Sintesi Rapporto CENSIS 2000

 


Considerazioni generali 
(pp. IX-XXIV del volume) 


La società italiana al 2000 
(pp. 1-68 del volume)

La voglia di rischiare

  • L’emozione per un’economia in ripartenza 
  • Un lavoro-avventura, dopo il lavoro-rifugio 
  • Dove osano le imprese 
  • L’audacia calcolata delle famiglie
  • Rinserrarsi o globalizzarsi?
  • I turbamenti di un territorio globalizzato 
  • Attrazioni e difese dagli stimoli multiculturali 
  • L’incombere dei nuovi apparati tecnologici 
  • Le paure dell’altro 
  • Evasioni individuali

    Processi formativi
    (pp. 71-159 del volume)

    La numerazione delle tabelle e delle tavole riproduce quella del testo a stampa



    L’educazione in una società orizzontale

    Per far sì che le politiche educative e formative del nostro paese siano in grado di rispondere alle esigenze di una società che cresce e si sviluppa in orizzontale, appare necessario dare risposte concrete a quattro ordini di questioni, ancora sul tappeto:

    - la presenza di forme di analfabetismo funzionale in ampi strati della popolazione adulta e giovanile, che si legano strettamente alla scarsa capacità competitiva del paese ed al ritardo nello sviluppo di consumi culturali e tecnologici evoluti; 

    - le difficoltà del sistema scolastico e dei suoi operatori a ritrovare una identità professionale nel nuovo modello educativo del paese e soprattutto a garantire una migliore qualità media dei risultati e dei servizi offerti; 

    - le difficoltà dell’università nel trasformare la propria vocazione e le proprie strutture organizzative da università d’élite ad università di massa ed a garantire al tempo stesso innovazione nella didattica ed eccellenza nella ricerca; 

    - difficoltà cronica a creare un rapporto diretto stabile tra offerta formativa, servizi per l'impiego e sistema produttivo, capace di generare risultati concreti e fruibili anche grazie ad un massiccio ricorso alle nuove tecnologie dell'informazione, che corrisponda alle nuove esigenze di un sistema economico impegnato in un forte sviluppo dei settori innovativi. 

    Il sistema di riforme completato ha il pregio di fissare semplicemente alcuni principi, lasciando ampio margine di regolazione ai diversi livelli di responsabilità istituzionale. Ora si tratta di dare al paese non solo principi ed architetture istituzionali ma servizi, contenuti e risultati e lo si può fare puntando su programmi d’azione chiari con obiettivi chiari ed espliciti, valutabili e comunicabili, affinché ognuno possa valutare costantemente i benefici degli investimenti che la collettività riserva alle sue politiche educative.


    I pericoli di impoverimento alfabetico

    Nel lungo dibattito istituzionale e politico legato all’avvio delle riforme della scuola e dell’università, alla riflessione accurata sui limiti ed i ritardi del sistema educativo italiano si è sostituita una vera e propria retorica della formazione, in cui ad una sostanziale vacuità e genericità delle affermazioni e degli obiettivi si somma una spasmodica attenzione agli equilibri ed alle architetture istituzionali. Mentre si discute animatamente di poteri e ruoli centrali e periferici o di contenuti dei libri di testo, i risultati di una recente indagine del CEDE sulla competenze alfabetiche della popolazione adulta ci ricorda che il 34% manifesta una incapacità a comprende anche testi elementari, mentre il 32% non è in grado di realizzare anche semplici calcoli aritmetici. (tab. 1)

    Nel sud e nelle isole la quota di popolazione a rischio di analfabetismo raggiunge il 42%, dodici punti percentuali in più di quanto registrato nelle altre circoscrizioni del paese. Senza contare il fatto che nel mezzogiorno la quota di coloro che raggiungono il livello massimo di competenze è pari 4,8% della popolazione adulta contro il 10% del nord ovest e del centro Italia. Inoltre l’esistenza di una area pari al 50% di giovani tra i 16 ed i 25 anni (tab. 2) con un livello di competenze alfabetiche elementare (cioè appena sufficiente ad escludere l’analfabetismo), apre enormi interrogativi sulla effettiva capacità della scuola di base di garantire standard qualitativi sufficienti.

    In questa prospettiva si comprendono sia gli enormi ritardi nella diffusione delle tecnologie della comunicazione sia la bassa propensione alla lettura sia, infine, le continue fibrillazioni emozionali di una parte della società culturalmente molto debole che fatica a decodificare gli elementi di innovazione ed a metabolizzare l’incertezza sul futuro. Si spiegano le grandi paure collettive, le grandi fratture tra comportamenti sociali di consumo evoluti e primitivi e perfino i livelli di continua e prolungata sfiducia verso le istituzioni, generate verosimilmente da un’alterità sociale sostanziale tra “chi ha” e chi “non ha” sufficienti competenze alfabetiche.


    L’autonomia non partecipata

    L’anno scolastico 1999-2000 ha rappresentato il primo anno di sperimentazione generalizzata dell’autonomia delle istituzioni scolastiche ed una indagine condotta dal Ministero sui Piani dell’Offerta Formativa, che costituiscono, la “carta d’identità” delle scuole dell’autonomia, sottolinea numerose carenze nella predisposizione dei piani ancora molto lontani dall’essere strumenti di comunicazione verso l’esterno e le famiglie I piani infatti, costruiti nella maggior parte dei casi come assemblaggio di parti tra loro poco coerenti, o sono stati pensati per addetti ai lavori, o tutt’al più si attestano su un livello di informazione estremamente generica che rischia in numerosi casi di banalizzare o standardizzare la proposta specifica della scuola. Tale orientamento appare tanto più grave quanto più si pensa al fatto che la riforma della scuola è quasi sconosciuta (tab. 6) Come evidenzia indagine CENSIS tra gli italiani adulti, il 32,1% non conosce affatto tale riforma ed un altro 36,9% ne ha solo sentito parlare. Nella sperimentazione dell’autonomia si manifesta un secondo problema legato al fallimento delle cosiddette “funzioni obiettivo”, ovvero quelle funzioni strumentali alla realizzazione del Piano dell’offerta formativa che dovevano essere il motore dell’innovazione. Rispetto alle disponibilità, anche finanziarie non sono state ancora assegnate 4.136 funzioni obiettivo (circa il 7% di quelle previste ), compresa la figura del collaboratore vicario del preside.


    Insegnanti al bivio

    Man mano che il complesso disegno riformatore della scuola gentiliana assume contorni più chiari e raggiunge specifici obiettivi operativi, appare evidente come la questione insegnanti nel nostro paese rimanga sostanzialmente irrisolta, o si concentri solamente sul versante, sia pure fondamentale, del fattore economico. Quest’ultimo invece dovrebbe rappresentare il punto di arrivo di una riflessione sulla moderna professione docente e dovrebbe essere messo in relazione con il livello di investimento che, effettivamente, l’Italia intende raggiungere rispetto al capitale umano e alla educazione della popolazione. Così non è stato e proprio nell'anno trascorso si è assistito ad un duplice fenomeno regressivo, forte disagio degli insegnati e scollamento dalla realtà degli utenti .

    La maggior parte dei docenti della scuola primaria e secondaria (oltre il 70%) ritiene che il prestigio e la considerazione sociale della professione docente siano diminuiti nel corso degli ultimi dieci anni. La tabella 8 evidenzia invece come tra il corpo docente sia più diffusa che non nel complesso della popolazione tra i 15 ed i 64 anni di età l’opinione che la scuola stia migliorando. Tra i docenti tale convinzione viene espressa dal 40% degli intervistati mentre sul totale della popolazione non supera il 24%. Nel confronto con quello degli altri paesi il sistema educativo italiano viene viene reputato migliore (17,2%) o tutt’al più uguale (41,7%) da sei docenti su dieci, mentre tra la popolazione gli ottimisti non superano il 33%. Infine . mentre i docenti rifiutano il principio del merito come criterio di sviluppo della carriera, nel corpo sociale è ampiamente diffusa l’opinione che per migliorare il sistema scolastico sia necessario arrivare ad una differenziazione degli stipendi sulla base di criteri di merito (tab. 9). Il 61,2% della popolazione di oltre 18 anni si esprime infatti in tal senso, mentre solo il rimanente 38,8% ritiene che bisogna aumentare gli stipendi in base alla anzianità di servizio. 

    E' necessario quindi ridisegnare a tutto tondo il mestiere del docente, decidendo in maniera netta se il sistema italiano che si viene delineando ha bisogno di professionisti specializzati e di figure di sistema o se è sufficiente una semplice adattamento dell'attuale modello di gestione basato sulla indifferenziazione delle funzioni e delle carriere.


    La sfida dell’università di massa

    Le profonde modificazioni del contesto socio economico del paese hanno posto le basi per una revisione dell’identità e della missione dell’università, chiamata oggi a dare risposte ad un duplice bisogno:

    - garantire una maggiore “qualità di massa” nei percorsi di primo livello in funzione di una espansione della domanda di istruzione superiore; 

    - incentivare lo sviluppo dell’eccellenza nei percorsi di specializzazione e della ricerca. 

    L’università non sembra ancora in grado di garantire standard minimi di dotazione strutturale ed infrastrutturale, senza i quali difficilmente potrà confrontarsi sia con il mercato della ricerca che con quello dei servizi formativi. 

    Un primo elemento di valutazione degli squilibri esistenti è dato dalla alta variabilità territoriale e disciplinare dei principali indicatori di prestazione. In relazione ai finanziamenti, ad esempio, l’analisi per Ateneo mostra una forte differenziazione delle risorse per studente, che variano da 4 a 12 milioni di lire, a fronte di una media di 7,5 milioni procapite. Altrettanto forte è l’oscillazione del numero di studenti per docente che variano nelle università statali tra 90 e 9,6 unità e si assesta intorno ad una media di 18. Alla forte variabilità territoriale si somma quella più propriamente disciplinare descritta dalla tabella 12, che illustra alcuni indicatori di processo e di risultato per facoltà. Il tasso di abbandono tra il primo ed il secondo anno, ad esempio, varia significativamente tra il 2,9% di medicina e chirurgia ed il 34% di sociologia. 

    Una immagine altrettanto esplicita degli squilibri esistenti emerge dalla lettura della tabella 13 che evidenzia, per classi di ampiezza, le diverse caratteristiche dell’offerta universitaria. Squilibri si registrano nella quota di studenti in regola con gli esami che rappresentano l’80% degli iscritti solo nel 5,3% delle facoltà, ne tasso di abbandono che nel 9% delle facoltà supera il 40% mentre è addirittura inferiore allo zero in 44 casi (10%), quando cioè il numero degli iscritti al secondo anno è superiore a quello del primo. Si tratta allora di puntare su due grandi obiettivi operativi di sviluppo delle politiche universitarie : 

    - avviare incisivi piani di riequilibrio e di incentivazione dell’innovazione (fin ora si è trattato di piccoli aggiustamenti), vincolando l’accreditamento dell’offerta a standard minimi di dotazione e di risultato e sostenendo finanziariamente l’innovazione organizzativa nel campo della didattica, dei servizi di supporto e della ricerca; 

    - costruire un solido sistema informativo ed una altrettanto solida base dati sulle risorse, sulle caratteristiche funzionali e sui risultati conseguiti dall’università, al fine di orientare gli utenti e tutta la pubblica opinione verso investimenti formativi sempre più consapevoli e maturi, fornendo parallelamente alle istituzioni accademiche strumenti per una valutazione sistematica della propria capacità competitiva.


    La formazione che non c’è, la formazione che ci sarà

    Nonostante il progressivo affermarsi di una strategia finalizzata all’ampliamento e alla diversificazione dell’offerta di percorsi di istruzione e formazione, il nostro paese appare ancora lontano dal garantire una adeguata copertura dei potenziali fabbisogni formativi espressi da ampie fasce di popolazione.

    Come evidenzia la tabella 15, nel confronto con alcuni altri paesi che hanno partecipato all’indagine internazionale sui livelli di alfabetizzazione della popolazione, in Italia le probabilità di essere inseriti nel corso della propria vita in attività formative, sia formali che informali, sono superiori, per chi possiede bassi titoli di studio, alla sola Polonia, ma si collocano su posizioni medio-basse anche per chi possiede livelli di scolarità più elevati. 

    In particolare, tra chi è uscito dal percorso scolastico con la sola licenza elementare, e quindi sostanzialmente tra le classi d’età più elevate, solo il 4,3% ha la probabilità di trovarsi in una situazione formativa, mentre tale quota sale al 23,4% nel Regno Unito e al 27% in Svezia. 

    Restringendo l’analisi alla sola formazione professionale, una stima della sua incidenza sulla popolazione di riferimento, effettuata in sede di valutazione della stagione 1994-1999 del Fondo Sociale Europeo (Fse) e di programmazione nazionale di tale Fondo per il settennio successivo (2000-2006), sottolinea come il sistema d’offerta sia ancora del tutto insufficiente, in particolare rispetto al target degli occupati: il rapporto tra gli allievi iscritti ai corsi per occupati attivati nell’ambito del sistema regionale di formazione professionale e le forze di lavoro di oltre 30 anni di età è oggi pari all’1,8% (tab. 16). 

    E’ evidente, comunque, che non bastano le risorse anche ingenti del FSE se si tratta di fare i conti con una domanda potenziale composta da circa 30 milioni di persone. E’ necessario che le architetture disegnate a tavolino comincino veramente a funzionare poiché è ormai urgente che di fronte al cittadino ci sia, per ciascun livello ed occasione della vita, un’opportunità formativa disponibile.


    Lavoro, professionalità, rappresentanze 
    (pp. 171-238 del volume)

  • Agenda minima per il governo del lavoro
  • Dopo la flessibilità: i veri nodi dello sviluppo
  • La rappresentanza virtuale

  • Il sistema di welfare 
    (pp. 231-329 del volume)

  • Allargare l’orizzonte del welfare
  • Le patologie ad alto impatto sociale
  • Regionalizzazione neocentralista e globalizzazione della domanda
  • I nuovi modi e i nuovi tempi della maternità “difficile” 
  • Le potenzialità bloccate del sistema scientifico
  • Il valore dell’immigrazione
  • Le nuove strade dell’equità previdenziale

  • Territorio e reti 
    (pp. 331-448 del volume)

  • La forza in consolidamento dell’immobiliare
  • Dall’Europa opportunità e risorse per le politiche urbane
  • L’architettura ritrovata
  • L’impasse della riforma del trasporto pubblico locale
  • L’ambivalenza dell’incidentalità: meno morti e più feriti
  • Verso una misurazione delle performance ambientali regionali
  • La spinta del biologico nel rilancio del settore agroalimentare
  • La valorizzazione dei prodotti tipici come chance di sviluppo sostenibile
  • Le biotecnologie in Italia tra sperimentazione e diffidenza

  • I soggetti economici dello sviluppo 
    (pp. 449-521 del volume)

  • I primi frutti di una fragile ma costante trasformazione strutturale
  • Il sistema produttivo alla prova della globalizzazione
  • La Borsa come veicolo per la crescita delle Pmi
  • La fase emozionale dei consumi di massa
  • Tra distretti industriali e neo-capitalismo culturale
  • Le spinte all’innovazione nella logistica

  • Governo pubblico 
    (pp. 525-575 del volume)

  • La domanda politica alla ricerca di nuove sintesi
  • L’anno più lungo delle regioni 
  • Internet, la chiave dell’innovazione amministrativa
  • Le spinte all’innovazione nella logistica
  • Criminalità: dalle emergenze nazionali alle esigenze locali
  • Fenomenologie del sistema carcerario 
  • Le insidie del non voto 
  • La sfida della trasformazione delle aziende autonomei

  • Comunicazione e cultura 
    (pp. 576-644 del volume)

  • Una comunicazione verso l’esclusione digitale
  • La piramide dei consumi mediali
  • Multi-mediali e tele-dipendenti in Italia e in Europa
  • Cosa passa nelle televisioni europee
  • Esplode il lavoro giornalistico
  • Violenza e stereotipi per i minori in Tv
  • Lo sport come comunicazione integrata
  • Il gioco nella dimensione quotidiana dei consumi

  • Indice delle Tabelle, Tavole e Figure 
    (p. 629 del volume)

  • La società italiana al 2000 
  • Processi formativi 
  • Lavoro, professionalità, rappresentanze 
  • Il sistema di welfare 
  • Territorio e reti
  • I soggetti economici dello sviluppo 
  • Governo pubblico 
  • Comunicazione e cultura

  • 2000© CENSIS