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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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8 MARZO/EURISPES

dal Redattore Sociale

 

Come cambia la famiglia italiana. Resiste il modello tradizionale, ma crescono le coppie senza figli e le trentenni single che vivono in casa.

 

Trentenni senza figli né marito che rimangono a vivere con i propri genitori; è questo un primato che l’Italia detiene rispetto agli altri paesi europei. La formula tradizionale italiana di famiglia ha subito infatti molte trasformazioni, lasciando il posto ad una pluralità di altre situazioni: famiglie unipersonali, coppie senza figli e famiglie monogenitoriali. E’ questo uno dei dati che emergono dall’indagine voluta dall’Eurispes in occasione della festa della donna: “Quattro ritratti per l’8 marzo” che indagano sul ruolo della donna in famiglia, in politica, al lavoro e rispetto al fenomeno migratorio.


Secondo l’indagine condotta dall’Eurispes, l’Italia oscilla dunque tra due opposti: da un lato “il singolo impegnato nella progettazione del proprio cammino biografico e professionale” e dall’altro “l’esperienza del legame, verso la quale il singolo appare orientato, e che persegue senza però rinunciare alla propria individualità”. D’altra parte conciliare i tempi di vita e di lavoro ha sempre presentato per le donne un grande problema e la cura dei figli e della famiglia è quasi sempre risultata penalizzante sul versante professionale, nel quale la donna, sottolinea l’Eurispes, soffre spesso discriminazioni da parte del datore di lavoro.
Il modello familiare classico della coppia con figli tuttavia resiste saldamente e rappresenta la scelta del 72,4% delle trentenni italiane anche se, tra queste, il 9,3% ha formato una coppia senza figli. Questo rappresenta secondo l’indagine un modello familiare “in continuo aumento a partire dai primi anni Ottanta” perché ci si sposa sempre più tardi, ma soprattutto a causa della “professionalizzazione femminile”, che può arrivare a comportare anche la rinuncia ai figli. La maternità infatti è “normalmente” considerata come un fattore di limitazione alla carriera femminile e sono soprattutto le donne dirigenti ad esserne preoccupate e a non sentirsi ancora pienamente supportate nella conciliazione tra questi due impegni. Lavoro femminile e dinamiche socio-demografiche sembrano dunque elementi inscindibili.

 

In Italia, il numero medio di figli per donna è sceso infatti dal 2,42 del 1970 all’1,2 del 1999, anche se il 2000 ha fatto registrare un incremento della natalità (543.039 contro le 500.021 del 1999) e chi esperi promettono che l’“onda lunga” della ripresa della fecondità durerà fino al 2005.  Si sceglie di sposarsi soprattutto al Sud (91,9% contro l’87,3 del Nord e l’86,3 del Centro), mentre la convivenza predomina al Centro (il 10% contro il 6,4 del Nord e il 3% del Sud), con il risultato che alla diminuzione del numero dei matrimoni (da 318.296 del 1988 a 276.570 del 1998) corrisponde una crescita della massa delle convivenze. Inoltre sottolinea l’Eurispes la rivoluzione culturale ha determinato un “vistoso incremento delle separazioni”, dovute soprattutto alle richieste delle donne. “La società si aspettava che la donna sopportasse e comprendesse e riversava soprattutto su di lei l’onere della continua mediazione e dei piccoli, grandi compromessi su cui si fondava il matrimonio. – scrive l’Eurispes - Ora la situazione sembra essersi completamente capovolta: delle domande proposte nel biennio 1997-1998, ben il 68,1% è di iniziativa femminile. La donna che chiede la separazione è una persona conscia dei suoi diritti, con un’autonomia che le deriva dal suo lavoro, e che vuole dimostrare, innanzitutto a se stessa, di non essere succube o perdente”. Ma non tutte le separazioni sfociano in un divorzio e questo perché, secondo l’indagine non tutti i coniugi separati vogliono contrarre un nuovo matrimonio.


Per tanti che scelgono la via dell’unione, legalizzata o meno, quanti scelgono di essere single? La cifra totale dei single non sposati è considerevole, e ripartita equamente tra celibi (840.000) e nubili (806.000). Ma il modello italiano, sottolinea l’indagine, riguarda soprattutto anziane al di sopra dei 65 anni (2.090.000), piuttosto che giovani con meno di 25 anni, che decidono di abbandonare la casa materna in cerca di una maggiore libertà. Su circa 3 milioni di quelle che l’Istat chiama “nuove condizioni familiari”, ci sono oltre 2 milioni tra single non sposati, separati o divorziati, e altrettanti vedovi (2.310.000 unità), che rappresentano la maggioranza delle persone sole; tra questi, le donne costituiscono la netta maggioranza (1.957 unità rispetto ai 353.000 vedovi maschi).

 

Lo stato civile delle madri in Italia. Anno 1999  
Valori percentuali

AREE

SPOSATE

CONVIVENTI

MADRI SOLE

Nord Italia

87,3

6,4

6,3

Centro Italia

86,3

10,0

3,6

Sud Italia

91,9

3,0

5,1

ITALIA

90,3

17,3

5,5

Fonte:Eurispes, 2002 su dati UN/ECE/UNFPA, Fertility and Family Surveys (FFS), in Countries of the ECE Region

 

Donne tra i 30 e i 34 anni dove risiedono e con chi vivono
Anno 1999
- Valori percentuali

Paesi/Aree

Con partner e figli

Con partner senza figli

Con figli senza partner

Senza figli, a casa coi genitori

NORD ITALIA

71,7

11,8

3,2

13,3

CENTRO ITALIA

70,9

8,7

1,8

18,6

SUD ITALIA

73,7

6,6

2,0

17,7

ITALIA

72,4

9,3

2,6

15,9

AUSTRIA

67,0

12,3

11,4

8,6

FRANCIA

65,6

11,1

11,8

11,5

LETTONIA

70,2

4,8

19,7

5,4

NORVEGIA

75,7

6,8

8,5

9,0

POLONIA

82,4

4,8

5,3

7,5

SPAGNA

75,0

8,5

3,4

13,1

SVEZIA

70,9

8,7

11,4

9,0

SVIZZERA

62,5

18,3

3,9

15,2

UNGHERIA

80,0

3,9

9,5

6,4

Fonte: Eurispes, 2002 su dati UN/ECE/UNFPA, Fertility and Family Surveys (FFS), in Countries of the ECE Region

 

L'integrazione tra i popoli ha volto e mani di donna. I minori il segno della ricerca di stabilità

 

Donne non solo come fulcro della famiglia immigrata, ma soprattutto come trait d’union tra differenti culture; come spesso la storia ha dimostrato infatti le donne, spesso silenziosamente, hanno contribuito ad importati evoluzioni culturali e sociali e, sottolinea l’indagine Eurisp dedicata a loro, “l’andamento e l’esito dei flussi migratori non fanno eccezione alla regola, delineando per le donne un ruolo sempre più strategico nella capacità di creare le basi per una reale integrazione delle comunità di appartenenza su un suolo straniero”. Indicativo a questo proposito che nel 1999 più del 15% delle immigrate fosse regolarmente iscritta all’Inps come collaboratrice domestica, con notevole concentrazione nelle regioni del Centro e nel Sud. Considerando il numero di lavoratrici irregolari, la presenza delle donne immigrate nelle famiglie italiane diventa, secondo l’indagine, ancor più significativa, lasciando immaginare che “gli incontri diretti tra le diverse culture siano essenzialmente mediati dalle figure femminili, dall’una e dall’altra parte, nella silenziosa quotidianità delle necessità domestiche”.
La presenza femminile nella popolazione immigrata in Italia è stata inferiore rispetto a quella maschile fino alla seconda metà degli anni Novanta, quando lo scarto si è ridotto grazie ai ricongiungimenti familiari con il proprio coniuge, ma anche perché tante donne hanno scelto di lasciare il paese di origine autonomamente. Il numero delle donne immigrate è stata generalmente più basso per le comunità in cui prevale la cultura musulmana e molto più alta se non superiore per alcuni paesi dell’Europa dell’Est, dell’Africa Centrale e dell’Estremo Oriente, dove si è spesso assistito a progetti migratori femminili del tutto autonomi. Le straniere in Italia vivono soprattutto nel Centro Italia mentre il Nord ed il Meridione si caratterizzino per una percentuale inferiore alla media italiana.

 
Tra le comunità che storicamente hanno fatto registrare la presenza di un maggior numero di donne ci sono la Thailandia (87,1% di donne sul totale), l’Eritrea (76,8%) e Cuba (84,6%), tra i gruppi di più recente immigrazione vanno segnalati, per la presenza di donne, la Russia, l’Ucraina ed il Brasile, nei quali le percentuali maschili non superano il 30%. Assente invece, nelle prime 10 comunità per incidenza percentuale delle donne, le Filippine, che, se in valori assoluti resta il paese con la maggior presenza femminile in Italia (65,7%), ha registrato negli hanno una diminuzione del flusso migratorio femminile.


Un indice significativo della volontà di integrazione è senza dubbio determinato dalla presenza di minori poiché nel momento in cui decide di portare i figli con sé o si decide di averne, si rende più improbabile il ritorno nel proprio paese. Nel periodo che va dal 1996 al 1999 i minori iscritti all’anagrafe sono aumentati dell’83%; considerando che il numero dei minorenni stranieri realmente presente in Italia è superiore a quello conteggiato dall’anagrafe, il dato, secondo l’Eurispes, rappresenta una molto significativa conferma delle tendenze alla stabilità mostrate dalla popolazione straniera nel nostro Paese. Quello della maternità, tuttavia, sottolineano gli osservatori, rimane per le donne straniere un momento difficile, poiché manca loro solidarietà e appoggio della comunità d’origine e dei significati che ogni cultura conferisce alla nascita di una nuova vita.

 

Donne e lavoro. Sono più preparate, ma fanno carriera solo se pensano come uomini

 

Donne come re Mida, ma al contrario: quando superano gli uomini nelle posizioni ritenute prestigiose, si declassa la professione. Un esempio quello dell’insegnamento: quando la presenza femminile è cresciuta, il mestiere dell’insegnante è divenuto sempre meno appetibile per gli uomini, trasformandosi da professione elitaria e riconosciuta a lavoro qualunque, ultima scelta dei laureati di belle speranze. E’ questo il parallelo utilizzato dall’Eurispes, nella sua indagine dedicata alle donne, per l'8 marzo, per spiegare questo difficile ed ambiguo rapporto.
Il tasso di disoccupazione femminile, dal 1995 al 2000, è diminuito dell’1,7%, un valore ben distante da quello maschile (0,9%), tanto da far dire agli osservatori che “l’andamento occupazionale in Italia è fortemente legato all’inserimento più o meno stabile delle donne nel mercato del lavoro”. Le occupazioni atipiche hanno offerto alle donne più possibilità d’ingresso nel mercato, ma troppo spesso questo si rileva non una scelta consapevole quanto una delle poche alternative disponibili che viene accettata per poter entrare e rimanere nel mercato. Stesso discorso vale per il part-time, alla quale le donne ricorrono frequentemente, dopo aver sofferto per anni la mancanza della terza alternativa all’aut aut tra carriera o figli, come scelta forzata per poter conciliare desiderio di maternità e aspirazioni professionali.
Il panorama delle donne che lavorano non mostra grandi novità. Le donne continuano a scarseggiare nei posti di potere, anche se nel complesso qualche cambiamento in positivo si registra rispetto al passato: sono aumentate, seppur di poco, le donne imprenditrici (+ 0,3%), le libere professioniste (+0,5%) e le posizioni di quadro tra le lavoratrici dipendenti (+ 0,1%), segno che le iniziative per la promozione dell’imprenditoria femminile stanno dando i loro frutti. Dal 1998 è aumentata seppur lievemente anche a presenza nel settore del commercio, in cui l’incidenza femminile è passata dal 16,1% al 16,3% mentre quella maschile è diminuita di oltre un punto percentuale.


Come sottolinea l’indagine, si presentano nel mercato del lavoro con titoli superiori a quelli maschili cercando di adeguarsi alle nuove richieste: sono aumentati le lauree, i diplomi universitari e il generale livello di istruzione media superiore, con un ritmo maggiore rispetto ai maschi, che, al contrario, si laureano di meno (9,4% attuale contro il 10,3% del 1998). Continuano tuttavia ad essere lontano dai ruoli di potere.


La “vecchia” donna in carriera, sottolinea il rapporto Eurispes, “si è potuta far spazio in un mercato disegnato da e per gli uomini, solo a patto di assumere una mentalità lavorativa prettamente maschile, in cui non sono ammesse assenze fisiche e mentali da maternità, talmente rassegnata all’immodificabile status quo, da dichiarare lo stesso livello di soddisfazione retributiva anche laddove lo scarto con i colleghi maschi era e resta notevole”. In cifre questo vuol dire solo lo 0,9% delle lavoratrici riveste un ruolo da dirigente, contro il 2,1% degli uomini, nel lavoro dipendente mentre i “lavori da donna sembrano porsi come attività di nicchia, distanti dal modello dominante di prestigio, peraltro sorretto dalla porzione numericamente meno consistente della società”.

 

Donne in politica: c'è una soglia invalicabile anche per le più agguerrite. Il ''silenzio'' dei media

 

La difficoltà delle donne ad emergere nel mondo del lavoro in ruoli di potere, sembra non mutare nell’ambito politico-istituzionale, dove suggeriscono, gli osservatori Eurispes, “si finisce sempre per concordare con la teoria del tetto di cristallo, ovvero quella soglia invisibile, eppur presente, oltre la quale anche la parte più agguerrita non riesce ad andare”.
Così si scopre che negli enti di ricerca solo una donna su trenta arriva alla massima carica istituzionale, mentre nelle università i professori ordinari di sesso femminile corrispondono all’11,1%. Le percentuali scendono man mano che il ruolo di potere direttivo-gestionale si fa più importante: solo un 7% di donne ricopre l’incarico di preside e solamente il 3% è stato eletto rettore. La magistratura e la carriera diplomatica non fanno eccezione, anzi in questo ambito la situazione delle donne è peggiore: il 4% di presidenti di sezione è donna mentre non esistono donne ambasciatrici.


L’indagine si sofferma in particolar modo sulla carriera politica, considerata un “significativo esempio delle dinamiche di potere femminile”. Nell’attuale legislatura la presenza femminile rappresenta solo l’11,5% dei deputati e l’8,3% del Senato e il più alto tasso di rappresentanza femminile si registra nei gruppi parlamentari dei Democratici di Sinistra (24,3% di donne alla Camera e 12,3% al Senato) e di Rifondazione Comunista (36,4% alla Camera), mentre per Alleanza Nazionale, Margherita e il CCD-CDU siamo di molto al di sotto della media. Inoltre il 60,6% dell’intera rappresentanza femminile alla Camera si trova all’opposizione (44 donne in totale), mentre la Casa delle Libertà non supera, con 23 esponenti , il 32,4% del totale delle elette. Un fenomeno sottolinea gli esperti non nuovo certamente ed in parte determinato dalla normativa che obbligava l’alternanza uomo/donna nelle liste proporzionali nelle circoscrizioni elettorali regionali, per l’elezione del 25% della Camera dei Deputati.


Ma quanto spazio riservano le reti televisive nazionali alle donne? Appaiono nei Tg più in Rai che in Mediaset ma i dati raccolti dalla Commissione Nazionale sulla parità dimostrano un’invisibilità evidente della rappresentanza politica femminile. Le donne tra i 45 e i 54 anni sono quelle che parlano molto più spesso di politica (7,1% tutti i giorni e 20,3% qualche giorno a settimana), ma i valori della stessa fascia maschile risultano doppi. Nel 2000, sommando le ore, i minuti e i secondi di discorso diretto sulle reti Rai e Mediaset dei soggetti politici ed istituzionali, le donne che hanno ottenuto spazi mediatici non superano il 10% del totale. Scompaiono poi progressivamente dal video più ci avvicina alle elezioni, quando “la presenza femminile nelle trasmissioni di carattere politico è inversamente proporzionale alla crucialità del momento”.

 

 

Donne candidate ed elette nelle elezioni italiane
Anni 1994 - 1996 - 2001
- Valori assoluti e percentuali

 

Tot. candidati/e

Tot. candidate

% donne su tot. candidati

Tot. donne elette

% donne su tot. eletti

% donne elette su tot. candidate

ANNO 1994

CAMERA

2.899

504

17,38

95

15,1

18,9

SENATO

1.475

268

18,17

29

9,2

10,8

TOTALE

4.374

772

17,65

124

13,1

16,1

ANNO 1996

CAMERA

2.194

275

12,53

70

11,1

25,4

SENATO

1.007

144

14,3

26

8,2

18,0

TOTALE

3.201

419

13,1

96

10,1

22,9

ANNO 2001

CAMERA

2.982

415

13,9

71

11,2

17,1

SENATO

1.928

220

11,4

25

7,9

11,3

TOTALE

4.910

635

12,9

96

10,1

15,1

Fonte: Eurispes, 2002 su dati Ministero delle Pari Opportunità

 

Tempo di parola dei soggetti politici ed istituzionali
Maggio 2001
- Valori percentuali

Trasmissioni

% uomini

% donne

1 - 12 Maggio 2001

TG Rai

96,08

3,92

TG Mediaset

91,04

8,96

TG La Sette

84,39

15,61

Extra TG Rai

96,89

3,11

Extra TG Mediaset

99,20

0,80

Extra TG La Sette

91,75

8,25

13-31 Maggio 2001

TG Rai

96,68

3,32

TG Mediaset

96,62

3,38

TG La Sette

96,57

3,43

Extra TG Rai

92,61

7,39

Extra TG Mediaset

85,48

14,52

Extra TG La Sette

96,54

3,46

Fonte: Eurispes, 2002 su dati Commissione Nazionale Pari Opportunità

Donne sempre più attente: richiedono qualità dei servizi e, se non la ottengono, protestano più degli uomini

 

Diffidano degli arrotondamenti di negozianti, temono gli aumenti dei prezzi provocati dalla moneta unica, hanno ancora qualche difficoltà nella compilazione dei nuovi assegni in euro e maggiori problemi di accesso ai servizi rispetto agli uomini. E’ questo l’identikit delle donne che consumano, tracciato da Cittadinanzattiva in occasione dell’8 marzo, sulla base delle segnalazioni pervenute a Pit Servizi, che raccoglie richieste di intervento da parte dei cittadini, riguardanti disagi e disservizi nell’area dei servizi di pubblica utilità, in particolare sui temi dell’accessibilità, qualità, sicurezza, trasparenza e controversie. Una ricerca che dimostra anche la voglia di partecipazione e di mobilitarsi per tutelare i propri diritti. Sempre più donne infatti, sottolinea l’organizzazione, segnalano problemi sull’introduzione dell’euro, partecipano a campagne di informazione sulla diffusione della nuova moneta e più in generale pretendono maggiori informazioni e trasparenza e cercano servizi di ottima qualità. Se poi non sono soddisfatte, protestano più degli uomini fino ad arrivare ad aprire controversie con i gestori dei servizi.
Le segnalazioni e le richieste di intervento provenienti dalle donne riguardano soprattutto la trasparenza (34%) e la qualità (27%) che si discosta di 2 soli punti percentuali dalla voce controversie. “Le donne che si sono rivolte a Pit Servizi – sottolinea Cittadinanzattiva - vedono nella mancanza di trasparenza il problema più rilevante, hanno una percezione sensibilmente più elevata rispetto agli uomini delle difficoltà di accesso ai servizi, avviano più controversie. Insomma il profilo di una donna molto attiva, che interagisce con i servizi di pubblica utilità con un approccio molto pratico, tendente alla soluzione dei problemi concreti che la separano da una utilizzazione più agevole degli stessi servizi”. Considerazioni che trovano conferma, ad esempio, nelle reazioni delle donne alla introduzione dell’euro: il 67% ha partecipato ad attività di monitoraggio sull’impatto della introduzione della nuova moneta e nel 56% dei casi le donne hanno segnalato problemi relativi alla sua introduzione.

 

Donne: la percezione 
dei servizi di pubblica utilità  

Problema più rilevante

Valori %

Trasparenza

34

Qualità

27

Controversie

25

Accessibilità

9

Sicurezza

5

Totale

100

Fonte: Pit Servizi, 2002

 


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