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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Rimpianti di riforme non fatte

di Francesco Butturini

Rimpiango quell’anno andato perduto, dall’approvazione della legge 10 febbraio 2000 n. 30 di Berlinguer e la fine della legislatura. Venne abrogata a stretto giro di legge; e, a seguire, anche la legge 28 marzo 2003 n. 53  Moratti fu stoppata.

      Perché rimpiango due leggi così diversa tra di loro, anzi: quasi opposte, dichiarando, tuttavia, la mia decisa preferenza per la legge 30?

      Perché quelle leggi poggiavano su una filosofia della Scuola, su un’idea, forse di più  per la legge 30, per un ideale di scuola.

     Quello che oggi sta avvenendo non ha alle spalle se non la necessità dei tagli e la altrettanto stringente necessità di tagliare. Ma non vi scorgo né filosofia né idealità né un’idea di Scuola nuova.

     Che la nostra Scuola sia poco europea ce lo dicono le tante raccomandazioni del parlamento e del consiglio europeo, le indagini e le statistiche ocse.

      Che nella Scuola italiana ci siano disfunzioni generalizzate, vicino ad esempi ammirevoli di funzionamento nonostante tutto, è verissimo.

      Ma non essendo una rondine a far primavera (per ricordare  Aristotele), non posso basarmi sulle singole cose buone.

      Perché la Scuola funzioni è tutto il sistema Scuola che deve funzionare.

      Il sistema scuola italiano funziona solo sulla buona volontà, sulla fantasia e fantasiosità di tanti, su tanto volontariato e su pochi, pochi, troppo pochi soldi, mezzi, strumenti, edifici.

      Un solo esempio: il primo edificio che vedrete, se andate in uno qualsiasi dei lander tedeschi, sarà una scuola: il più bello, il meglio tenuto, nello spazio più ampio e soleggiato.

      Da noi  l’esplosione – perché fu un’esplosione – di edilizia scolastica degli anni ’70 e ’80  fu più simile al “vince chi arriva prima” che a un piano nazionale, regionale, provinciale, comunale, rionale di edilizia ragionevolmente impostata e prudentemente realizzata.

      Direi che sono ancora meglio i vecchi edifici adattati a scuole, che i nuovi, costruiti al peggio del possibile.

     È solo un esempio di quello che da noi succede da decenni e continua a succedere, perché è sotto questo profilo di casualità che vedo i tagli sulla Scuola.

     Si deve tagliare, ed è vero che si deve tagliare (lo stava facendo anche il precedente governo), ma perché così, perché senza verificare cosa avverrà della Scuola con questi tagli e il tempo ristretto in cui devono avvenire?

      Credo che quanto scritto nello Schema programmatico (gli 87.400 tagli in tre anni) sia frutto di necessità, anche se altri calcoli porterebbero a più del doppio della cifra indicata.      

     È il risvolto, il risultato dei tagli che mi preoccupa fortemente: dal maestro unico alle elementari, all’aumento degli studenti per classe alle secondarie, all’uniformità delle cattedre tutte o diciotto ore, alla fine di tutte le sperimentazioni.

      Un altro esempio: il sistema delle compresenze attivato in tante scuole che sperimentano i progetti  Autonomia (un progetto ministeriale del 1997, nato dall’articolo 21 della Bassanini Uno, e che interessa solo 167 scuole secondarie di II grado, ma che si è variamente diffuso a tante altre) è la forma laboratoriale che meglio risponde alle raccomandazioni del parlamento e del consiglio europeo perché sviluppa le capacità di ricerca-azione didattica nei docenti e l’attenzione, l’ascolto e la creatività negli studenti. Le compresenze verranno eliminate.

      Sono oltre mille le scuole sperimentali che, con il D.I. 30 marzo 2000 n. 234, erano entrate ad ordinamento. Mille scuole e centinaia di migliaia di studenti e decine di migliaia di docenti che da circa due decenni ricercano, studiano, si formano, si aggiornano, perché sperimentare significa rinnovarsi, essere duttili, aperti, pronti al confronto. Le sperimentazioni verranno eliminate.

È un’altra parte di scuola europea che già c’è in Italia e andrà persa.

      Che siano ottantamila o forse il doppio i docenti che andranno in soprannumero, il risultato sarà questo: ad andare in soprannumero saranno i più giovani.

     Già oggi la classe docente italiana è la più vecchia d’Europa. Diventerà leader nella vecchiaia.

     Poi, a breve giro di anni, i docenti rimasti andranno in pensione, perché sono i più vecchi. Nuovo turnover, nuovo precariato (proprio quello che si vuole combattere), nuova instabilità generalizzata.

      Le classi più numerose cosa comportano oggi. Non ieri, quanto tutti noi che siamo nella scuola da qualche decennio sappiamo bene che le nostre classi erano tutte numerose, c’erano i trimestri, le lezioni iniziavano a tempo pieno solo dopo i morti e finivano ai primi di giugno, se non agli ultimi di maggio. Allora la voglia di ascesa sociale era altissima, e il tempo sembrava bastare per studenti desiderosi di salire i gradini del successo lavorativo nella società. Oggi tutto il contesto sociale è cambiato, radicalmente. Cambiati i rapporti generazionali. Cambiate le conoscenze e i contenuti delle conoscenze. Un docente sa cose differenti rispetto ai suoi studenti che sanno altre cose che il loro docente, forse, non valorizza o stima poco. Allora eravamo noi docenti che detenevamo il potere del sapere. Oggi non è più così. Urge il confronto, non dico alla pari, ma certamente su livelli differenti rispetto a ieri. Urge comunicare in sintonie nuove, su onde di ricezione differenti rispetto a ieri: che i docenti giovani possiedono meglio dei meno giovani.

     Per questo le classi numerose comportano incapacità e impossibilità di stabilire corretti e proficui rapporti educativi.

     Per non parlare della strumentazione necessaria, oggi e non ieri quando bastava una lavagna e una carta geografica per fare lezione.

     Vedo un futuro assai precario per la nostra Scuola e vedo, con grande preoccupazione, l’avanzata di altre scuole: non solo quelle paritarie, perché anche queste dovranno confrontarsi con la realtà dei nuovi regolamenti se vorranno l’accredito. Intendo quelle scuole che sono già all’opera dai tanti canali televisivi, da Internet, dai luoghi di incontro e confronto che sviluppano altre capacità e possibilità educative non controllabili da chi crede ancora nella necessità di un’educazione civile, democratica, valoriale per le giovani generazioni.


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