Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Dalla lingua inglese, nuovi significati per l’educazione

di Margherita Marzario

 

Abstract: L’Autrice propone una riflessione, con qualche annotazione giuridica, sui nuovi termini mutuati dalla lingua inglese nel mondo dell’educazione.

 

Da un po’ di tempo si fa un gran parlare di emergenza educativa, ma secondo alcuni è improprio definirla emergenza, perché: a) non è una situazione transitoria ma durevole; b) l’educazione è sempre stata problematica; c) si generalizzerebbe considerando un po’ tutti i minori con disagio o devianti; d) la vera emergenza non riguarda tanto gli educandi quanto gli educatori, la cui preoccupazione montante rischia di trasformarsi in “sfinimento educativo” (come sostiene il pedagogista Duccio Demetrio, l’educazione non è finita ma sfinita[1]).

Sarebbe più opportuno parlare di sfida educativa perché già Aristotele parlava della resistenza dei giovani ad essere educati o di istanza educativa perché proprio i giovani chiedono delle regole, dei modelli.

Ma cos’è l’educazione oggi? Nel mondo giuridico è un diritto ed un dovere per gli educatori (per es. art. 30 comma 1 Costituzione), un diritto per gli educandi (per es. art. 28 Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia). Nelle altre scienze umane, mentre in passato per le definizioni si faceva riferimento al latino (educare e educere) e al greco (philia), oggi prevalgono gli anglicismi.  Prendendo spunto da un programma di educazione alla sicurezza stradale (E.S.S.), che propone “il principio delle 3 E” (education, enforcement, engineering), si può provare a dare un contenuto ai nuovi significanti inglesi usati in campo educativo.

 

Education. Vocabolo caratterizzato da polisemia (forse più del corrispondente “educazione” nella nostra lingua), da cultura a formazione. In quest’ultimo periodo si affacciano numerose locuzioni per indicare nuove o rinnovate strategie e finalità educative. Tra le più diffuse “media education”, educazione attraverso e soprattutto ai media (tanto promossa dall’associazione degli spettatori AIART); “peer education”, educazione tra pari (nei vari aspetti, dalla “peer mediation” al “peer tutoring”); “peace education”, educazione alla pace (in realtà la prima a parlarne è stata Maria Montessori); “pet education”, educazione mediante un animale (solitamente il cane). Tanto la polisemia quanto i neologismi evidenziano l’impegno che sono chiamati a profondere tutti gli educatori, dai genitori agli educatori professionali.

 

Enforcement. Questa parola, che letteralmente significa “costrizione”, evoca i concetti di rinforzo, negativo (punizione) e positivo (premio). Nella famiglia odierna, che da etica e precettiva è diventata affettiva e permissiva, si danno spesso indifferentemente ed incoerentemente solo rinforzi positivi. Gli esempi sono innumerevoli: un genitore, pentito di aver mosso al figlio un rimprovero ritenuto poi esagerato, cerca di rimediare con un regalino o altro; al rimprovero della mamma il papà fa seguire un gesto di disapprovazione del rimprovero e di ammiccamento col figlio; i genitori che regalano il motorino al figlio per esser scampato alla bocciatura scolastica. Agendo indiscriminatamente e confondendo il perdono col perdonismo (ormai si parla di perdonismo familiare), la famiglia rischia di divenire anaffettiva o addirittura antisociale. Enforcement richiama alla mente, invece, l’autorità, che, in quest’epoca di evanescenza e di tiepidezza, va recuperata proprio nel suo senso etimologico. Autorità deriva dal latino auctor, che, a sua volta, deriva dal verbo augere, accrescere, far prosperare; per cui se l’auctor è l’accrescitore, il promotore, il sostenitore, il fondatore, l’autorità è l’insieme delle qualità dell’auctor. Da non trascurare che in latino, tra i vari significati di auctoritas, vi erano anche esempio ed esortazione. Dall’autorità consegue l’autorevolezza, che è la capacità di esprimere l’autorità. Nel rapporto educativo, l’autorità presuppone la presenza di un soggetto “autore”[2] dell’azione educativa, o meglio, del progetto educativo e di un soggetto destinatario, vale a dire un dialogo. Purtroppo, da parte degli adulti, viene sempre più a mancare la capacità e la disponibilità al dialogo.

 

Engineering. “Ingegneria, progettazione”. Anche se si moltiplicano i social network, aumenta la difficoltà ad instaurare relazioni genuine e profonde e le appartenenze sono sempre più fragili (fragilità che caratterizza molti adulti e da questi trasmessa ai giovani). Prevalgono le relazioni superficiali o virtuali (relazioni “a tempo” e “a basso impegno”), perché più facili da instaurare ma anche da “cestinare” proprio come nel gergo informatico. Un ulteriore paradosso può essere riscontrato nell’ambiguità crescente nel rapporto genitori-figli, nel modello prevalente di famiglia, cosiddetta famiglia “ancillare”, in cui non si cresce gli uni “al servizio” degli altri, ma si presenta come una tavola imbandita con tutti i beni possibili (cibo, hobby, giocattoli, viaggi, corsi di lingue, “raccomandazioni”), con due maggiordomi, padre e madre, che si affaccendano a “servire” i figli. Oggi occorrono educatori che siano bravi ingegneri, capaci di costruire ponti, di mettere in contatto realtà molto diverse tra loro, generazioni distanti (anche perché cresce il numero di coloro che fanno i figli in età considerata matura) e culture “altre” (si pensi anche al disorientamento culturale dei cosiddetti immigrati di seconda generazione) e di sperimentare nuove strategie. Occorrono nuove strategie perché tanto la pedagogia quanto il diritto, essendo scienze umane, sono soggette al relativismo. Basti pensare a quanto prevedeva il diritto di famiglia prima della legge di riforma n. 151/1975 in materia educativa: per esempio il testo originario dell’art. 315 del cod. civ. recitava che il figlio “deve onorare e rispettare i genitori” e addirittura nell’art. 319 si prevedeva il collocamento in un istituto di correzione per cattiva condotta del figlio. Per nuove strategie, però, si deve intendere che gli educatori devono usare lo stesso linguaggio e gli stessi canali espressivi dei giovani, ma senza scendere ai loro livelli e senza cadere nell’adultescenza, come invece spesso avviene.

 

Engagement. “Impegno”; è emblematico che “engagement” (termine presente anche nella lingua francese con accezioni simili) significhi, oltre ad impegno, anche fidanzamento e promessa, tutte situazioni che comportano una partecipazione piena della persona nei confronti di un’altra persona. Nella nostra epoca, a differenza del passato, si parla molto di educazione, ma nello stesso tempo sembra diminuire il tasso di impegno effettivo in campo educativo. La preoccupazione educativa si dovrebbe trasformare in occupazione educativa riscoprendo una vera e profonda passione per l’educazione (come diceva Cicerone “studium docendi”, passione di insegnare), la vocazione educativa. Per educare all’impegno occorre educarsi (o rieducarsi) in tal senso, sentirsi coinvolti e convinti di essere partecipi dello stesso processo, mettersi dall’altra parte, proprio come fanno gli esperti di marketing nelle operazioni di engagement dei clienti.

 

Empowerment. “Acquisizione di potere”. Per empowerment - parola usata sia in pedagogia sia in andragogia e tanto cara al sociologo e educatore Danilo Dolci col significato di “capacitazione” - s’intende il prendere in mano le proprie capacità e conseguentemente le proprie responsabilità. A tale proposito, oltre alla vituperata responsabilità sociale (quando qualcosa non va, non si fa altro che denunciare che “è colpa di questa società”), ogni educatore deve recuperare il senso di responsabilità personale senza più deleghe (addirittura, nei casi di separazione e divorzio dei coniugi, si arriva a delegare il giudice anche per scelte relative alla sfera affettiva e relazionale dei figli) e educare alla responsabilità personale che è il risvolto della libertà personale, quella “libertà da e di” che non è altro che l’insieme di quelle che, in campo educativo, sono variamente definite capacità, potenzialità o altro. In altre parole essere empowered significa interrogarsi e sapersi confrontare con gli altri (era questa, in ultima analisi, la cosiddetta “pedagogia delle domande” di Danilo Dolci).

 

Imprinting. “Prendere forma”. Prendendo spunto dalla teoria dell’apprendimento di base elaborata dall’etologo austriaco Konrad Lorenz sulla base del primo contatto tra madre e figlio, si può affermare che un’equilibrata umanità e una sana relazionalità non si coltivano attraverso chissà quali insegnamenti, ma innanzitutto mediante relazioni affettivamente sincere e intense. Si tratta di quei rapporti significativi tutelati anche giuridicamente; si leggano per esempio il novellato art. 155 comma 1 cod. civ. e l’art. 11 L. 4 maggio 1983 n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia” (come novellato dalla L. 28 marzo 2001 n. 149).

 

In caring. “Orientamento al valore”, espressione coniata dal pedagogista statunitense Matthew Lipman. Secondo il sociologo francese Raymond Boudon, il cui campo d’interesse è proprio la sociologia dei valori, le nuove generazioni non sono contrarie ai valori ma tutt’altro, chiedono condivisione e coerenza di valori. I valori sono importanti perché diventano punti di riferimento, antenne per orientarsi nella vita. Gli educatori devono capire ed avere il coraggio di costruire ciò che veramente vale (dal significato etimologico di valore) nella vita e non è transeunte: la vita stessa, la famiglia, l’amicizia e gli altri valori correlati, quali la gratuità, la socialità, la solidarietà. E la famiglia resta il primo soggetto educativo deputato alla mediazione dei valori e allo sviluppo della coscienza, quella “bussola” della vita spesso obnubilata da falsi valori o disvalori. In tal modo la famiglia diventa anche luogo di educazione alla legalità senza dover attendere gli appositi percorsi didattici avviati nella scuola.

 

I care. “Io ho a cuore”, il famoso motto di don Lorenzo Milani. Il grande educatore don Giovanni Bosco era solito ripetere “che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”. I buoni educatori devono far sentire che hanno cura per gli educandi loro affidati dalla e nella vita e educarli ad aver cura per l’essere (dall’ego all’io; l’identità), l’essere da (l’origine; la famiglia), l’essere con (gli altri; la società, da quella civile a quella politica), l’essere per (la proiezione verso il futuro; la progettualità)[3]. I genitori e gli adulti in generale, invece, trasmettono ansia, preoccupazione più per le cose (o per il corpo) che per l’intera persona. Si pensi alle classiche domande, talvolta fatte anche in fretta senza aspettarne la risposta: “Ti sei coperto bene?”; “Hai mangiato tutto?”; “Quanto hai preso all’interrogazione?”; “Cosa diceva Aristotele?”. Bisogna imparare a riformulare le domande: “Ti senti bene?”; “Sei soddisfatto dell’interrogazione?”; “Cosa ti dice Aristotele?” e così via.  Gli adulti devono recuperare il gusto ed il senso della vita e soprattutto l’entusiasmo (che etimologicamente significa “essere ispirati in dio” e quindi si riferisce all’aspetto spirituale) per rigenerarsi come educatori. “La nostra vita è un’opera d’arte […]. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili”[4]. “A ogni artista della vita si chiede di accettare, proprio come agli artisti, tutta la responsabilità del risultato della sua opera, raccogliendone i meriti e le colpe”[5].

Dalla locuzione “i care” recentemente se n’è ricavata un’altra, “e care”. Si tratta di progetti in cui si forniscono dei servizi, in via telematica, a persone in difficoltà soprattutto in campo lavorativo, sanitario e scolastico, anche perché il lavoro, la sanità e l’istruzione sono le principali fonti del benessere psicofisico di ogni persona. Pertanto anche l’obiettivo dell’”e care” è la centralità della persona usando gli strumenti della tecnologia.


 

[1] Cfr. D. Demetrio, L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Cortina Raffaello, Milano 2009.

[2] Nella legge belga del 6 luglio 2007 relativa alla procreazione medicalmente assistita e alla destinazione degli embrioni in soprannumero, il genitore è considerato “autore di progetto parentale”.

[3] Cfr. G. Savagnone, A. Briguglia, Il coraggio di educare. Costruire il dialogo educativo con le nuove generazioni, Elledici, Torino 2009.

[4] Z. Bauman, L’arte della vita, Laterza, Roma – Bari 2009, p. 27.

[5] Z. Bauman,  op. cit., p. 73.

 


La pagina
- Educazione&Scuola©