l’ideologia deteriore (insieme di slogan, di idee orecchiate), tenendosi quella buona (costellazione di principi pedagogici culturalmente fondata e disegnata in prima persona) e raccogliendo e tentando di rispondere a una delle massime provocazioni del nostro tempo: l’ ipercomplessità o complessità alla n.ma potenza.

Le pericolose scorciatoie della complessità

Mentre lo studioso è naturalmente "innamorato" di complessità ad alto livello, l’uomo della prassi spesso non le sopporta. Rendono il quadro difficile da inquadrare, da interpretare e soprattutto da governare. Meglio semplificare i concetti, ridurre le sequenze, nuclearizzare la sintassi, razionalizzare secondo logiche brutali. Tanto nei metodi che nei fini.

Fabrizio Ravaglioli ha da tempo rilevato un doppio compito della scuola: quello di assicurare sia una formazione universale alta e dalle fondazioni estese nei secoli, sia quella cultura di massa schiacciata sulla contingenza che può servire alla classe oggi dominante, che è quella dei signori dell’economia. Con cinque anni di anticipo, sembra indicare una doppia articolazione del sistema scolastico e dei curricula: la prima, umanistica e scientifica, destinata all’intelligenza della complessità; la seconda vocata a far apprendere il mondo in modo tecnico, riduttivo, semplificato. Educazione di intelligenze complesse capaci di conoscenze e addestramento di intelligenze semplici dotate di competenze. Per capire come va il mondo bisogna leggere Ravaglioli (e Luhmann); per capire come dovrebbe andare Bertolini (e Morin) e la sua proposta di riduzione del condizionamento per lasciar essere, affinché ciascuno divenga ciò che la sua intenzionalità di fondo, incontrandosi con il meglio della cultura di ogni tempo, lo fa essere. Il pensiero "semplicemente complesso" o soltanto complicato d'inizio millennio appare invece un pensiero della contingenza e dell'emergenza (N.Luhman)

Una via complessa alla complessità

Seguendo Morin (Morin 87), nel cap IV di Postprogrammazione (Boselli 1991) dedicato all’analisi delle conseguenze pedagogiche dell’ipercomplessità e del passaggio dal concetto di sistema a quello di ipersistema, rilevavo l’opportunità della transizione a una progettualità pedagogica europea (ma di marca"continentale") che prepari i giovani a pensare il mondo in cui vivranno loro, non quello in cui stiamo vivendo noi. Dunque una riforma di strutture e programmi che porti non a semplici competenze (quelle per cui si stravedeva nei curricula De Mauro del Febbraio 2001) ma avvii alla conoscenza. Una riforma che per corrispondere alla ipercomplessità dovrà veicolare una cultura non monolitica ma plurale, non descrittiva ma interpretativa, non solo universale ma anche regionale, non dominata dalla necessità ma aperta sul possibile, non deterministica ma indeterministica, non epistemica ma epistemologica, non sistemica ma costellazionale. I nuovi saperi della scuola dovranno tener conto che non solo i contenuti e le forme ma anche le stesse categorie classiche della conoscenza umana stanno mutando nell'interazione con il nuovo mondo, con velocità assai maggiore che nel tempo della pura parola o dell’immagine preelettronica. Additare la complessità (iper) vuol dire riavviare la ricomposizione secondo ermeneutica dei saperi classici e l'entrata di quelli "nuovi" e in particolare delle nuove morfologie del sapere che possono servire a intendere le pieghe del mondo di fine millennio, i reticoli multiplanari, i nodi distributivi, le strade senza uscita, gli scarti dell'intenzionalità generale che covano sotto le apparenti regolarità evolutive di un universo divenuto "pluriverso" ipercomplesso. La scuola ha bisogno di inventare (trovare, esser compresa, immaginare) saperi "nuovi" come l'informatica o rinnovati nella loro struttura epistemologica. Di essere una scuola che sappia pervenire a interpretazioni originali del mondo e sappia progettare le forme inevitabilmente irregolari (ma non caotiche o deintenzionalizzate) della didattica che dovranno resistere alle vettrici di piegamento della contemporaneità (Boselli 97).

Andare oltre attraverso Gentile

Al tempo di Giovanni Gentile la Teoria della complessità era di là da venire ma nessuno più del filosofo dell’Intero aveva pieno intendimento della complessità infinita delle produzioni della soggettività trascendentale. Io sono un gentiliano sedotto dalla fenomenologia, non riconosco la complessità della cosa in sé ma solo la teoria della C. e vi individuo un tratto essenziale (generativo) non tanto del mondo quanto della odierna pensabilità del mondo. Non posso pensare (ri-creare) il mondo senza una struttura complessa (o per meglio dire ipercomplessa) di idee. La scuola e l’università devono educarsi ed educare i giovani a fuggire le semplificazioni e i riduzionismi (la complessità, checchè ne dica Luhmann, è irriducibile) e portare la mente a vedere in grande, oltre il presente ma con attenzione all’attuale (ancora Gentile). Devono far capire che non si può non produrre un universo di idee perennemente in fieri, dirette a relazionare numeri enormi di variabili ad alta instabilità, a collegare gli stati evolutivi di costellazioni fenomeniche e culturali di ennesimo ordine, nel passaggio , questo sì post-gentiliano dall'uni-verso al pluri-verso.

Cosa potrebbe voler dire fare sperimentazione

Si cercherà di delineare alcuni scenari epistemologici di un'attività sperimentale, dentro e fuori della scuola, che tenga conto dell’ipercomplessificazione del contesto. La tesi esposta é che anche nella scuola, come già in tutti i campi di ricerca avanzata, occorra definitivamente superare il modello sperimentale classico di matrice galileiana e accostarsi a scenari che recuperino la lezione epistemologica del Postmoderno, principalmente articolata attraverso la teoria della complessità, la fenomenologia e l'ermeneutica.

Abbiamo ritenuto pertanto e riteniamo tuttora che il nodo fondamentale di una seria attività di ricerca e di sperimentazone sul "campo" sia quello del rinnovamento dell" epistemologia. Definire a quali condizioni una ricerca possa essere considerata scientifica; indicare le procedure di ipotizzatione teoretica e di interpreazione delle risultanze, delineare ipotesi di comunicazione condivisibile di esperienze e di considerazioni: ecco i veri problemi con cui dovremo confrontarci e con cui si dovrà probabilmente confrontare ogni altra ricerca che non si contenti di accumulare materiali sulla base di teorie non formalizzate.

La riflessione scientifica in pedagogia, cioè il tentativo di tradurre in forme comuni esperienze diverse attinenti all'educazione, pare dunque acquisire, almeno entro certi limiti, un carattere di irripetibilità globale; rimanendo nei limiti della epistemologia classica, si potrebbe affermare che la ricerca in pedagogia sia assolutamente inutile in quanto i suoi risultati non sono totalmente generalizzabili.

Caratteri dell'attività sperimentale

L'attività sperimentale é fondamentalmente un itinerario di innovazione che si distingue dai comuni tipi di cambiamento per la sua scientificità. Non vi è alcun motivo per chiamare sperimentale una ricerca se l'esperienza non costituisce la traduzione di un discorso teoricamente ben definito o questo discorso non si volge mai alla sua attuazione pratica; non si potrà parlare seriamente di scientificità e dunque di sperimentazione.

La discriminante della scientificità, pur essendo fondamentale, é tuttavia piuttosto vaga perché forse nella nostra cultura nessun concetto é più contradditoriamente dilaniato tra l'esigenza e la difficoltà del rigore di quello di scienza, Questo non solo nell'ambito delle scienze umane, ma anche della scienza in generale.

Fuori di qualche fortunata regione italiana e tedesca il modello epistemologico prevalente é ancora quello di matrice positivistica, esposto in testi come quello di De Landsheere "Introduzione alla ricerca in educazione" risalente agli anni '60 (una 2.a edizione profondamente trasformata non é ancora stata tradotta in italiano) o di quell'altro a cura di Vertecchi e (incredibilmente) Becchi "Manuale critico della ricerca e della sperimentazione" (come avran fatto a stare insieme un positivista e una fenomenologa?).

Questioni metodologiche e argomenti di ricerca nella sperimentazione nazionale 2002

Sperimentare nell’ipercomplessità postmoderna è assai più difficile che farlo nella semplice complicatezza del Tardomoderno. Si richiedono procedure non-lineari, ologrammatiche, agili, non precostituite alla ricerca. La ripetibilità dell’esperimento non costituirà elemento decisivo. Il gruppo di controllo avrà valore processuale, non potrà essere elemento di giudizio finale. Nelle bozze ministeriali di sperimentazione modello 2002 sinora circolate vi sono cose che non mi convincono e altre di cui vedrei volentieri un’articolazione in attività sperimentali. Lasciando perdere le prime, farò rilevare le seconde, in genere ascrivibili a influssi culturali meno "born in US" del dichiarato e piuttosto "continentali".

Anche se gran parte dell’attenzione sarà direttta agli aspetti organizzzativi, ci sono aspetti pedagogici che meriterebbero una adeguata analisi, Non sono nuovissimi, ma sinora non erano mai comparsi nella pedagogia ufficiale del MInistero. Ne darò una lettura che non costituisce certo una "interpretazione autentica" ma è una delle possibili letture.

Concetto di precomprensione. Può essere sviluppato secondo le indicazioni del pensiero ermeneutico: il conosciuto é gia dentro la struttura del conoscente e viceversa); la coappartenenza di soggetto e oggetto dell'interpretazione precede e influisce su ogni atto conoscitivo. (Heidegger)

Idea di conoscenza

La conoscenza è modalità essenziale (generativa) per capire il mondo dei fenomeni, realizzare l'io come soggetto, far sì che questo si attui in mondo .

Conoscere è per noi acquisire uno spazio di inerenza all’essere, partecipare di ciò senza di cui l’essere non è più tale, ciò che è necessario affinché l’essere viva. Significa abitare la terra natìa, la casa in cui si sta, la lingua in cui si risiede; ma anche essere aperti a ciò che schiude al trascendimento dallo stato, apre alla pienezza di un senso intenzionale. Il termine conoscenza si oppone intrinsecamente a ciò che non appartiene al soggetto dell’essere a ciò che aliena, che demolisce il proprio abitare fisicamente e culturalmente la terra, ciò che blocca il distendersi intenzionale del soggetto o –pedagogicamente- ne canalizza gli itinerari di autoeducazione Conoscere é l’heideggeriano "sbocciare da se stesso". E’ conoscenza essenziale quel sapere che avvicina il soggetto all"argomento fino al rendersi presente di quel che è remoto, quel che porta all’apparire, al manifestarsi dell’ignoto entro l’ambito di ciò che è noto.

Conoscere è far agire il sapere che apre, lascia che gli enti e gli eventi cognitivi accadano senza irretirli in tassonomie,è creare reti non vincolanti di conoscenza.

Conoscere è approssimarsi all’identità profonda (trascendentale) di soggetto oggetto, far cogliere al primo un’identità originalmente ignota a lui stesso e che non può scoprire senza attraversare la foresta della cultura, senza aver passato i campi dell’esperienza scientifica e poetica del mondo. La conoscenza non è solo dell’evidenza; nasce anzi –insegna Socrate- dal superamento dell’evidenza, da uno sforzo, che nasce dal profondo, di guardare alto e largo; e lontano, e gratuitamente.

La conoscenza è dell’essenziale, dei princìpi, di ciò che, dentro la parola e fuori dalla chiacchiera, riduce il superfluo delle parvenze e apre il soggetto a rappresentarsi originalmente (ma anche adeguatamente) il mondo. La scuola può/deve offrire un orizzonte storico per l’intelligenza dell’essere: offrire dunque conoscenze e saperi (costellazioni di conoscenza) essenziali in quanto lasciano essere anziché trasmettere statuti di ciò che la cultura dà per essente. Se la conoscenza non è dell’essenziale,n del gratuito o –direbbe Pomi- dell’inedito- è chiacchiera, introduzione al culto del Nulla.

Edith Stein ci ha indicato come la conoscenza non sia mai uno sterile, industriale prodotto automatico di operazioni tecniche ma qualcosa di imprevedibile, di vivo, di fecondo, di generativo di sapere ulteriore. Direi che laddove la competenza risiede nella cultura dell "utile", l’essenziale abiti in quella della "fondazione"; dove la competenza é "saputa" la conoscenza è, gentilianamente, sapere in atto.

Le conoscenze sono atti di costruzioni del sapere di lungo respiro; portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e prossimo venturo.

La conoscenza é destinata a crescere, la competenza ad estinguersi, a "obsolescere". La conoscenza –saperi di ciascuno- a far crescere, la competenza -saperi di categorie professionali- a figurare bene negli schermi dei sistemi di valutazione.

La competenza é riduzionistica (riduce la complessità); la conoscenza trans-formativa e generativa (rispetta le condizioni dello sviluppo potenziale).
(Gentile)

Obiettivo

Le bozze ministeriali circolate ne offrono una lettura molto particolare, non pragmatistica. Vi è infattti (era ora) la stigmatizzazione della corrispondenza biunivoca; sono obiettivi non autoreferenziali ma che rimandano al tutto; sono parti di un mondo di fini. Evidente la prossimita a critiche di matrice fenomenologica all’idea pragmatistica di obiettivo.

Cura

In "Essere e tempo" Heidegger addita nella "cura" una relazione costitutiva dell'essere come esserci, una inerenza flessibilmente fondativa del proprio come dell' altrui arco delle possibilità situate e situanti di essere in quanto essere-a, qui, ora, con me/noi, in questo frammento di storia, in un reciproco altrove. Accogliere é offrire plurali indicazioni di senso, intendendosi per senso

"ciò in cui la comprensibilità della cosa si mantiene senza venire alla luce esplicitamente e tematicamente. Senso significa ciò rispetto a cui ha luogo il progetto primario, ciò in base a cui qualcosa può esser compreso nella sua possibilità, così com'é" (2) Ibidem, p.389

Aver cura é riconoscersi e riconoscere (§ 65) "essendo-già-in", é l' "esser-presso" che suscita angoscia (poiché non vi é dominio dell'altro), non il coprente e tranquillante e doppiamente vincolante "esser-per" dell'ideologia buonista.

In una scuola "accogliere" prevede per il docente innanzitutto l'accogliersi, l'approvarsi, il riconoscersi come soggetto, come co-autore di un campo di eventi, di una storia improgrammabile. (ancora Heidegger)

Categorie critiche, semantiche e sintattiche

Non è forse inutile una qualche riflessione sul concetto di categoria, uno dei termini più richiamati dai recenti test ministeriali. Non fare i conti con le scaturigini del pensiero espone alle radiazioni del non-pensiero.

Categoria: da KATA' (contro, differentemente da..) e AGOREYO' ( esprimere, deflnire) = il tracciare segni di distinzione, talora con pretese di universalità, entro ciò che immediatamente appare con-fuso determinando un punto di vlsta e un'altra qualità. della visione.

Il termine va distinto da FORMA, intesa come un elemento concepito come correlato al proprio interno, relativamente invariante in riferimento al sistema di rappresentazione, valenza configurativa che é postulata come persistente anche con il venir meno dell'oggetto DELLA FORMALIZZAZIONE

Le categrie non vanno proposte come predicati generali della realtà (Aristotele) ma modi del nostro conósceré, forme attrraverso cui il soggetto trascendentale (l'umanità, nell'interpretazione di Goldmann) inventa una continuità tra i fenomeni (discontinui) che si offrono all' esperire nella sua totaIltà.

Così in Gentile, secondo cui in "Preliminari allo studio del fanciullo" il pensare è la categoria delle categorie, categoria che contiene il senso di ogni possibile categorla e cul nulla può essere assolutamente presupposto. La lingua è ilo vero vero soggetto ~ascendentale, corpo vivente del pensiero, luogo in cui le categorie nascono e trovano forma e unità.

Sulla stessa linea anche Husserl il quale vede le C come strutture ideali: lo spazio, il tempo, la lingua (anche per lui categoria delle categorie) sono categorie dell'intersoggettività nel suo confrontarsi con l'esperienza. Heidegger le vedrà come categorie del qui e dell'ora e affermerà la centralità della categoria del possibile.

Il problema della valutazione delle risultanze sperimentali

La sperimentazione è destinata a dare buoni risultati. In parte perchè gli operatori si sentranno più impegnati in quanto messi in evidenza, additati all’attenzione generale, lusingati dal fatto di essere avanguardia. Fu così anche per noi di San Mauro Pascoli. Andrà bene anche perchè ha dalla sua il fatto di anticipare un avvenire che può piacere o non piacere, ma che è ineluttabile, ha la forza della cronaca politica. Ma ancor di più andrà bene (andò bene perfino l’autonomia berlingueriana, sugli schermi degli appositi monitoraggi nazionali) se si saprà costruirvi intorno un ben centrato piano valutativo.

In molti campi, lo scopo principale di qualsiasi apparato di valutazione non é quasi mai l'osservazione disinteressata degli eventi ma il consolidamento e la maggior incisività dell'azione di governo degli stessi attraverso la costruzione di rappresentazioni utili. Coerentemente, l'attività dei vari apparati valutativi -fatte le dovute eccezioni- consiste nel fornire valutazioni funzionali (al committente della ricerca) che orientino il procedere degli eventi secondo le ordinazioni dello stesso.

In sostanza e non solo nel campo delle scienze umane (G.Johnson Simmetrie, Instar Libri, 2002), l’ oggetto del valutare è creato in gran parte dallo stesso atto di misura e valutazione; quel che si manifesterà dipende da come avviene l’impostazione valutativa. La complessità dei fenomeni è destinata a collassare nelle riduzioni valutative.

La scuola risente di questo clima generale di intensa promozione di riduzionismi valutativi, degli effetti della creazione di apparati di costruzione o distruzione della credibilità.

A tal fine mi sembra importante una riflessione etica ed epistemologica che, evitando i gorghi della "valutazione funzionale" e la sua fattualità, porti un'attenzione filosofica sull'atto del valutare. Per non farsi ingoiare, per raggiungere acque più serene, più amiche del soggetto individuale.

Conclusioni

Riprendere un cammino non solo di innovazione, ma di vera e propria sperimentazione.

Si può parlare di sperimentazione quando un disegno innovativo é stato disegnato –al di là delle prescrizioni ministeriali- anche su una qualsiasi ipotesi, "negoziante con l’esperienza" ma nel contempo fornita di rigorosa e trasparente trama culturale ed epistemologica.

Oltre alla scuola che verrà prescelta per la sperimentazione ufficiale, il carattere sperimentale dell’atttività scolastica dovrebbe in varia misura essere cercato da tutti.

Si tratta ora di abbandonare il fare per il fare, di dare un senso scientificamente solido all’attività di innovazione, di tornar a studiare. Studiare per innovare con più quiete, e prudenza, a vari livelli di complessità sperimentale, nella consapevolezza che comunque esiste in loco un patrimonio di esperienza e di conoscenza che ci rende preparati a ogni prova.


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