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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Direttore responsabile: Dario Cillo


 

E dopo i votacci?

Considerazioni a margine dei risultati degli scrutini quadrimestrali dai quali emerge un rilevante aumento dei “brutti voti” soprattutto nei professionali e tecnici.1)

 

I votacci non hanno cambiato la scuola, non hanno cambiato gli studenti con le loro difficoltà, non hanno cambiato il modo di funzionare dell'istituzione, non l'hanno migliorata, non hanno cambiato il modo di insegnare né quello di apprendere.

Di tutti i problemi molto seri e profondi che sono sul tappeto e che attendono risorse, progettualità, iniziative mirate e qualificate, strategie di breve e lungo periodo, il ministro ha preso la scorciatoia più facile e lucrabile dal punto di vista politico, perché agisce sull’immagine che gli permette di entrare in sintonia con la parte più moralista, superficiale, bacchettona ed ignorante dell’opinione pubblica. Una scorciatoia che lungi dal portare alla soluzione, anche minimale, delle grandi questioni all’ordine del giorno del nostro sistema formativo, opera solo in superficie, sulle forme con cui si rappresentano gli esiti del lavoro scolastico, sollecitando i consensi di chi pensa che per ripristinare la credibilità, l’autorevolezza e l’autorità professionale e personale del docente basta brandire il voto come arma di dissuasione/distruzione di massa, e attraverso di esso ridare finalmente serietà alla scuola ed educazione e formazione agli studenti di oggi.

Bene, ci siamo finalmente tolto un peso dallo stomaco, abbiamo messo 5 e 4 ai vagabondi e maleducati dei quali non ne possiamo proprio più, d’ora in poi la scuola riacquisterà serietà e rigore; abbiamo premiato merito ed eccellenza che sono finalmente liberi di esprimere tutto il loro valore non più zavorrati, frenati, oscurati da un voto che, solo ora, con i 5 e i 4 rende giustizia delle differenze.

Ecco, proprio così, non importa svolgere una paziente opera di rimotivazione, una colmatura delle differenze iniziali, il recupero delle lacune pregresse, alcune delle quali non vanno addebitate allo studente ma al cattivo funzionamento della scuola, l’integrazione delle conoscenze, delle competenze, la strumentazione metodologica, la differenziazione degli stili di insegnamento per venire incontro ai diversi stili di apprendimento. Insomma non importano la pedagogia, la metodologia, la didattica, importa solo drammatizzare le differenze per dare maggiore risalto alle eccellenze e, per contrappeso, ai fallimenti, in un contesto educativo e didattico che non giova certamente a chi è già bravo di suo, ma tende solo a bollare col marchio d’infamia del fallimento coloro che, se la scuola svolgesse i compiti che le ha assegnato la Costituzione, potrebbero farcela, scoprendo a se stessi e alla società le capacità e le potenzialità che hanno. Queste capacità non sono emerse talvolta per problemi propri degli allievi, ma spesso anche a causa di una didattica sclerotizzata, non aggiornata, priva di fondamenti di scientificità, a cominciare da un sistema valutativo che ancora non si è emancipato dall’arcaico bastone e carota, premio e punizione, buono e cattivo, chi resta dentro e chi va fuori. E’ il fallimento del manicheismo semplificatorio, chiaro a tutti ormai, tranne al nostro ministro e ai suoi consiglieri.

Assegnare questo ruolo alla valutazione vuol dire non aver capito niente dei meccanismi che generano la dispersione scolastica, che, lungi dall’essere combattuta, come tutti gli organismi internazionali ci chiedono, ma in primo luogo la nostra scienza e coscienza professionale, viene legittimata e teorizzata come sistema di selezione sociale, culturale che impoverisce la società e le persone.

Non c’è insegnante, credo, che non vorrebbe tutti alunni bravi, educati, rispettosi, ubbidienti, studiosi, capaci e competenti. Il problema è che solo una minima parte di essi risponde a questi requisiti, e d'altronde, se così non fosse, non si capisce cosa ci verrebbero a fare i ragazzi a scuola, essendo già bravi di proprio. Tolta quella minima parte, che comunque va sempre seguita ed assistita affinché traguardi l’eccellenza, gli altri devono diventare bravi con un processo didattico, con lo studio, la cura, la preparazione professionale, la sensibilità dell’insegnante e con le sue capacità di spostare sempre più avanti il terreno delle proprie competenze, consolidando, aggiornando, ampliando quelle tradizionali ed aggiungendo ad esse quelle che il momento storico e le esigenze sempre più complesse della società e delle persone richiedono. E non sono poche.

Non è buonismo pensare che tutti gli allievi e le allieve, nessuno escluso, messi nelle opportune condizioni (ambienti fisici, sociali, psicologici, culturali, tecnologici, ecc.) possano apprendere e sviluppare le proprie capacità. E’ quanto la pedagogia e tutte le scienze della formazione contemporanee affermano come valore universale, corretto dal punto di vista delle possibilità che le scienze moderne riconoscono all’essere umano, corretto dal punto di vista sociale, politico e coerente con il dettato e lo spirito della nostra Costituzione.

Aveva ragione Goethe quando affermava: “Tratta un uomo per quello che è ed egli rimarrà quello che è. Tratta un uomo per quello che potrebbe e dovrebbe essere ed egli diventerà come può e deve essere.” Da questo principio deve muovere un sistema valutativo moderno, per pro-muovere intelligenze, capacità, personalità varie, ricche di diversità, in grado di vivere pienamente la cittadinanza, rispettose delle leggi e dei codici etici e comportamentali che danno fondamento e cemento alla comunità in cui vivono.

Dovrà pur esserci una qualche ragione per cui i votacci e la dispersione si registrano in modo così massiccio e prevalente nei professionali e nei tecnici. La ragione prima, la più evidente, è quella che ancora oggi il nostro sistema scolastico non riesce a colmare le differenze culturali di partenza dovute alla diversa provenienza sociale degli allievi.

La scuola, anziché pro-muovere mobilità culturale e sociale, ratifica e sancisce le divisioni e le differenze dualizzando i percorsi, gli esiti, i ruoli, i destini sociali e personali degli individui, recando incalcolabili danni allo sviluppo delle risorse umane e al paese.

I votacci, il tanto strumentalizzato bullismo, la mancanza di autorevolezza, la cosiddetta “improduttività” del sistema non sono la causa, bensì la conseguenza del malessere della nostra scuola.

Occorre aggredire alla radici i complessi problemi della gestione delle risorse, della loro organizzazione, della qualificazione professionale, delle strutture e degli ambienti di apprendimento, dei saperi disciplinari e transdisciplinari, delle nuove metodologie e tecnologie, delle nuove competenze didattiche che devono essere rinforzate con approfondimenti seri delle conoscenze che riguardano innanzitutto la psicologia dell’età evolutiva, affinché si conosca sempre più dall’interno e in termini scientifici questo pianeta misterioso delle nuove generazioni, affinché l’ignoranza degli adulti, genitori o insegnanti che siano, non sia più causa di stupore, indignazione, condanna, invocazione di pene e punizioni tanto più esemplari quanto più inefficaci. Nuove competenze didattiche che, oltre i saperi disciplinari che ne costituiscono la base (esimio prof. Israel ed esimia Commissione da Lei guidata), prevedano un forte impegno formativo prioritariamente sul terreno della gestione delle relazioni didattiche. Alla base dei tristi episodi di insegnanti svillaneggiati in varie forme dagli studenti, caro ministro, non c’è la mancanza del brutto voto di condotta o della sospensione; non c’è neppure l’incapacità di una classe docente impreparata e fannullona e quindi da dimezzare, sottopagare, esporre alla gogna mediatica. C’è, per esempio, la mancanza di ricerca, sperimentazione, formazione e aggiornamento qualificati in servizio, proprio a partire dalle conoscenze della psicologia dell’età evolutiva e da input formativi orientati a rinforzare le capacità di gestione delle relazioni educative e didattiche. Questo è il nocciolo che determina la qualità della scuola, oggi.

Invece da troppi anni e ripetutamente i governi si sono gingillati con riforme e contro-riforme di sistema  pensando e sognando l’involucro (gli ordinamenti e le architetture), mentre lasciavano che il contenuto (docenti, dirigenti, personale) si deteriorasse, demotivasse, tra frustrazioni e carenze di risorse, col risultato di una caduta di efficacia e credibilità sociale dell’intero sistema dell’istruzione e della formazione.

 

Il governo, anziché dare luogo ad un grande progetto di riqualificazione delle risorse per un salto di qualità del sistema diminuisce le risorse stesse, crea pasticci di ogni tipo (anziché combatterla promuove la gogna mediatica contro la scuola, salvo poi lamentare la mancanza di autorevolezza e di autorità da parte della stessa), interviene dove non dovrebbe (grembiulino, voti, maestro unico, organizzazione modulare, tempo pieno) non interviene dove dovrebbe (stabilizzazione del precariato, qualificazione professionale, edilizia scolastica, laboratori, retribuzione europea del personale, sperimentazione e ricerca educativa e didattica, consolidamento con mezzi, strumenti e poteri dell’autonomia che invece, povera in canna, vede ridotti quei già pochi margini decisionali che aveva con un ritorno autoritario al decisionismo centralista).

Accade come un maldestro dentista che, anziché cavare il dente malato, estrae il dente sano del povero paziente, il quale, oltre a non veder risolto il suo problema, rimanendo ancora lì la causa del suo male, è divenuto, oltretutto, ancor più povero per aver dovuto pagare una parcella salata.

3 marzo 2009

Cosimo De Nitto

 

1) Si fa riferimento all’articolo di Repubblica “Boom di votacci, pure in condotta. "Bocciato" il maestro unico” del 1 marzo 2009

 

 


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