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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Spalmiamoli!

Ero in tutte altre faccende affaccendato la sera del 21 ottobre scorso. Sapendo che, nonostante la pensione, continuo ad appassionarmi ai problemi della scuola, mio unico e immenso amore professionale, sono stato chiamato: corri, corri a vedere; una trasmissione sulla scuola.

Gad Lerner conduceva la puntata dell’Infedele dal titolo “Scuola e stranieri: un muro tra i banchi?”.

La trasmissione era già iniziata, le prime parole che ho ascoltato sono state quelle dell’on. Cota della Lega Nord mentre parlava di “spalmare” i bambini-stranieri nelle classi e in varie scuole per evitare la concentrazione che minaccerebbe l’identità culturale degli italiani e/o ritarderebbe lo svolgimento dei programmi.

Lungi da me, in questa piccola riflessione, entrare nel merito pensando ai “rallentamenti” che provocano tanti bambini ITALIANI che hanno difficoltà di apprendimento per le più svariate ragioni. Bisognerebbe fare delle classi speciali anche per loro?. E poi bisognerebbe anche discriminare tra le varie difficoltà. Mettere in una classe speciale i dislessici, in un’altra i disfasici, in un’altra ancora i discalculici, in un’altra altra ancora gli ipercinetici, non parliamo dei disabili ecc. ecc. Tutti rallentano lo svolgimento dei programmi.

Mentre ascoltavo, come siamo abituati noi insegnanti, e pensavo ai contenuti, in un’altra parte del mio cervello rimbalzava come una pallina impazzita la parola “spalmare” riferita ai bambini-stranieri. E siccome veniva ripetuta più volte, più volte rimbalzava nella mia testa come una nota stonata. Ad ogni rimbalzo un fastidio più acuto. Finché il fastidio è divenuto insopportabile e allora non ce l’ho fatta più e ho spento la tv, in un coro di proteste contro il sopruso perpetrato, col relativo invito a recarmi in altra stanza a sbollire l’attacco isterico.

Il mio cervello faceva delle associazioni assurde, raspava, si impuntava come un asino, come quando qualcosa non va e provoca un rifiuto. Sono così i cervelli degli insegnanti. Vanno quasi in automatico, abituati come sono a considerare le parole come “etichette” di concetti e strutture semiotiche, regolarità e convenzioni senza le quali la lingua cessa di essere codice comunicativo comprensibile da parte dei comunicanti, insomma “le parole sono pietre”.   Ragionava automaticamente il mio cervello di insegnante, meridionale per giunta, e ragionava con se stesso e con alunni virtuali nello stesso tempo, chiedendosi ripetutamente: spalmare i bambini-stranieri? Boh! Roba da fuori di testa.

Momento, stai calmo, affronta la cosa con calma e razionalità. Consulta il tuo dizionario mentale, il tuo archivio personale al quale eri abituato a far sempre ricorso nella tua ex carriera(?) di insegnante. Ricordi? Eri un insegnante, meridionale, ma pur sempre un insegnante.

Vabbè, ho capito, spalmare significa distendere, distribuire più o meno uniformemente. Fin qui niente di strano, è una parola comune.

Ma cosa si spalma?

Sostanze semiliquide, oleose, pastose, come il burro, la nutella, la marmellata, la crema ecc... Ma i bambini-stranieri non risultano appartenere alla categoria di queste sostanze, anzi non sono proprio una sostanza, sono delle persone, magari un po’ meno di persone per qualcuno, ma apparterranno pure alla specie umana! Boh!

Ma perbacco!, ricordati che sei stato un insegnante e il rigore deontologico non ti consente di accontentarti della definizione più comune. Cerca ancora nei linguaggi settoriali, magari trovi qualche e/accezione che consenta di “spalmare” anche i bambini-stranieri.

Ritorno al mio archivio mentale e spulcio ancora.

Ah, sì, è vero, spalmare si usa anche nel linguaggio economico.

Ma cosa si spalma? (ormai è divenuta un’ossessione questa domanda)

Si spalmano crediti, debiti, spese, denaro.

Ma i bambini non appartengono a questa categoria di oggetti. Anzi non sono per niente oggetti, sono PER-SO-NE! Capito? Ma come e in che lingua te lo devo dire?

Sono all’ultima spiaggia. Non resta altro che recarmi nel polveroso scantinato del mio archivio mentale per cercare l’etimo della parola, magari cessa quello che ormai è divenuto un tarlo corrosivo e tossico, che mi blocca le sinapsi mettendole in cortocircuito. Un tarlo così toglie le notti ad un insegnante, anche se è meridionale come me.

Cosa trovo? Che spalmare deriva da spalmo o spalmatura, cioè dall’atto di stendere un pattume di sego, zolfo e pece sopra la carena di un’imbarcazione per riempire i vuoti e non far penetrare l’acqua.

Allora cosa si spalma? (sono stremato, non ce la faccio più)

Pattume, ripeto mestamente dentro di me.

Quasi tra le lacrime mi ripeto protestando: ma i bambini-stranieri non sono pattume!!!

Ma all’improvviso, quasi folgorata, la mia testa si illumina come quella di Edi,  fumetto di Walt Disney, assistente di Archimede Pitagorico, che ha una lampadina al posto della testa.

Ecco, finalmente il mio stanco ed anziano cervello trova quiete, pace. Tutto trova una spiegazione, pertinente, coerente. Il mio cervello di insegnante, meridionale per giunta, torna a funzionare. Alla fine i processi euristici hanno avuto la meglio sui processi di associazione analogica.

E giungo alla conclusione che si può così riassumere nella lezione a qualche altra parte del mio cervello e ad alunni virtuali da parte di un insegnante-meridionale-per-giunta:

1)l’on Cota e tutti i deputati che usano la parola “spalmare” riferita ai bambini-stranieri non conoscono bene la lingua italiana, ma solo quella italiota, nell’accezione di itali(ano idi)ota. Perciò possono essere proposti nelle classi di inserimento per un corso intensivo di lingua italiana;

2)l’uso dell’espressione “spalmare i bambini-stranieri”, oltreché linguisticamente inaccettabile nell’uso comune, è moralmente riprovevole nell’accezione etimologica perché i bambini-stranieri 

NON SONO PATTUME!.

25 ottobre 2008

Cosimo De Nitto

*) Chi non ha visto la puntata dell’Infedele in questione o vuole documentarsi può rivederla qui: http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=infedele


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