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Ora ci siamo!
a scuola a due anni…e mezzo e a cinque anni…e mezzo
Riflessioni di Claudia Fanti, maestra elementare

 

Il 1° febbraio, con gli occhi incollati allo schermo televisivo, ho avuto la notizia che si potrà frequentare la scuola elementare a cinque anni e mezzo e quella dell’infanzia a due anni e mezzo. Per la verità, il giornalista è stato laconico ed evasivo, su questo punto, in riferimento alle modalità di attuazione e applicazione, ma ciò che non avrei voluto è successo. Anzi ci sarà commistione di più livelli evolutivi, vista la libertà di scelta da parte delle famiglie sull’iscrizione anticipata o meno delle/dei figlie/i!

Non che mi spaventi ormai più di tanto qualsiasi novità che coinvolga il nostro grado di scuola (ce ne sono state infinite negli anni), tuttavia mi sarebbe piaciuta, da parte del mondo adulto, che tanto sostiene di tenere in conto il rispetto per l’infanzia, una maggior cautela, un presa di posizione almeno più "attendista" nel decidere per chi non ha voce, un’indagine per ascoltare le voci e le problematiche di tutte le scuole, nessuna esclusa.

Quando si lavora da tanti anni con le bambine e i bambini si sa perfettamente che tutto si può fare e raggiungere con loro a qualsiasi età, ma il punto non è "il cosa" e "il quanto" verrà trattenuto nelle menti e nei corpi, il punto è in quale modo ciò avverrà, quanto sarà rielaborato in modo autonomo e non meccanico, in quali modi verremo percepiti noi adulti maestre/i, per quanto verrà conservato l’amore per il sapere e la scoperta, per la lettura, la scrittura, le "operazioni" matematiche, ecc…

Temo molto che la gradualità, il rispetto delle differenze, l’attenzione ai ritmi d’apprendimento e alla relazione subiranno uno sbandamento (per lo meno inizialmente), anche perché dovremo fare i conti con il contenitore e i contenuti, i quali, in qualche modo, ci verranno"dati"!

Noi non sappiamo con precisione cosa avverrà delle nostre esperienze, delle nostre fatiche per condividere i percorsi con le altre e gli altri colleghe/i, della ricerca di metodologie rispettose dei diversi stili d’apprendimento. Non sappiamo quante/i bambine/i "godranno"del nostro servizio in una classe…ma sappiamo dai vari documenti, che sono circolati in questo ultimo periodo, che nulla resterà come prima, a parte affermazioni in via di principio sui massimi sistemi e sui valori a cui tutte/i si ispirano!

Bene, ma in quali realtà, da nord a sud, saremo chiamate/i a lavorare?

Quali spazi? Quali strumenti? Quali agevolazioni di spazi, tempi ed economiche nello stabilire reali condizioni di continuità fra scuola dell’infanzia, elementare e media. Quali i curricoli (adeguati all’inserimento anticipato di bambine/i in tutti i tre gradi di scuola) senza abbassare i livelli in uscita?

Non abbiamo ancora portato a compimento su tutto il territorio nazionale le riforme in corso, abbiamo faticato a cambiare rotta per far sì che siano le persone delle bambine e dei bambini al centro della nostra opera di docenti e della società e ora tutto potrebbe involversi per lasciare il posto a probabili e preoccupanti "precocismi". Perché, nella pratica, temo che si concretizzerà questo: una scuola elementare stretta fra le esigenze del rispetto della giovanissima età delle bambine e dei bambini in entrata, e l’esigenza di offrire solide basi e strumenti validi per una scuola media che ha a disposizione soltanto due anni per recuperare eventuali svantaggi per orientare (l’ultimo anno di media sarà già proiettato verso il grado successivo!) alle scelte successive le/i ragazzi!

Avremmo voluto una lunga scuola di base (dall’infanzia alle superiori) unita e attenta alle dinamiche relazionali, al consolidamento degli apprendimenti (nessuno può pensare ragionevolmente che basti qualche verifica per effettuare un rigoroso controllo della tenuta e interiorizzazione a lunga scadenza di tutti gli apprendimenti effettuati dalla mente di una/un bambina/o!); una scuola rigorosa nell’evitare "forzature" cognitive, rispettosa delle difficoltà che molte/i bambine/i incontrano (difficoltà in aumento checchè ne dicano esperti vari, accademici, giornalisti, ecc…) a esprimersi, a reggere lo sforzo, a condividere, a prendersi cura di sé e delle proprie cose, a interessarsi al mondo reale e naturale, a raccontare e raccontarsi; una scuola che usa l’ "errore" come risorsa da cui partire per percorrere lentamente le autonome e individuali strade delle "risoluzioni". Invece sembra che lo scenario ci respinga indietro a una rinnovata esigenza di istruzione forzata in tempi ristretti e, oltre tutto, anticipati!

Visti il monte ore della quota nazionale settimanale d’insegnamento che avremo a disposizione nell’arco della settimana e forse il superamento della classe (come unico punto di riferimento: V. "Autointervista"), visto il probabile "sfaldamento" del team delle insegnanti di classe in favore di un coordinatore di classe factotum, temo che la scuola del futuro difficilmente riuscirà a rimanere o a diventare quella delle relazioni positive, dell’apprendimento costruito insieme per gradi e in autonomia, della metacognizione, dell’attenzione ai processi prima che agli apprendimenti, dell’ascolto attivo, della circolazione di idee lenta e mirata per addivenire a una sintesi di tutti i contributi delle compagne e dei compagni, della creatività di corpo e mente che rielaborano trasversalmente gli apprendimenti delle varie discipline-serve della persona e non padrone!

Non vorrei fosse già un ricordo ciò che tentiamo di praticare ora: imparar "teatrando" e argomentando insieme, mentre il nostro sguardo, incrociato con quello delle/dei colleghe/i (alla pari, nelle situazioni migliori), si posa sulle/bambine e sui bambini, osservatore e attento!

Vedo, nel futuro, schiere di bambine/i speranzosi, "incantati", con il loro sguardo colmo di richieste (spesso rivelatore di angosce esistenziali di vario tipo), con i corpi desiderosi di "misurarsi", ridotti a esecutori, a polli d’allevamento in batterie "intensive" (le nostre "povere" aule), magari davanti a un computer (che il coordinatore attento e "superprogettuale" ha predisposto!) e mi chiedo se basterà quell’accoglienza del primo anno di elementari! E il secondo anno? E il terzo?…

L’accoglienza non dovrebbe essere un "tempo", bensì uno stile fino all’ università e anche all’università! E che senso ha accogliere per poi dover addestrare perché manca il tempo per consolidare gli apprendimenti, nei vari ambiti disciplinari, in modo meditato e personale?!

Rileggendo i "Nuovi orientamenti" della scuola dell’infanzia, ho provato una gran malinconia: sono un esempio di quello che tutta la scuola sarebbe dovuta essere, che ha tentato di essere, che stava faticosamente tentando di essere (anche potando gli eccessi, dei pur belli, programmi della scuola elementare), ma che corre il rischio di non poter più essere!

Corriamo seriamente il pericolo che l’ inscindibile venga scisso: la mente qua, il corpo là, il cognitivo qui, l’affettività là; la collaborazione fra docenti (alla pari, corresponsabili dell’educazione, dell’organizzazione, del rapporto con i singoli e la collettività) ridotta a una serie di riunioni di progetto dirette dal coordinatore "superspecializzato" in valutazione, rapporti con le famiglie, didattica, uso dei tempi e dei modi, ecc…(per la figura del coordinatore di classe, v. "Autointervista per ripercorrere equivoci e rispondere a domande" del Prof. Giuseppe Bertagna)

E poi, vorrei dire una parola sul "disagio": non mi pare che ancora nulla sia stato pensato per intervenire quando si manifesta in tante forme e modi; ancora una volta, nei documenti di proposta della riforma, tende a "dissolversi" nelle "categorie" del disimpegno, dell’indisciplina, del comportamento o difficoltà d’apprendimento da "sanzionare" in qualche modo, magari anche con la bocciatura. Ancora una volta alla scuola sembra non rimanere altro che prendere atto dell’esistenza del disagio, valutarlo "freddamente", senza poter assumersi in prima persona la responsabilità di decisioni d’intervento mirato per combatterlo in tempo. Ciò mi è sempre sembrato una fuga: come possiamo lasciare che il tempo passi nelle vite di bambine e bambini senza aver dato loro una mano per superare disturbi di vario tipo: difficoltà (gravi) di percezione, discriminazione, dislessie, disgrafie, discalculie, ecc…?

Perché non viene data fiducia alle/ai docenti che ogni giorno vivono dentro di sé la sofferenza di veder crescere alunne/i con potenzialità grandi, prigioniere/i di disturbi che si potrebbero affrontare con interventi specialistici che hanno mostrato la loro validità, ma che possono essere richiesti soltanto nel caso in cui famiglie molto sensibili e motivate diano il consenso? E se le famiglie non sentono l’esigenza di collaborare? Vogliamo continuare a fingere che il disagio sia sempre superabile con la buona volontà?!

E sull’handicap? Questo settore andrebbe potenziato, proteggendolo da qualsiasi tentazione di "economia".

Sull’ argomento si dovrebbe essere tutte/i d’accordo, no?

FO, 2 febbraio 2002


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