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La dignità delle lingue minoritarie
La lingua albrisht

                                                 Le parlate locali: "farne lingue di cultura non è assolutamente corretto".
                                                 " Un loro uso elitario ha una funzione demagogica."
                                                                                                                  Francesco Sabatini
                                                                                    Corriere della Sera , 5 dicembre 2004, p.37

 

     La lingua materna è buona, bella e vera, perché è materna. Chi ha imparato a parlarla fin dalla nascita ha potuto conoscere per la prima volta l'essenza della moralità, della bellezza e della verità. Su quella matrice etica, estetica e gnoseologica ha probabilmente costruito, nella fase di formazione della sua personalità, tutta la sua visione del mondo; tale visione, penetrando di nascosto  nelle stratificazioni successive del processo di costruzione del nostro sistema di  valori etici, estetici e gnoseologici,  ha influenzato forse anche inconsciamente tutti gli atti della nostra vita. Come non coltivare lo studio di una simile fonte della nostra vita civile?

     Nel caso particolare dell'Albrisht,- lingua minoritaria parlata dagli alloglotti italo-albanesi -  la sua impostazione grafetico - fonetica , ricca com'è di quasi tutti i suoni delle parlate indoeuropee, rappresenta una base glossologica  adatta a  favorire un più fluido apprendimento delle altre lingue. Attribuisce a chi possiede quei suoni un vantaggio competitivo, nell'apprendimento etero-linguistico, rispetto a chi non li possiede. Se questo non è un pregiudizio etnocentrico, come e perché  non coltivare lo studio dell'albrisht?

    La possibilità di assumere una consapevolezza multiculturale e multietnica  e il conseguente vantaggio di poter  prevenire gli effetti negativi dei pregiudizi etno -anttropologici , consapevolezza e vantaggio che la diversità etnica e la dotazione bilinguistica offrono  agli arbresh fin dalla nascita,  non costituiscono  ulteriori buone ragioni per coltivare lo studio della lingua materna?

      Le considerazioni svolte sopra e alcune di quelle che saranno presentate di seguito sono talmente scontate da essere distribuite gratis dai cosiddetti  "sportelli linguistici" istituiti dopo l' ap provazione delle leggi regionali di tutela delle minoranze linguistiche. La loro ovvietà  viene qui valorizzata , come si vedrà in seguito, a scopo argomentativo.

      La fioritura nelle comunità arbresh, di interessi storiografici rivolti alla ricerca delle origini, alla ricostruzione di eventi e alla  individuazione di personalità   del mondo arbresh che hanno  dato  lustro alla comunità serve a legittimare le sue richieste ad essere riconosciuta  come parte integrante della comunità nazionale.Una simile richiesta è particolarmente evidente nell'ambito della ricerca storica sul contributo degli arbresh al Risorgimento  italiano. La ricostruzione genealogica intesa come indagine sulla  nobiltà delle proprie origini e del proprio passato è dettata dall'aspirazione all'auto riconoscimento e alla conquista di quella dignità  che nel passato anche non lontano la popolazione autoctona  negava agli "intrusi" arbresh.  Espressioni dispregiative come "cagnuoli",  motti di vera e propria istigazione all'omicidio preventivo come "si vidi nu ghieghiu  e nu lupu, ammazza prima lu ghieghiu e dpopu lu lupu" adottate (ieri e non dimenticate oggi) dagli autoctoni nei confronti degli arbresh calabresi,  anche se  non si traducevano quasi mai in azioni concrete , erano tuttavia sintomi iberbolici  di una volontà di segregazione, se non di esclusione delle comunità aebresh dai diritti di residenza nella  regione di antica immigrazione.

     Gli esponenti  arbresh dell'aristocrazia terriera e della borghesia delle professioni assumevano nei confronti della lingua arbresh una duplice posizione: da un lato, ingiuriati dal rifiuto e timorosi di non essere ulteriormente accettati, ma nello stesso tempo orgogliosi della loro diversità e del loro isolamento, non si piegavano ad usare il dialetto degli autoctoni per mescolarsi e mimetizzarsi con le  popolazioni locali; da un altro lato, scoraggiavano i propri figli a coltivare  non solo lo studio ma anche l'uso orale, in ambito pubblico, dell' arbresh e li esortavano  a parlare esclusivamente in italiano. In questo modo, dribblavano l'onta subita da parte delle popolazioni dialettofone calabresi  e ignorando la loro parlata, attribuivano dignità di lingua parlata e scritta esclusivamente all'italiano. La scuola faceva propria questa  censura  e costringeva  gli alunni delle elementari a soffocare l'istinto ad esprimersi  in arbresh, adottando severe misure punitive nei confronti di coloro che  trasgredivano il  divieto. La misura massima, la pena "capitale", era la bocciatura. Nei primi due anni della scuola elementare, gli alunni di estrazione contadina ed operaia (meno quelli di estrazione artigiana), erano i primi e gli unici a subire la duplice punizione di non riuscire a competere ad armi pari con i figli dei proprietari terrieri e dei professionisti borghesi, e di non riuscire a soffocare il proprio istinto "materno" che li portava irresistibilmente a parlare in arbresh, unico strumento a loro disposizione per capire e farsi capire. Simili comportamenti erano diffusi fin oltre la seconda metà del secolo XX,  Come non assecondare oggi il desiderio di rivalsa sociale coltivando lo studio dell'arbresh ? 

        Valorizziamo, a questo punto, a scopo argomentativo, l'ovvietà delle considerazioni svolte finora.

      Se l'arbresh ti permette di accumulare le conoscenze necessarie per produrre beni e servizi (intellettuali o materiali) e ti  mette a disposizione i mezzi per  convincere gli altri ad acquistarli, è un'ottima competenza: dunque è bene che tu impieghi il tempo utile a studiarlo. Ma se non ti  permette di raggiungere alcun obiettivo professionale, commerciale o di altra natura lavorativa e scambistica,  ciò significa che l'arbresh non possiede alcun valore economico   La conseguenza logica e morale è che, a dispetto delle considerazioni svolte sopra e   nonostante le leggi regioniali di rivitalizzazione delle lingue minoritarie, tu devi rinunciare ad attribuire all'arbresh un'importanza  tale che ti impedisca di impiegare il tuo tempo ad accumulare altre competenze. Allo studio dell'arbresh devi anteporre lo studio di quelle discipline che ti permettono di accumulare competenze atte a farti  produrre e  scambiare beni e servizi. A dispetto della Costituzione, delle leggi fondamentali di ogni Stato, delle norme consuetudinarie  di ogni Società civile, i disoccupati e gli indigenti sono sostanzialmente senza onore e senza dignità. L'onore e la dignità si conquistano con l'autonomia economica e con lo svolgimento di attività utili e moralmente legittimate dalla società civile. Non basta guadagnarsi il riconoscimento di dignità alla lingua arbresh per ottenere il riconoscimento di dignità alla persona che la parla.

     Il possesso di competenze linguistiche  nelle lingue economicamente, scientificamente, tecnologicamente e politicamente egemoni su scala mondiale conferisce dignità più di quanto non possa conferire l'arbresh,  perché aumenta il  tuo potere contrattuale nel mercato mondiale del lavoro e ti offre la possibilità di  scambiare le tue competenze  professionali, se le hai acquisite attraverso lo studio,  nella vasta area dell'intero  mercato mondiale.

Se, navigando nella Rete, provi a cercare notizie sul mondo albanese, in Italia o altrove, la prima notizia che ti viene offerta è la seguente:" la prostituzione è stupro a pagamento". Se questa è l'immagine - pilota dell'essere albanese nel mondo, ci si può rendere conto della forza contrattuale che l'opinione pubblica attribuisce al possesso dell'arbresh. Noi sappiamo che si tratta di un pregiudizio, ma chi ne é portatore non lo sa e agisce di conseguenza.

      La lingua materna è buona, bella e vera, ma se si corre il rischio di naufragio, per salvarsi, è necessario liberasi della zavorra, gettando in mare il superfluo e conservando solo lo stretto necessario alla navigazione; un simile sacrificio può garantirti un margine realistico di sopravvivenza, in un mare in tempesta.

     A proposito di contributo degli arbresh unghinjotra al Risorgimento, 

se la raccolta, l'esame e la valutazione dei fatti del passato volessero conquistarsi il blasone della nobiltà storiografica, dovrebbero procedere  con il rigore che tale nobiltà richiede e farci conoscere  -  se ci furono - anche  i vantaggi personali  che gli arbresh delle gerarchie militari trassero dalla loro partecipazione alle  campagne garibaldine. Quali erano le proprietà immobiliari (palazzi e latifondi) degli esponenti di più alto grado della gerarchia militare prima della loro partecipazione alle campagne garibaldine? Quali furono dopo ? Possiamo immaginare i moventi di carattere storico - politico, poiché sappiamo dell'arretratezza del regime borbonico, uno dei pochi di Ancien Regime, sopravvissuti in Europa dopo la Rivoluzione francese e dopo il 1848, che conservasse  un elevato coefficiente di repressività,  tale da soffocare ogni forma di libertà individuale e collettiva . Ma volendo collocare l'indagine nel contesto delle ragioni di adesione degli arbresh alla causa risorgimentale, sembra opportuno chiedersi: quale ruolo svolse l'esosità delle gabelle borboniche nel determinare latifondisti, braccianti, operai , contadini e intellettuali ad acquisire passione patriottica e ad  abbracciare la causa garibaldina? Quali furono le motivazioni ambientali, etniche, specificamente arbresh, che indussero  i calabro - albanesi, "i cagnuoli", a far propri gli ideali dell'unità e dell'indipendenza nazionale italiana?

      Se per mancanza di documenti e per scarsità di fonti storiche, siamo costretti a ridurre la ricerca del contributo risorgimentale degli italo-albanesi esclusivamente agli esponenti dell'élite intellettuale e militare che ha avuto la preoccupazione di lasciare tracce scritte della propria esistenza e del proprio operato, ebbene, assolviamo a questo compito con la diligenza e il rigore richiesto dal metodo della scienza storiografica. Forse in questo modo riusciremo perfino a rendere giustizia ai cinquecento volontari arbresh che oltre a sacrificare la vita per una patria putativa che li disprezzava, persero, nell'infinita guerra della memoria storica, anche il loro nome.

       Un discorso fuori dai denti, senza infingimenti e senza circonlocuzioni, sulla dignità delle lingue minoritarie dovrebbe essere svolto non dai moralisti dell'educazione interculturale o dai glottologi dalle "lingue tagliate", ma dagli esperti di mercato del lavoro locale, nazionale  e internazionale.

       In ultima analisi, considerato che abbiamo a disposizione oltre 100 miliardi di neuroni e che ne usiamo meno di 20 miliardi, se il bisogno di coltivare lo studio  della lingua materna è così impellente da non poterne fare a meno, si può dedicare ad essa uno spazio temporale sia nella sfera privata, sia in quella  pubblica, sempre che lo sfruttamento di una ulteriore parte degli 80  miliardi di neuroni inutilizzati sia compatibile con la scarsità di tempo curricolare disponibile nell'economia della didattica istituzionale e nella gerarchia di valori delle discipline scolastiche.

                                                                                                Antonio Sassone


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