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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

FRAMMENTO DI SCUOLA

Vorrei parlare di un frammento pulsante di scuola viva: è ancora possibile o dobbiamo macerarci soltanto attorno alle parole della riforma?

Mi è capitato, per grazia ricevuta, di poter soffermarmi, riflettere su me stessa, sul mio lavoro e quello delle colleghe in classe. Perché?

Non perché ciò non si faccia costantemente nei gruppi, nelle commissioni, ecc…

Bensì  per il motivo alquanto normale, nella scuola, di avere accanto due studentesse tirocinanti.

Allora, cosa c’è di tanto strano nella situazione?

Nulla!

Soltanto che, in questa occasione, simile alle altre che l’hanno preceduta, io sono cambiata dentro: ho nella mente la RIFORMA e le sue parole che martellano l’anima e la mente di chi fa questo lavoro con la testa e con il cuore.

Allora, più che in qualsiasi altro periodo della mia vita professionale, affettiva, emotiva…con le alunne e gli alunni, ho capito il segreto del successo del nostro lavoro. Scoperta dell’ acqua calda?

No, nella maniera più assoluta!

Intanto, ho notato che le studentesse erano stupefatte del mondo degli imparanti (che appartiene a tutti, e anche a loro, alunne dell’ultimo anno delle superiori), poi di quello dell’ insegnare e delle riflessioni di chi fa l’ atto di insegnare. Come mai, mi sono chiesta, questo stupore?

Ebbene, loro stesse mi sono sembrate riflettere sul fatto che un dato è incontrovertibile: sia che si tratti di “grandi”, sia che si tratti di “piccoli”, qualcosa si nota di assolutamente identico: il bisogno, la necessità di ognuno di essere attivo nell’apprendimento affinché si accenda la luce della mente, affinché i concetti possano venir costruiti all’interno in modo solido e organico…e che quello essere organico non discende dalla sequenzialità degli insegnamenti, dalla gradualità, bensì dalla rete di riflessioni, ragionamenti e argomentazioni che è possibile intrecciare se viene concessa la possibilità dell’operare in tal senso, dalla rete  ordita all’ interno della classe con tutte le sue problematiche, con tutte le sue componenti, con ogni persona portatrice di storia personale, cognitiva, affettiva, emotiva e via dicendo…

Eravamo in tante quel giorno in cui le studentesse hanno varcato la soglia dell’ aula, tante figure adulte, tante! Tutte preoccupate di ciò che stava per accadere (ma anche le bambine e i bambini lo erano…vedremo poi in che senso). Forse ci aspettavamo, pregiudizio normale, che ognuna fosse in attesa di giudicare. Anzi, di consolidare il proprio pregiudizio sulla scuola e il suo strano mondo!

Invece, è stato tutto molto diverso da come mi aspettavo io e credo anche le altre.

Intanto bambine e bambini si erano immediatamente posti nella condizione di chi vuole insegnare a chi deve imparare a insegnare! Immediatamente, dopo qualche atteggiamento innamorato verso le nostre belle e giovani studentesse, esse sono state letteralmente adottate e coccolate (accoglienza affettuosissima, piena di tenerezza e comprensione!). Con grande disponibilità, alunne e alunni si sono prodigati in spiegazioni che avevano l’aria di un atteggiamento di pura metacognizione che non può che inorgoglire una insegnante qualsiasi. Essi sono stati estremamente partecipativi: si è respirata un’ aria antica ma estremamente nuova di essere umano in situazione di rievocazione e pensosità consapevole.

Tutte/i hanno dato prova di “sapere” (altro che prove Invalsi!), di saper raccontare e raccontarsi, di sapere cosa sia ragionare tutti insieme, rispettosi degli altri, su apprendimento e ….insegnamento!

Indubbiamente, ho sempre avuto fiducia nelle bambine e nei bambini, nella loro capacità di rielaborare in modo autonomo, di creare connessioni inaspettate…ma l’ appurarlo  ora, in questi tempi assolutamente insensati di input pedagogici e didattici confusi e confusionari, mi ha regalato un nuovo piacere, una nuova emozione, rinnovato entusiasmo e un po’ di autostima (anche noi adulti ne abbiamo sempre necessità per andare avanti, ma ora in modo particolare!).

Ho ricevuto così conferma di un credo magistrale basato sulla assoluta e ineludibile certezza dell’importanza del clima di classe, dell’instaurare relazioni a prova di bomba, del lavoro cooperativo, della laborialità condotta in classe, senza esclusioni di alcun tipo e natura. Certezza sul fatto che nella scuola di base non funziona la didattica sequenziale impostata sulla triade “lezione, esercizio, verifica”. Non funziona!

Funziona la circolazione di ipotesi senza risposte preconfezionate. Funziona la “non risposta”, la “non risoluzione” da parte dell’adulto. Le bambine e i bambini sono addirittura entusiasti del “non ricevere risposta”, del poter “spaccarsi in quattro” per trovarla da soli, in modo autonomo. Ho visto un fiorire di riflessioni ad altissimo livello su grammatica, produzione di testi, oralità, comunicazione di vissuti, strategie per lo studio.

Funziona un approccio totalmente aperto dell’ insegnante che non guardi alle ipotizzate tendenze vocazionali, ma anzi “regali vocazioni” a piene mani a tutte/i! Le bambine e i bambini di questa età non hanno bisogno di personalizzazione. Infatti essi devono poter andare oltre se stessi e ricercare ciò che di sé non avevano neppure immaginato, fantasticato! Devono poter volare alto e oltre, per esplorare quanto sia bello scoprirsi diversi, nuovi, forti di esperienze culturali non orientanti! Questa della scuola di base dovrebbe essere proprio l’ esperienza del “disorientamento” per poter trovare in se stessi strade interiori e cognitive impensate. La scuola deve dare fiato a chi non ha respiro, o ce l’ha mozzato dalle situazioni di partenza. Quindi guai ad abbandonare l’individualizzazione per la personalizzazione.

Nel caso di bambine/i con storie personali complesse, poi, funziona tutto ancora di più. Letteralmente, scompaiono i “casi”. Ma l’ adulto deve dimenticare  se stesso, il proprio sapere…deve semplicemente farsi quasi invisibile culturalmente, deve saper tacere al momento giusto, deve saper “lasciare”, dare corda piano, ma inesorabilmente.

Con le studentesse abbiamo verificato la tenuta di attenzione delle bambine e dei bambini durante le attività: ebbene, se durante la lezione frontale, di qualsiasi tipo, anche in palestra, anche in movimento, essa risulta essere bassissima, in quella di coppia essa è inesauribile e altamente produttiva. La strategia “recupera” alla dimensione del lavoro e alla resa consapevole chiunque. L’integrazione avviene per stranieri e “casi”, anche in situazione di classe numerosa e rumorosa.

E’ chiaro che l’insegnante è guida, è proposta, è colei che gratifica e incoraggia, colei che“sa” (nessun bambino lo nega), tuttavia deve porsi in situazione di osservatore discreto, di “raccoglitore” di ipotesi per poi sventagliarle dosando sapientemente il proprio intervento.

Un’ altra convinzione mia e delle mie colleghe è quella della giustezza di puntare moltissimo sull’oralità, (non la nostra!), di “perdere tempo” in lezioni su lezioni facendosi mediatori di pensieri, fino al momento, alquanto posticipato, anche di anni, della classificazione, dell’ordine, della schematizzazione di ciò che si è dimostrato giusto e utile per proseguire con altra circolazione di idee.

Faccio un esempio banale: non occorre eseguire 2500 esercizi sul pronome e sul suo utilizzo se parlando, giocando, riflettendo sull’uso fin dalla scuola dell’infanzia lo si è “ trovato”, “provato”, riscoperto nel tempo! Capiterà di doverlo “mettere in ordine” sulla “carta” per ricordarlo insieme con tutte le sue modificazioni… lo si farà,  ma quella “carta” scritta soltanto allora, dopo l’esperienza, diventerà di supporto alla memoria quando ci si troverà in difficoltà.

Proseguendo nell’ esempio: schede, fotocopie sul pronome, fornite prima che esso sia diventato patrimonio delle menti in azione nel corso di migliaia di esperienze linguistiche, sarebbero inutili, sarebbero addirittura dannose, perché andrebbero a occupare lo spazio mentale di altre schede, fotocopie sull’ articolo, sull’aggettivo, ecc…Carta, non concetti! Non dico nulla di nuovo per gli studiosi di lingua, ma il dirlo da maestra, con il supporto dell’ esperienza, e crederci per via dei risultati, è quasi un grido di allarme per chi insegna. E’ l’ allerta per evitare la dispersione che si nasconde nelle pieghe di quaderni colmi di esercizi e parole, colmi di dati e nozioni forse fornite per facilitare e che invece creano guazzabuglio mentale.

Non mi piace l’elencazione di conoscenze e abilità delle Indicazioni, soprattutto per quella distinzione di “saperi” fra un livello di classe e l’altra, fra un ciclo e l’altro… Trovo che non abbia senso, che sia assolutamente improduttivo, depistante, didatticamente e metodologicamente parlando, anche se ad alcuni potrebbe sembrare  rassicurante…Tuttavia l’apprendimento non è sicurezza, non è una strada in cui ci sono le brave curve e i bravi rettilinei uno dietro l’altro, segnalati da bravi cartelli…

Apprendimento- insegnamento- persone procedono infischiandosene della regolarità, della segnaletica, della gradualità. Essi procedono per salti, per interessi sbocciati mentre l’atto accade, per scoperte fatte nell’uso dei “saperi”…procedono anche disordinatamente… e non se ne deve aver paura, perché il tempo per sistematizzare  arriva e arriva nel momento in cui una classe ha già alle spalle “sicurezze d’uso”.

A quel punto, allora, l’insegnante può guidare all’ordine, alla catalogazione delle scoperte…in ogni campo: dalla lingua alla matematica, alla geometria, alla storia…

E poi c’è tutta la partita della “valutazione” che dovrebbe essere largamente riveduta in funzione degli apprendimenti e non viceversa. Ma questa è un’ altra storia, e sappiamo quanto sia controversa! Eppure si dovrà cambiare sistema se si vorrà distruggere la perversa logica di una scuola dei voti, dei punteggi, una scuola che, soprattutto ai gradi alti dell’istruzione, sembra soffocata da programmi, compiti in classe, voti numerici, conteggi!

19 gennaio 2006

Claudia Fanti


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