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Un patto per la scuola

di STEFANO STEFANEL
Dirigente scolastico incaricato - Istituto comprensivo di Pagnacco (Ud)

La recente pesante sconfitta della Casa delle Libertà alle elezioni regionali sta cementando nell’opinione pubblica nazionale l’impressione che le prossime elezioni politiche segneranno il passaggio del governo del Paese nelle mani dell’Unione. Questa situazione politica può portare ulteriore instabilità nella scuola italiana, già martoriata da anni di riforme tentate e non riuscite.

Uno dei motivi che portarono alla netta vittoria della Casa delle Libertà nel 2001 fu la promessa elettorale che sarebbe stata abrogata immediatamente la legge 30 del 2000, nota come “Riordino dei cicli”. Penso che nessuno abbia dimenticato il clima che regnava nella scuola quando c’era al governo il centrosinistra e l’accoglienza che la piazza riservò a Berlinguer e a De Mauro quando perseguirono l’intento riformatore. Il centrodestra colse quel clima, ma, una volta vinte le elezioni, scambiò l’ostilità per la Riforma Berlinguer-De Mauro con un consenso per una possibile Riforma Moratti. Si è visto che non è andata così e che il dissenso per la Riforma Moratti è stato ancora maggiore di quello per la Riforma Berlinguer. Si registra l’impressione, oggi, nelle scuole che una delle spinte a votare per l’Unione venga dalla certezza che una volta al governo il centrosinistra cancellerà la Riforma Moratti.

C’è un altro dato, meno noto e dibattuto, che forse si dovrebbe tenere presente. Nel 2000 il Consiglio d’Europa indicò i sei obiettivi che l’Unione Europea avrebbe dovuto raggiungere nel settore dell’istruzione e della formazione entro il 2010. In Italia di questi obiettivi si comincia a discutere ora, quando sono passati 5 dei 10 anni utili per raggiungerli: è arduo ritenere che in 5 anni noi riusciremo a raggiungere obiettivi tarati per essere raggiunti in 10 anni, ma sperare non nuoce. Ricordo i sei obiettivi che gli Stati membri devono raggiungere entro il 2010: l’aumento degli investimenti complessivi per l’istruzione; la diminuzione dell’abbandono scolastico; l’aumento dei laureati in matematica, scienze e tecnologia; l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita; l’acquisizione del diploma di scuola secondaria da parte del maggior numero possibile di persone anche in età non scolare; il miglioramento delle competenze fondamentali in literacy rilevate con le indagini OCSE-PISA. L’Unione Europea centra la sua attenzione sulla crescita dell’istruzione superiore, possibile però solo se la scuola primaria ha posto le basi per competenze durature.

Dal 2000 al 2010 l’Italia rischia di vivere tre tentativi di riforma della scuola: quello di Berlinguer-De Mauro, quello della Moratti, quello del futuro Ministro dell’Istruzione. L’abrogazione della legge 53 del 2003, infatti, sarebbe nient’altro che una nuova riforma, che si inserirebbe su quella introdotta da soli due anni nella scuola primaria e secondaria di 1° grado e da nemmeno un anno nella scuola superiore. Io credo che questo non solo allontanerebbe l’Italia dal raggiungimento degli obiettivi fissati a Lisbona, ma introdurrebbe nuovi elementi di conflittualità e instabilità, tali da far regredire  pericolosamente tutto il sistema dell’istruzione e della formazione professionale italiano, col solo risultato di rendere il nostro Paese e i nostri giovani meno competitivi.

Mantenere la Riforma Moratti così com’è però non mi pare possibile, visto anche il modo in cui l’Unione l’ha osteggiata. Né mi pare sensato che la Casa delle Libertà si ostini a portare avanti una Riforma contro il Paese. L’unica soluzione che intravedo è quella di riformare la Moratti attraverso un accordo molto ampio. Quando dico molto ampio mi riferisco all’80% del Parlamento: finché questo accordo non si raggiunge si continua a trattare. La legge riformata in questo modo dovrebbe prevedere la clausola che una suo ulteriore cambiamento richiederebbe sempre l’80% del Parlamento a favore. Solo in questo modo si darebbe stabilità al Sistema Scuola per almeno 10 anni e si potrebbe tornare a parlare di apprendimento, insegnamento, organizzazione, organici, dirigenza, ecc. al di fuori degli schieramenti politici e dentro l’ambito professionale e pedagogico. Credo che la scuola abbia bisogno di questa stabilità al di là dei suoi meriti: il suo alto tasso di conservatorismo e di immobilismo non si scalfisce imponendo riforme dall’alto, ma avviando un processo formativo completo che parta dalla conoscenza dagli indirizzi europei e arrivi fino all’analisi puntuale dei risultati del Progetti OCSE-PISA e delle prove INVALSI da poco concluse. Inoltre vanno rivisti i contratti nazionali del personale (docente e ata) in modo che siano più rispondenti alle reali esigenze della scuola e della società italiana. Tutto questo si può fare raggiungendo quell’accordo di cui dicevo sopra, che trasmetta ai lavoratori della scuola l’idea che finalmente si è arrivati ad un punto di stabilità non discutibile. Serve un ampio accordo per traghettare la scuola verso esiti migliori, condivisi, controllabili, riformabili. 

Si tratta di stabilire alcuni punti chiave da cui non scostarsi (autonomia, revisione dello stato giuridico dei docenti, stabilizzazione della dirigenza, determinazione degli standard e degli obiettivi specifici di apprendimento, riforma degli organi collegiali, ecc.) e poi iniziare un processo di riforma dal basso che produca contemporaneamente più autonomia e meno leggi, più ricerca didattica e meno ripetitività, più valutazione e meno prepotenza. Non è una sfida difficile perché del conflitto a scuola non ne può più nessuno: genitori, alunni, docenti, personale ausiliario, uffici scolastici regionali, centri servizi amministrativi, sindacati, associazioni professionali, ecc. vogliono tornare in un alveo di professionalità estranea alle diverse visioni politiche. E credo che anche le forze politiche e parlamentari non vedrebbero di cattivo occhio un largo accordo sul destino dei nostri figli e del nostro futuro.


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