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QUALE DIDATTICA OGGI?
Riflessioni a margine di un articolo di Marco Lodoli

Ho letto con molto interesse il bell’articolo di Marco Lodoli su La Repubblica del 4 ottobre. Mi è piaciuto lo stile discreto, onesto e preoccupato per la situazione in cui, secondo l’autore, si trovano gli studenti contemporanei. Mi ha offerto lo stimolo per parlare di qualcosa che da tempo mi sta a cuore: quale didattica oggi?

Ho "viaggiato" con il cuore e con la mente a ritroso nel tempo della mia attività di maestra, fino ai tempi ormai "antichi" degli anni settanta, quando la scuola scoprì il valore del sociale, dell’attualità, e scosse le proprie certezze in materia di rigore e schematismi sia per ciò che riguardava il rapporto docente-discente, sia per le modalità di insegnamento-apprendimento, sia per i contenuti stessi delle discipline e delle materie.

Ero molto giovane e mi piacque ciò che accadeva: respiravo quell’aria di libertà un po’ incosciente forse, ma proficua per la creatività e l’estro di un’insegnante entusiasta e desiderosa di essere capita e di capire le piccole persone che si trovava di fronte.

Per anni e anni su quello slancio ho costruito e mille volte distrutto certezze e modi di insegnare e rapportarmi. Per anni e anni ho dovuto correggere il tiro in ogni ambito del mondo scolastico e fare i conti con i miei errori e quelli degli altri nel rapporto con tante generazioni di bambine e bambini di ogni condizione sociale e…psicologica.

Ora, una posizione vincente è quella che mi porta a partire dal "materiale" umano che ho accanto senza soffermarmi troppo sulle cause che a volte l’ hanno distrutto e ghiacciato mentalmente.

Ho imparato, strada facendo, che, da me, le bambine e i bambini vogliono alcune cose: entusiasmo, apertura, schiettezza (nel bene e nel male), capacità di perdere tempo nell’ascolto, e tanto tanto rigore nel pretendere da loro. Sì, esse/i vogliono esattamente questo: un rigore quasi pedante nella pianificazione delle attività di rielaborazione dei dati forniti dalle esperienze che viviamo insieme. Esse/i non sanno cosa farsene di un’ "accoglienza" infantile nei modi, di una maestra-mamma-nonna-confidente-amica…Esse/i vogliono che io conosca i loro problemi e che su quelli io lavori con grande sincerità, senza infingimenti, senza troppi riguardi neppure per le loro famiglie a cui, a volte, si oppongono (anche se in modi sconosciuti e non riconosciuti dagli adulti) sapendo già quali sono le cause dei loro problemi!

Non è facile pensare all’infanzia in questo modo, perché preferiamo immaginarcela serena, un po’ scioccherella, un po’ sentimentale…Eppure le/i bambine/i sono lucidissime/i nelle analisi che fanno del mondo adulto che le/li circonda.

La/il bambina/o proveniente da un ambiente difficile sa benissimo di essere svantaggiata/o in diverse "operazioni" di passaggio dal concreto all’astratto e nel linguaggio. Lo capisce subito perché procede osservando il mondo che la/lo circonda e lo scopre differente da sé e nemico. A scuola si aspetta le soluzioni ai suoi problemi, anche se non sa chiederlo. E’ per questo motivo che bisogna agire in modo assolutamente rigoroso senza che noi ci abbandoniamo ai sentimentalismi, ai bamboleggiamenti e ai lamenti del tipo "ohi me lasso!"

E’ in una concatenazione ininterrotta, rigorosissima e snervante, per l’adulto (ma rassicurante per le bambine e i bambini), di ESPERIENZA, VERBALIZZAZIONE ORALE DELLA STESSA, RIORDINO DEI DATI DELL’ ESPERIENZA CON LA COLLABORAZIONE DELL’INSEGNANTE, ancora RIORDINO A GRUPPI E A COPPIE DEI MEDESIMI DATI, UTILIZZO DEGLI STESSI PER UN’ALTRA VERBALIZZAZIONE ORALE, SCRITTURA A COPPIE DI UN TESTO, SCRITTURA INDIVIDUALE, RIUTILIZZO DEGLI APPRENDIMENTI APPENA CONSEGUITI IN ALTRO CONTESTO, LETTURE CONTINUE E SCELTE IN BASE AI TEMI AFFRONTATI, che bambine/i possono superare molti ostacoli e riguadagnare un’autostima persa in tenerissima età.

Quando bambine e bambini si rendono conto che non si nasce con il saper esprimersi, ma che la costruzione del pensiero è lì a portata di mano e che, se si vuole, lavorando in un clima sereno di reciproca fiducia fra pari e adulti, si arriva al successo, esse/i ragionano e provano, riprovano, tentano e ritentano mille volte mille con una caparbietà inimmaginabile per chi non vede! Riescono ad amare anche l’analisi logica e grammaticale purché sappiano che serve e per che cosa! Guai a chi togliesse questi strumenti alle/ai bambine/i più deboli: le/li imprigionerebbe nella gabbia dell’inespressività.

In rete, nelle nostre programmazioni, nei progetti più o meno mega, a cui si ricorre per inserire bambine/i in difficoltà o straniere/i, si legge un richiamo all’accoglienza, alla convivenza democratica, all’ascolto di famiglie e studentesse/studenti, di giornate dell’amicizia o della integrazione…ma non si legge mai che la persona, nella sua individualità, ha un estremo bisogno per sbocciare, di sentirsi brava, competente, di capire e saper comunicare con le parole; non si legge mai che le/i bambine/i hanno bisogno di silenzi, della musica delle proprie parole che parlano di sé, della scrittura delle proprie opinioni che fluidamente scorrono sulle pagine e che quelle pagine c’è qualcuno del proprio gruppo che le ascolta leggere e si emoziona esprimendo la propria condivisione…

Mai come ora ho trovato soddisfazione nel mio difficile lavoro, lavoro che paradossalmente è divenuto più solitario che in passato, proprio ora che si parla tanto di collegialità, di dialogo con le famiglie! Solitario anche perché l’insieme delle persone che vivono l’universo scuola, a volte, perde di vista l’essenziale: la persona con il suo desiderio di dire "son qui", con la sua aspirazione all’affermazione e a una democrazia reale in cui l’essere si espande e chiede di essere ascoltato da altri esseri compagne/i di viaggio.

Quando ho avuto l’occasione di trovarmi in qualche "giornata" organizzata per qualche nobile motivo, mi sono venute in mente certe megafeste in cui ci si perde, perché ognuno vuole far mostra della propria esteriorità, così scompare l’anima delle persone!

Nella scuola c’è bisogno di tutto? Di momenti all’aperto, al chiuso, di feste e di esposizione di ciò che si fa?

Forse, non so. Credo però che la cosa di cui c’è più urgenza sia il raccoglimento sulle idee che nascono, sui racconti delle bambine e dei bambini, la riflessione nostra di adulti su cosa sia opportuno fare per non lasciar cadere neppure il più umile dei pensieri detti dalle alunne e dagli alunni e da quelli partire per direzioni grammaticali, matematiche, scientifiche, storiche…Ma partire! Mai lasciare che tutto divenga vago, lontano, o che si perda nel rumore delle feste esteriori, delle uscite didattiche, dei concorsi con premio in denaro, delle proposte avulse dal contesto di riflessioni attivate dentro la classe con le/i compagne/i, con l’insegnante che media e stimola al dare un senso alla circolazione di idee.

E’ così "alto", importante, lo scambio di idee, sentimenti, impressioni…nel "segreto" giardino della classe, in cui tutto è pensiero sussurrato, condiviso. E’ così forte l’emozione che provano le/i bambine/i quando sanno farsi intendere e intendere: è tanto forte che esse/i amano lo sforzo che devono fare per raggiungere il piacere della comunicazione!

Bambine/i straniere/i, alunne/i inserite/i provenienti da realtà disagiate, altre/i che manifestano difficoltà di vario tipo fioriscono e raggiungono competenze elevate soltanto se l’insegnante o le/gli insegnanti della classe si fermano a ricercare strade e momenti didattici "disegnati" su misura per ognuna/o di loro. Altrimenti è l’abbandono mascherato da innovazione.

FO, 4 ottobre 2002

Claudia Fanti


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