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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

"UNO SPEZZATINO DI ATTIMI"

Quanto tempo impiegano due esseri umani nell’ ascoltare, ricevere, comprendere, rielaborare e rispondere a brevi messaggi di "servizio"?

A quelli della quotidianità, del tipo: "Verresti a giocare a casa mia oggi?", "Non so se ho tempo, dovrò chiedere alla mamma, comunque dove abiti?", "Abito in piazza………, al numero………..", " Va bene, ma a che ora potrei venire?"…e via dicendo.

Si dia per scontato che i due piccoli interlocutori siano assolutamente in grado di riconoscere le parole che compongono i rispettivi messaggi, di capirne i modi dei verbi che rivelano una qualche incertezza nella possibilità di aderire alla richiesta dell’ospitante, ecc…, forse ci impiegherebbero 10 minuti, 15 minuti…a seconda dell’età dei due bambini. Molto di più, se uno dei due fosse straniero, con una conoscenza della lingua italiana appena avviata, oppure con qualche difficoltà di comprensione.

Di quanti messaggi (e a quale "tipologia" di alunne/i devono arrivare?) è formata la giornata scolastica? Di quale grado di difficoltà?

Indubbiamente innumerevoli, di un grado maggiore di complessità che non quelli su scritti, e in una situazione di convivenza di numerosi esseri umani che devono procedere anche per prove ed errori nel campo dello stabilire relazioni possibilmente confortanti.

Quindi, mi chiedo spesso come si possa continuare a "gonfiare" la scuola elementare di "materie" fin dalla prima, quando tutti, i genitori stessi, continuano a richiedere che le alunne e gli alunni divengano "competenti", acquisiscano delle abilità, sappiano scrivere, parlare e leggere in modo espressivo, corretto, efficace alla comunicazione?

Vogliamo fare una mano di conti sull’orario attuale (sebbene ognuna di noi, fin che potrà, cercherà di gestirlo con il massimo di flessibilità cercando alleanze con le altre insegnanti) in previsione di un futuro ulteriore "peggioramento"?

Si prenda come base l’orario del tempo pieno in una prima elementare: 40 ore per le bambine e i bambini; 22 (di cui 2 di contemporaneità, durante le quali le insegnanti possono venire usate per le supplenze) ore sulla classe (più 2 ore di programmazione senza alunni), per ogni insegnante. Prima però si rifletta anche sul fatto che su alcune materie si può "giostrare" molto poco nella programmazione e in una collocazione in libertà delle attività, a causa dell’utilizzo obbligatorio (o quasi) dei locali in certe fasce orarie, perché condiviso con altre classi.

Si cominci con il sottrarre le ore obbligatorie dalle 22: - 4 (oppure – 6, a settimane alterne) di mensa, -2 di ed. motoria (con ore e giorni bloccati per via dell’uso del locale da parte di tutte le classi del plesso scolastico), -1(o -2?) di musica (con orari di utilizzo del laboratorio meno bloccati che non per la palestra, ma pur sempre da contrattare), -1 di storia (o-2?), -1 di studi sociali, le restanti ore per la lingua italiana o per la matematica e le scienze (–2?);

22 ore -4 (oppure -6, a settimane alterne), -1 (o–2?) di ed. all’ immagine (anche in questo caso con problemi per l’uso dei locali laboratorio), -1 di geografia(o –2?), -2 di religione, le restanti ore per la lingua italiana o per la matematica e le scienze (-2?).

Si pensi anche che il numero delle alunne e degli alunni sia considerevole: 22, 23, 24, 25, 26…!

Si ricordi poi che il tempo pieno classico non prevede compiti a casa, se non qualche esercitazione (si spera lieve) nel fine settimana, oppure qualche lettura o un po’ di studio personale (sempre in quantità moderatissima), perciò non si può ovviamente, e giustamente, contare su un lavoro di consolidamento a casa.

Ora, si provi a immaginare, se a questo orario già compresso, fin dalla prima elementare si dovessero togliere ore per l’informatica e la lingua inglese e, nel peggiore dei casi, per altro ancora (v. tempi previsti dalle incombenti novità della riforma!).

Eppure, si va già diffondendo (senza attendere la riforma) la consuetudine di "provare a integrare" fin dalla prima elementare il curricolo già denso di per sé.

Ma non si dice ormai ovunque che una scuola, attenta alle richieste delle bambine e dei bambini, dovrebbe essere lenta, in grado di far vivere esperienze di ascolto e conversazione, di riflessione sul sé, di non creare differenze fra chi parte in vantaggio e gli altri, pur valorizzando le diversità? Non si sostiene forse, da più parti, l’importanza di far sì che i giovani si possano appropriare della lingua madre per poter diventare più "forti" socialmente…? Che il corpo e le mani devono essere gli "strumenti" più utilizzati all’inizio?

Ebbene, la qualità dell’insegnamento è senz’altro importante, ma chi insegna alle elementari sa quanto sia importante anche non eccedere in quantità e non fare "spezzatini di tempo"! Infatti, una quantità (per di più frammentaria) di stimoli eccessiva disorienta, annienta la voglia di rielaborare con calma quanto si va apprendendo: da molto tempo anche i Nuovi Programmi dell’85 sono stati, in pratica, sfrondati (nel vivo dell’attività didattica) per rispondere alle esigenze di apprendimento di tutte le bambine e i bambini.

Ora si assiste, invece, a un prodigarsi per offrire all’utenza, bombardata da messaggi del tipo "vostro figlio è un "genio", datevi da fare per chiedere sempre di più!", materie a go-go.

E non si dica poi che si può far "tutto" purché si conoscano strategie e metodologie atte alla risoluzione di problemi emergenti, perché sarebbe una bugia bella e buona, visto che la scuola elementare è vissuta a pane e strategie dalla mattina alla sera. Anzi, è proprio per questo, che sa quanto sia importante il tempo da dedicare a ogni "segmento", a ogni "risvolto" degli apprendimenti di base.

Esempio: siccome non si insegna direttamente la lettera "A" a una classe, ma si parte molto da lontano per arrivare alla "scoperta" e alla padronanza di detto grafema, con attività che si dispiegano dal piano fonemico, a quello della narrazione, a quello dell’ "arte", a quello motorio-spaziale, ecc …in un ambiente di apprendimento in cui vige la "regola" che si devono scoprire le novità autonomamente e in collaborazione, nel rispetto di tutte le diversità individuali, se si volesse e dovesse giustamente moltiplicare il tempo della faccenda, in realtà non molto semplice, della lettera "A" per tutti i contenuti di una "disciplina" e per tutte le "discipline" che si incontreranno nel corso dei cinque anni di elementari, non sarebbe lecito in qualche modo dubitare delle ragioni di chi sostiene che la scuola debba essere tanto "gonfia" di materie?

Perché in prima elementare non concentrarsi sulla lingua madre (come scoperta delle sue potenzialità liberatorie), sulla matematica (come scoperta del "numero" nella realtà), su ed. motoria, su ed. all’immagine e musicale (come strumenti di conoscenza di sé, dell’altro e dello spazio che ci circonda, ma anche come "veicoli" per interiorizzare i risultati delle scoperte da consolidare in matematica e in italiano), su storia e geografia (come collocazione dei fatti personali e sociali nello spazio e nel tempo e per costruire le basi necessarie alla costruzione del linguaggio sia linguistico che matematico?).

Perché rischiare di "perdere" tempo in mille altri rivoli non strettamente necessari alla costruzione di basi solide anche per i futuri apprendimenti?

So che questo potrebbe sembrare un discorso arretrato, e costa il farlo (sarebbe più facile adeguarsi ai "tempi"e più gratificante in termini di consenso!), ma alcune/i di noi non vorrebbero per nulla al mondo rinunciare ancora una volta a un altro pezzetto di "fiaba", di "poesia", di narrazione, di lettura, di ascolto, di riflessione collettiva…in favore di uno "spezzatino" ulteriore di attimi preziosi per conoscersi… almeno in prima elementare.

11 gennaio 2003

Claudia Fanti

Allego uno stimolante articolo (del Corriere) sulla dimensione del tempo:

IL TEMPO NELL’INFANZIA
Psicologi e pedagogisti: pericolosa la frenesia degli adulti

Bambini, viva la lentezza

Quando è cominciato il tempo? Quand’è «c’era una volta»? Le domande dei bambini ci fanno sorridere, meno spesso riflettere. Ciò che consideriamo con tenerezza immaturità, inadeguatezza, contiene in realtà lo straordinario valore dell’infanzia. Il tempo del bambino, almeno fino a otto, nove anni, è diverso dal tempo degli adulti, ma forse più importante, perché rappresenta le fondamenta sui cui costruire il senso di sé, della propria storia. «I grandi» se ne dimenticano quotidianamente. Basterebbe pensare a quante volte durante la giornata i più piccoli si sentono dire: «Dài», magari incalzati da una spintarella sulla schiena. Ma i ritmi calmi dei bambini, interpretati erroneamente come lentezza, sono semplicemente quelli legittimi, naturali, di chi sta costruendo il proprio edificio. E ha il compito impegnativo di costruirlo bene, con basi solide. La psicologa Silvia Vegetti Finzi ha lavorato a lungo sull’età evolutiva. Fra i suoi libri più noti c’è la trilogia, scritta con Anna Maria Battistini e pubblicata da Mondadori, sui bambini e sugli adolescenti. «Fino a tre anni - spiega - il tempo del bambino è uno: il presente. Così come per gli adolescenti prevale il futuro, e per gli anziani il passato. La misura dei più piccoli è "qui" e "ora". Imporre accelerazioni, cambiamenti continui, getta il bambino nell’ansia. Verso i tre anni i bambini sono in grado di dire "quando ero piccolo". Ricordano fatti della loro vita e intorno a questi organizzano e collegano altri accadimenti del proprio passato, ma un passato individuale, non collettivo».
Intanto il presente corre freneticamente. E se gli adulti patiscono lo stress, i bambini rischiano vere e proprie ferite. A difesa dei ritmi dell’infanzia si schiera da sempre la pedagogista Grazia Honegger Fresco, presidente del Centro Nascita Montessori, e autrice di molti volumi su Maria Montessori, tra cui «Montessori: perché no?» (Franco Angeli editore) e l’affettuoso «Facciamoci un dono» (Edizioni Merdiana), vademecum pratico e fantasioso sui regali che una mamma può fare al figlio, da zero a dieci anni. Non da ultimo il dono del tempo.
«C’è un film d’animazione - dice Honegger Fresco - "Momo e la conquista del tempo perduto", che tutti dovrebbero vedere, in cui una bambina è impegnata contro una banda che ruba il tempo. Ecco, il furto del tempo, così bello e così ricco nell’infanzia, è un problema della nostra società. I bambini in età prescolare sottoposti a ritmi innaturali somatizzano, si ammalano; quelli più grandicelli hanno problemi di concentrazione. Da qui la tanto discussa diffusione dei tranquillanti. Manca il rispetto per il tempo del bambino. Che è conservatore, ha bisogno di rifare le stesse cose, rileggere le stesse fiabe, stare nella stessa casa: questo lo rassicura. Solo così le cose nuove diventano accessibili. Con la gradualità. Allora sì l’autonomia diventa una conquista entusiasmante».
L’autonomia del bambino, sintetizzata nel principio montessoriano «aiutami a fare da solo», è un percorso esaltante e fiducioso nelle capacità del bambino, anche in quelle di padroneggiare il tempo. «Nella prima infanzia tutto è contemporaneo - continua Honegger Fresco -. I bimbi giocano con i dinosauri e non si stupirebbero di vederli entrare dalla porta. Ma anche a nove anni, l’epoca degli Assiri e di Gesù Cristo sono tutt’uno, fanno parte di un passato astratto. Per apprendere occorre capire, per capire bisogna visualizzare. Questo è il senso dei materiali montessoriani, in matematica come in italiano. Lo stesso calendario viene fatto dai bambini annotando e confrontando i cambiamenti della natura giorno e per giorno. Per la storia ci sono le strisce: dieci centimetri, cent’anni. Importante non è sapere, ma capire, fare proprio. Il bambino è curiosissimo della storia dell’uomo, basta non ridurre tutto a due paginette da imparare a memoria».
Anche la pedagogia che si basa sui principi del tedesco Rudolf Steiner, rifiuta il metodo «date e battaglie», come spiega Alberto Ciarchi, insegnante della Scuola steineriana di Milano: «Partiamo dai miti, cioè da una storia senza tempo, da uno stato di coscienza dell’umanità. Due grandi filoni, la mitologia precristiana del Nord e quella orientale, ci portano poi alla nascita della nostra civiltà. In seguito s’impara la storia non per fatti ma per biografie di grandi personaggi attorno alle quali costruiamo il mondo e le sue vicende».
Assolutamente centrale, nella pedagogia steineriana, è il concetto di ritmo nel processo di crescita: «I bambini pagano le conseguenze di una società che ha perso le sue tradizioni e i suoi riti. Cioè i ritmi, quelli che scandivano le tappe dell’esistenza. Oggi gli orari della giornata così come i tempi della vita, sono stati totalmente scardinati. E questo per i bambini è destabilizzante, li indebolisce, dentro e fuori. Interferisce nell’equilibrio psicologico e toglie energie al fisico. Ciò che una volta era il tempo del pasto, il tempo di andare a dormire, il tempo delle vacanze, oggi non è mai lo stesso. Resiste qualche rito, come quelli dell’educazione religiosa, penso alla comunione, che rappresentano tappe di crescita, ma non basta. Credo che la nostra civiltà debba rielaborare e riscoprire riti e ritmi, perché diventino di nuovo natura, istinto».

mvilla@corriere.it
Maria Luisa Villa


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