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Il peccato originale è un simbolo superato?

di Orazio Auriemma

Prendo lo spunto dall’ampio lavoro del prof. Cordero sulle “fiabe religiose” ([1]) e da un suo articolo comparso sulla Repubblica il 13 luglio 2005 ([2]) per parlare del peccato originale, tema pertinente soprattutto quando incombono guerre e distruzioni, alle quali si aggiungono, nei nostri giorni, disastri ecologici e mutamenti climatici. Siccome entra in causa l’uomo e la sua attitudine al male tanto inveterata e pervicace da non arretrare neppure di fronte al pericolo dell’autodistruzione della specie e forse della vita stessa nel pianeta, l’argomento dell’origine del male, della dicotomia bene/male, trova nella tradizione culturale nostra una risposta archetipica nel mito ([3]) biblico del peccato originale.     

L’ autore, tra il serio e il faceto, definisce il peccato originale “trasgressione d’un tabù alimentare”. Attribuisce a  S. Agostino il pensiero che sia invece “una lue connessa agli organi genitali”, talchè tutta la tradizione cattolica si sarebbe poi adoperata per liberarne la Madonna, obiettivo raggiunto mediante il dogma dell’ Immacolata Concezione del 1854. In sostanza egli ritiene che il peccato originale, come il peccato degli angeli ribelli e il peccato umano in genere, trovino la logica spiegazione nel concetto di predestinazione, intesa come preordinamento del male e del bene da parte di un Dio creatore che si sarebbe compiaciuto della sua creazione soprattutto perché “il brulichio di cavie umane in preda a tormenti eterni”, nell’ inferno, “giova alla sua gloria”. In altri termini il quadro della creazione appare all’ autore come inserito “nella sfera dell’ horror”.

Non tutta la tradizione cristiana seguirebbe questo solco teologico avviato da S. Agostino e dopo di lui ripreso e portato alle estreme conseguenze da Calvino e Giansenio. Tuttavia  coloro che hanno argomentato sul male, permesso ma non voluto da Dio, e sulla “grazia sufficiente” per salvarsi (S. Tommaso), e i teologi che l’ autore considera inclini al  paradosso (S. Anselmo, Pier Lombardo, Pascal, secondo i quali Dio sceglie gli eletti ma tutti possono salvarsi), vengono da lui accomunati nella valutazione di “ipocriti” che “coltivano un’ eloquente schizofrenia teologale”. Egli asserisce che “l’ etica, prodotto razionale, [che] non ha niente da spartire col terrore religioso” non possa fondarsi sul Dio carnefice che crea l’ inferno per infierire sulle sue creature anche oltre la morte. Parafrasando Pier Lombardo che “in etica ragiona bene”, l’ autore dichiara: “l’ atto buono o cattivo resta tale indipendentemente da chi comanda o vieta, fosse anche Dio”. Il criterio etico sta nella recta ratio, la quale è tale “quando uno l’ abbia usata come meglio può”. La Chiesa –conclude l’ autore- , pur in tempi come gli attuali che tendono ad  “un impetuoso revival dogmatico-mistico”, “non pretenda il monopolio del discorso etico e se può riveda il formulario dogmatico nascosto negli armadi”. Non sembra tuttavia che egli consideri  realizzabile davvero un ripensamento dogmatico da parte dei tradizionalisti assistiti dai “clericali laici” (la vicenda referendaria sulla procreazione assistita ([4]) fa da sfondo a queste sue riflessioni). Cita inoltre un punto teologico rilevante che a suo modo di vedere ostacolerebbe alla radice ogni ripensamento dogmatico: “tolto il mito del peccato d’ Adamo…. resta in aria il Nuovo Testamento: perché il Figlio s’ incarna e muore sulla croce se gli uomini non sono animali del diavolo….?”.

Ho molto rispetto per il prof. Cordero, noto per i suoi studi giuridici e per la sua produzione scientifica nell’ambito delle scienze giuridiche. La sua escursione nel terreno religioso è curata con lo stesso impegno spaziando per lungo e per largo nel solco profondo della tradizione giudaico-cristiana, filosofico-teologica e biblica. Le mie osservazioni  sono suggerite dal suo modo di affrontare il problema  e dall’ interesse comune all’argomento del male prodotto dall’uomo.

Ciò premesso, esprimo qualche perplessità sull’ orizzonte teologico considerato dall’autore, limitato al periodo che intercorre tra S. Paolo e il Concilio di Trento. Non vi è dubbio che la dogmatica sul tema che interessa non ha avuto ulteriori sviluppi. E’ pur tuttavia evidente che il magistero papale e conciliare non si limitano alla ripetizione del dogma e forniscono strumenti di comprensione per una interpretazione attualizzata della stessa dogmatica. In questo contesto si iscrive la considerazione che la religione cristiana non è tanto la religione del Libro, ma è piuttosto la religione della Parola. Il  Verbo incarnato è la persona nella quale la religione trova fondamento. La Parola, che ha parlato e compiuto atti raccontati per estrema sintesi nel Vangelo, è stata compresa successivamente nel tempo mediante lo sforzo collettivo compiuto dalla tradizione ecclesiale. Così si è atteggiata la chiesa cattolica; le chiese separate hanno un diverso rapporto, più diretto, meno mediato col Libro. Diverso è pertanto nelle chiese cristiane il significato ecclesiale dell’ interpretazione della Parola. Il lavoro d’interpretazione gelosamente custodito dalla chiesa cattolica è il risultato di uno sforzo collettivo, prevalentemente conciliare,  sanzionato come vero ed efficace per tutti dalla gerarchia ecclesiastica. Le verità così conquistate nel cammino bimillenario della storia cristiana (i dogmi) testimoniano lo sforzo interpretativo compiuto dall’ ecclesia per comprendere l’annuncio della Parola ([5]). Ai dogmi fanno da corollario le riflessioni che i religiosi, in special modo i papi, e gli studiosi dei testi sacri  portano sul complesso organismo costituito dalla Parola rivelata e dalle verità di fede sancite dai Concili ecumenici.

Tutto ciò costituisce a mio avviso la premessa per accostarsi ai temi religiosi rispettando la storia del percorso col quale è stata costruita la catechesi cristiana indipendentemente dal fatto che si aderisca o meno alle risposte fornite a questi temi dalla fede cattolica.

In questo quadro si inserisce la mia attenzione al peccato originale nel contesto biblico della ribellione degli angeli e dell’introduzione del male nella creazione. Non mi sembra accoglibile l’ appiattimento letterale sulla simbologia alimentare né  risulta evocato un tabù sessuale e la relativa trasgressione. Se i testi antichi non meritassero il rispetto dovuto anzitutto alla loro espressione letteraria e non richiedessero lo sforzo di approfondire i significati delle immagini e dei simboli con i quali giungono a noi, rischieremmo davvero di non capire nulla. Non che l’ impresa della comprensione sia facile. L’ esegesi biblica accompagna il cammino della lettura critica dei testi e costituisce il supporto tecnico-culturale ineludibile per il lettore dei nostri giorni. Le immagini della scena della creazione dell’ uomo sottolineano la sua innocenza ([6]) e, in concomitanza con la trasgressione, la conquista della conoscenza del bene e del male ([7]). Per capire cosa significa questa nuova condizione in cui viene a trovarsi l’ uomo, ricordiamo Salomone e la sua richiesta di saggezza ([8]). L’ accesso all’ intelligenza tutta intera della realtà oltre a superare il limite beato dell’ innocenza originaria costituisce inevitabilmente l’ ingresso nella dicotomia bene-male.  Nel Genesi la drammatizzazione è composta di quadri nei quali è condensata l’ esperienza straordinaria  della perdita dell’ innocenza originaria e dell’ ingresso dell’ uomo in una polarità prima per lui inesistente: la possibilità di agire bene e male. Alla radice di questo ingresso sembra esprimersi l’ invidia, sentimento ambivalente primitivo e nuovo nel creato che è posto alla base di ogni male ([9]) e che ripropone nella vita dell’ uomo l’ esperienza compiuta dagli angeli ribelli ([10]). Il simbolo si compone di tre aspetti interconnessi tra loro: la capacità di capire e scegliere tra opzioni diverse e opposte (libero arbitrio); l’attivazione del desiderio di possesso dell’oggetto/bene dell’altro (invidia) per impadronirsene; l’uso della capacità di scelta per attivare o reprimere il desiderio invidioso, (articolazione del pensiero per escogitare i mezzi adatti alla soddisfazione dello scopo invidioso; riflessione tendente alla repressione dell’invidia in vista di un bene superiore o diverso).

Il peccato originale è il peccato dell’ uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio ([11]), che nel momento in cui esperimenta la conoscenza del reale e sente dentro di sé l’ opportunità e il piacere che gli sono offerti di agire in un modo ma anche nell’ opposto, di fare il proprio bene e il bene dell’ altro ma anche il proprio bene a scapito dell’ altro, supera lo stato dell’ innocenza iniziale (si aprono i suoi occhi) e non esita a compiere il male per il piacere che ciò gli procura (la storia umana inizia col duplice delitto: della perdita dell’ innocenza e dell’ ingresso nella sfera cognitiva ed emotiva dei conflitti; dell’ uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino).

Sorgono da sempre le domande sul ruolo del Dio creatore nella ribellione degli angeli e dell’ uomo, sulla presenza del male nel mondo, sulla dannazione post-mortem. E’ mia opinione che questi temi si tengano tra loro e tutti derivino dall’ introduzione nella creazione della capacità di alcune creature di essere libere. Il continuum dell’ esperienza biologica (animali, uomini) e  spirituale (angeli e uomini) avrebbe assicurato alla creazione il carattere dell’ innocenza primigenia non scalfita dalla possibilità di accedere al conflitto, alla presenza del male di fronte al bene, alla possibilità di compiere scelte non sorrette dalla naturale opzione verso il bene. Certamente gli uomini avrebbero goduto dei beni della terra e della presenza degli animali ad essi inferiori, agendo con la spontaneità, naturalmente buona, voluta dal Creatore. Anche gli angeli, figure spirituali incorporee, avrebbero potuto essere concepiti con la naturale inclinazione al bene senz’ alcun desiderio diverso da quello positivo della gratitudine e dell’ amore per il loro Creatore.

Il Dio biblico non ha concepito questo tipo di creazione. Ha introdotto una variabile, la libertà degli angeli e degli uomini, che lo avrebbe limitato nell’ espansione della sua onnipotenza nel momento stesso in cui sarebbe entrato in azione il libero agire di queste sue creature. In ogni caso, sia che le scelte originarie delle creature fossero state per il bene o per il male, l’ onnipotenza di Dio, essendosi autolimitata, non avrebbe interferito. La via imboccata da coloro che optarono per la gratitudine (angeli buoni) restò per loro la via della scelta definitiva e della loro fissazione nell’ amore di Dio. La via dei ribelli (angeli decaduti o demoni) fu la via della definitiva invidia, del non riconoscimento di Dio come meritevole di amore. Le due immagini ci consegnano un’ eternità che resta fissata nell’ amen pronunciato con l’ atto libero originario. La figura di un tempo irrigidito in un istante è più vicina all’ idea stessa di Dio che non a quella dell’ uomo. Gli angeli buoni e cattivi sono figure di una dicotomia decisoria che non appare scalfita dal tempo.

La libertà dell’ uomo ha avuto una duplice conseguenza: sul piano, diremmo così, ontologico, la scelta di esperimentare il male (ad iniziare dall’ invidia) anziché di scegliere il bene (la gratitudine per il bene ricevuto e il piacere di fare il bene) ([12]) è stata lo stigma della natura umana che per sempre resterà capace di prediligere il male rispetto al bene ma anche di compiere la scelta inversa; sul piano temporale la libertà dell’ uomo si ripropone ad ognuno come duplice possibilità, di compiere il bene e il male. Se dunque l’ uomo, divenuto capace della conoscenza del reale, può optare per il bene e per il male, ha anche la possibilità di compiere le scelte che perseguano il miglioramento del proprio essere nel mondo. Il capitolo Redenzione si inserisce in questa prospettiva di conduzione del  percorso storico umano verso la strada del Regno, che fu iscritta nell’ uomo (creato ad immagine e somiglianza di Dio) e verso cui gli uomini come singoli e come umanità, secondo il Vangelo, sono attratti dal Creatore.

Citando S. Paolo, S. Agostino e altri ancora fino a Giansenio, il nostro autore si dilunga sul tema forte che gli consente di pervenire alla concezione di un Dio creatore del male, la predestinazione. In realtà è difficile negare la conoscenza da parte del Creatore delle conseguenze della creazione, qualora fosse stata introdotta in alcune creature la variabile della libertà di pensiero e di azione. Pertanto è impossibile sfuggire alla conoscenza, da parte dello stesso Creatore, di tutta la storia degli uomini e del pianeta da loro abitato.                                                                                                                                          Al tema della predestinazione si accompagna il tema dell’ inferno. Il nostro autore ne parla con apparente orrore, evocando le immagini di tremendo dolore molto radicate nella nostra tradizione, anche se oggigiorno non sono più attuali. L’ inferno è da lui presentato come il luogo del castigo perpetrato sadicamente dal Creatore alle sue creature: nulla a che vedere col Dio evangelico della misericordia e del perdono. La rappresentazione sconta le reminiscenze medievali e si radica sul concetto di tempo, che fa pensare a una durata appunto continua e senza fine. Io penso che sul piano ontologico meglio si coglie l’ aspetto della scelta da parte della creatura (angelo, uomo) di separarsi deliberatamente dal disegno di Dio. L’ inferno appare allora soprattutto come il modo di essere di coloro che si separano deliberatamente e volontariamente da Dio (dal bene, dalla carità) ([13]).

Poiché la storia umana è tutta pervasa dal male e dal dolore, è ragionevole chiedersi perché Dio abbia voluto la libertà dell’ uomo e le sue, spesso orrende, conseguenze. A me sembra che una risposta possa venire continuando a riflettere sui due scenari anzidetti  della creazione: a) creazione come spettacolo degli animali, delle piante e degli uomini, determinati, ciascuno nel suo ordine, nel continuum  dell’ esperienza biologica e di un’ esperienza spirituale a senso unico (coattivamente inserita nella via dell’ innocenza e dell’ attuazione del bene, rigorosamente rispettosa del disegno di Dio); b) creazione come dotazione degli uomini della capacità di compiere scelte libere  e come rischio, previsto, che le loro libere scelte sarebbero state spesso così cattive da richiedere –secondo l’ annuncio evangelico- la discesa di un Redentore e il lento cammino dell’ umanità verso il Regno. La prospettiva evangelica sembra sostenere questa idea relativa allo scopo della creazione di creature intelligenti: concepire il Regno di Dio, nella dimensione cosmica e in quella individuale, non come un dato acquisito ab aeterno da tutto il Creato, ma come il punto di arrivo di un processo, della dialettica fra le tendenze opposte, rispettivamente al bene e al male.

La chiave per entrare nel significato del mito biblico del peccato originale la si può trovare, a mio modesto avviso, riflettendo sull’idea di libertà. Prescindendo, per un momento almeno, dalle conseguenze che questa scelta di libertà da parte del creatore ha comportato e, ahimè, sta comportando e comporterà nella storia umana e del mondo, è possibile apprezzare il valore dell’idea che parrebbe all’origine della nostra specie. Escludendo tuttavia la prospettiva escatologica offerta dal Vangelo, risulta  prevalente il rifiuto di un Dio che si sia divertito a riempire il creato del male che compiono le sue creature. Per serietà di pensiero non si può non cogliere comunque la gerarchia dei temi biblici che sono connessi col tema del peccato e del male. Prioritario è il tema di un Dio creatore. Seguono a cascata le altre tematiche: della libertà quale requisito ontologico umano, del peccato originale, della redenzione e dell’avvento del Regno. La mitologia biblica si fonda sull’ esistenza del Dio creatore. Come La Pira ([14]) diceva conversando tra il serio e il faceto: “o Dio c’è o non c’è; ma siccome c’è, …”.

Tutti i temi conseguono a questo primo tema e alla risposta che riceve. Anche se lo sforzo compiuto dalla cristianità sulla scorta della lettura evangelica e biblica di fornire delle risposte soddisfacenti ai tanti temi che assillano gli uomini sulle origini e sulla fine dell’umanità e del mondo è stato ragguardevole, la domanda assoluta è quella a cui rispondeva La Pira. Da questa domanda e dalla relativa risposta, quale che sia, non si prescinde per capire alcunché sull’esistenza dell’uomo e del mondo. Subito dopo sorge la domanda sulla specificità dell’essere umano e sul peso di dolore e di male che il suo essere uomo comporta. Il simbolo del peccato originale può ancor oggi offrire la chiave per rispondere alle domande angosciose che accompagnano la storia del bene/male prodotto dall’uomo nel mondo, la storia cioè della malvagità dell’uomo e della sua bontà.

21 luglio 2006


 

[1] - Franco Cordero, Fiabe d’entropia, Milano, 2005, in particolare p. 94-104.  L’ autore tratta delle questioni religiose alla stregua di fiabe, cortesemente sussurrando: “niente d’ irrispettoso: ‘fabula’, nel senso latino, ossia ‘res divulgata, sive vera sit, sive falsa’”.

[2] - F. Cordero, Etica e chiesa, La Repubblica, 15 luglio 2005, p. 38-39.

[3] - Uso il termine mito e suoi derivati nel senso di scena simbolica. La simbologia biblica si avvale del linguaggio immaginifico proprio delle epoche e delle civiltà nelle quali i testi sacri sono stati raccolti, tramandati e scritti.

[4] - Referendum sulla procreazione assistita, 12-13 giugno 2005.

[5] - Non è questo il luogo per parlare di dogmatica. Mi preme soltanto accennare che i dogmi non ammettono le claques dei tradizionalisti e dei modernisti; derivano dal “consensus ecclesiae”, che si è espresso nei Concili e che è stato lungamente acquisito anche per la promulgazione dei dogmi così detti papali e mariani, dell’ Immacolata e dell’ Assunta  (cfr. enciclica Pio IX, “Ubi primum”, 2.2.1849; bolla Pio IX , “Ineffabilis Deus”, 8.12.1854; costituzione apostolica Pio XII, “Munificentissimus Deus”, 1.11.1950); sono i punti di arrivo della lenta e faticosa elaborazione che costituisce la tradizione ecclesiale.

[6] - “Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna” (Gn 2,25).

[7] - “Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?» (Gn 3, 9-11)”.

[8] - “Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (Re1, 3,9). “Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente”(Re1, 3,12).

[9] - “Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn, 1,4-5).

[10] - Isaia 14, 12 segg.; Apocalisse 12,7.

[11] - Papa Woitila, dopo aver ricordato nel suo Intervento sull' EVOLUZIONE rivolto ai  Membri della Pontificia Accademia delle Scienze riuniti in Assemblea Plenaria il 22 ottobre 1996 che “la Rivelazione ci dice che [l’ uomo] è stato creato a  immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1, 28-29)”, prosegue citando  San Tommaso: “la somiglianza dell'uomo con Dio risiede soprattutto nella sua intelligenza speculativa, in quanto il suo rapporto con l'oggetto della sua conoscenza è simile al rapporto che Dio intrattiene con la sua opera (Summa theologica, I-II, q. 3, a. 5, ad 1)”.

     Sul rapporto possibile fra evoluzionismo e creazione oltre all’ Intervento anzidetto di Papa Woitila, cfr. Pio XII, enciclica  Humani generis: “il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente sia Dio).”

[12] - Mi sembra interessante una lettura filosofica delle idee espresse su questi argomenti dell’invidia primordiale e della gratitudine da  M. Klein (Invidia e Gratitudine, Firenze, 1957) e da E. Fromm (Avere o essere, Milano, 1977). Distinguendo fra metodo psicanalitico e dottrina filosofica è possibile trarre da questi autori suggerimenti utili (cfr. al proposito: Roland Dalbiez, La méthode psychanalitique et la doctrine freudienne, 2 voll., Paris, 1949). Per una riflessione ulteriore sui medesimi temi indico: E. Panizon, L’invidia, la gelosia e l’amore di Dio, www.vitacristiana.it

[13] - Catechismo della Chiesa Cattolica – Compendio – nn. 212-213, Libreria Editrice Vaticana, 28.6.2005.

[14] - Giorgio La Pira, professore, sindaco di Firenze (1904-1977)

 


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